Piccoli granchi bianchi capovolti.
Conchiglie spezzate dalle linee aguzze.
Sogliole e triglie dalle pose improbabili.
Occhi sbarrati che non vedono più.
Teste divelte.
Pezzi di pesci sanguinolenti e di viscere scomposte abbandonati sulla spiaggia.
Uno spettacolo violento, rude, brutale.
Daemon si dibatte accanto alla grossa barca, legato con una catena.
Pallino invece è libero di scorazzare lungo il bagnosciugna, docile ed allegro.
E poi ci sono io.
Forse un altro elemento lacerato in mezzo agli altri.
Il mare non è sempre e solo un fotogramma conciliante che rasserena.
Il mare è anche la ferocia della pesca, la solitudine della morte silenziosa di esseri muti.
La rabbia dei gabbiani che si dividono il bottino.
Un vento appuntito che schiaffeggia i volti.
Onde crudeli che spaccano legno, assi, mattoni e qualunque altro materiale incontrino sul loro cammino.
E ci sono giorni, santo cielo, nei quali vorresti farti abbattere anche tu.
In cui senti che quei pezzi di carne bianca maleodorante non sono poi così diversi da quello che sei, dalle sensazioni di smarrimento che provi, dal sangue che ti fluisce dentro e ti sbatte sulle tempie fino a strozzarle.
Solo che poi fortunatamente torna il sole.
Ti allontani da quell'orrore che altro non è che la vita stessa.
Torni a guardare solo la bellezza, tutte quelle meraviglie che ti coccolano il cuore e le zone d'ombra.
Riprendi la tua vista selettiva, perché così hai imparato.