Ce ne siamo stati insieme in balcone, il mio papà ed io, con la faccia al sole.
Lui che sonnecchiava un po'. Io che chiudevo gli occhi per non lasciare che quello stesso sole li ferisse.
Il nostro pezzo di natura era lì davanti, anche se non gli prestavamo attenzione. Sapevamo che c'era, lo conosciamo bene, siamo entrambi perfettamente in grado di descriverlo anche ad occhi chiusi.
L'albero di arance, quello di limoni. Il nespolo, il tavolo di marmo grezzo, la salvia, il muretto. Dunque gli olivi, gli ortaggi. La casa di Giancarlo dopo la prateria e tante altre casette arroccate in mezzo agli alberi.
Non so quanto tempo siamo rimasti lì, avvolti da quel calore e dalla reciproca compagnia.
Un'ora, forse due. Magari invece sono state persino tre e non c'è una sola valida ragione al mondo per voler davvero quantificare quel tempo.
Siamo rimasti quasi sempre in silenzio.
Ed è stato un momento magico, intimo, di condivisione purissima ed essenziale.
C'è bisogno di riempire gli spazi solo con le persone che conosciamo poco. Ma con quelle che sono parte di noi possiamo gustare anche la totale assenza di parole senza sentirci in difetto o in imbarazzo.
Proprio quel silenzio, in realtà, diventa valore aggiunto. Comunicazione più sottile, quasi sottopelle.
Fatta di vibrazioni, di energie, di pensieri differenti che non avvertono l'impellente necessità di essere raccontati. Del resto mio papà ha sempre quella sua vena tragica ed io sempre quella poco paziente.
Allora il silenzio, il sole e la natura sono già tutto quello che ci serve per stare bene insieme.
Due sedie una accanto all'altra, quel delicato dormicchiare, la bellezza di starcene vicini.