domenica 29 gennaio 2023

Con Papà

 


Ce ne siamo stati insieme in balcone, il mio papà ed io, con la faccia al sole.
Lui che sonnecchiava un po'. Io che chiudevo gli occhi per non lasciare che quello stesso sole li ferisse.
Il nostro pezzo di natura era lì davanti, anche se non gli prestavamo attenzione. Sapevamo che c'era, lo conosciamo bene, siamo entrambi perfettamente in grado di descriverlo anche ad occhi chiusi.
L'albero di arance, quello di limoni. Il nespolo, il tavolo di marmo grezzo, la salvia, il muretto. Dunque gli olivi, gli ortaggi. La casa di Giancarlo dopo la prateria e tante altre casette arroccate in mezzo agli alberi.
Non so quanto tempo siamo rimasti lì, avvolti da quel calore e dalla reciproca compagnia. 
Un'ora, forse due. Magari invece sono state persino tre e non c'è una sola valida ragione al mondo per voler davvero quantificare quel tempo.
Siamo rimasti quasi sempre in silenzio.
Ed è stato un momento magico, intimo, di condivisione purissima ed essenziale.
C'è bisogno di riempire gli spazi solo con le persone che conosciamo poco. Ma con quelle che sono parte di noi possiamo gustare anche la totale assenza di parole senza sentirci in difetto o in imbarazzo.
Proprio quel silenzio, in realtà, diventa valore aggiunto. Comunicazione più sottile, quasi sottopelle. 
Fatta di vibrazioni, di energie, di pensieri differenti che non avvertono l'impellente necessità di essere raccontati. Del resto mio papà ha sempre quella sua vena tragica ed io sempre quella poco paziente.
Allora il silenzio, il sole e la natura sono già tutto quello che ci serve per stare bene insieme. 
Due sedie una accanto all'altra, quel delicato dormicchiare, la bellezza di starcene vicini.

giovedì 19 gennaio 2023

Qual Piuma Al Vento

 


Ho provato a scrivere diverse volte in questi giorni, senza riuscirci mai. 
Capita di non trovare le parole, di non saper cosa dire. Capita che il mondo che abbiamo dentro se ne stia un po' discosto, in disparte, irraggiungibile.
Che se ne resti  al buio, da solo, a pensare ai fatti suoi, senza voler esser disturbato.
E io a questo mondo che ho dentro ci tengo in particolar modo, per cui ho voluto lasciarlo lì dov'era, certa che ad un certo punto sarebbe tornato, come fanno i gatti quando sono in via di guarigione.

Soffia un vento aguzzo da giorni, scava le case, le cose, si crea spazio fin dentro il terreno. 
Eppure oggi, nonostante le forti raffiche ed un cielo a tratti grigio e minaccioso, una capatina al mare ho voluto farla ugualmente.
Quando sono arrivata giù ho scattato qualche foto con il timore che il telefono sarebbe stato sbalzato via da qualche parte. Io stessa avevo difficoltà a tenere le gambe inchiodate a terra. Oscillavo. Sembrava di stare su una giostra dalla quale poter cadere da un momento all'altro.
Però quantomeno ero lì, a respirar quell'odore salmastro, a guardare le onde sbattersi addosso l'un l'altra, veloci. Sono rimasta molto poco, giusto il tempo di una foto, di una visione d'insieme, di un respiro un po' più ampio.

Ciononostante, questo mi sembra il primo vero giorno d'inverno.
Il freddo che inizia a gelare le ossa, le mani perennemente ghiacciate, una sensazione interiore di chiusura che è come un dolore fisico. Provo avversione per tutto ciò che non sia il mio letto, dove peraltro posso sostare assai meno di quanto vorrei.
Tutto il resto è raggelante. Le persone, le voci, la porta che si apre e si chiude, il sorrisetto ebete di mio cognato di fronte al suo cellulare, questa pioggia dura che sporca l'asfalto, l'odore aspro della vita stessa.

mercoledì 11 gennaio 2023

Quei Due

 

C'è il sole, fuori.
Carmelo e Stefano bevono un tè bollente ai frutti rossi mentre giocano.
Questa è la scena che più di ogni altra speravo di rivedere prima del Covid. Questa è la scena che ho rivisto più volte da quando quell'orribile momento è passato.
Ascolto le loro voci riempire la veranda. Il dado sbattere sul tavolo. La risata di Carmelo, poi quella di Stefano. A tratti sembrano azzuffarsi e invece poi ricominciano. Uno scrive, l'altro detta.
Un rapporto meraviglioso, il loro. Un uomo di quarantacinque anni e un altro di ottanta. Sembrano padre e figlio e invece li lega un sentimento di amicizia che di più belli e puri non ne ho visti. Non so come si siano conosciuti, come si siano scelti, ma il fatto è che non si sono persi mai. Si vedono quasi ogni giorno, si chiamano, si mandano vocali sconclusionati che non capiscono, si danno appuntamento qui nel pomeriggio e trascorrono del tempo insieme elaborando strategie fallimentari per vincere al gioco del lotto.
Davvero penso che i legami tengano insieme le anime più che le persone. 
E allora forse non contano l'età, il vissuto, la provenienza, i gusti, la politica. Conta volersi bene. Sentirsi affini. Voler coltivare un rapporto giorno dopo giorno, sostenendosi con una risata, col messaggio del buongiorno, con un come stai piazzato lì al momento giusto.

Fa freddo qui dentro. 
Il riscaldamento è rotto da un po' ed è stato ordinato un nuovo impianto.
Ci vestiamo a strati senza mai riuscire a scaldarci davvero.
Mangio una banana dallo strano sapore, allappa in bocca come un cachi.
Ho voglia di poesia. Di letture che mi strappino il cuore a brandelli.

venerdì 6 gennaio 2023

Era La Fine di Agosto

 




La Chiesa non era di quelle appariscenti. 
Direi piuttosto che si mimetizzava perfettamente con gli edifici confinanti. 
Quando sono entrata era completamente vuota. I miei passi risuonavano sul pavimento di pietra e l'eco si spargeva ovunque come una preghiera.
Non c'erano arazzi. Dipinti. Non c'era oro dappertutto e immagini di santi su ogni parete. 
C'era solo quel richiamo.
Al centro, tra le file di banchi deserti, una sequela di lumini accesi.
Più avanti, invece dell'altare, un pianoforte nero a coda.
Ma il richiamo era ancora oltre. 
Vedevo le persone camminare tranquille al di là del portone spalancato, sulle vie di Narni che poco prima avevo calpestato anche io, sorridente e spensierata.
Ho toccato il pianoforte. L'ho fotografato. 
Poi dietro le mie spalle ho visto Lui.
Un crocifisso alto. Solo. In disparte. Confinato a ridosso di un muro spoglio.
Mi sono avvicinata. L'ho toccato.
Il Cristo mi guardava dall'alto. Troneggiava su di me. Soffriva. 
Avevo quasi la sensazione che quel sangue pulsasse ancora. Che fosse vivo. 
Ho provato dolore, smarrimento, confusione.
Sentivo di poter piangere, anche se quel giorno ero felice. 
Sentivo di poterlo fare, di accasciarmi lì sotto e non alzarmi prima di molto tempo.

Sono entrate delle persone. Poche. Solo una coppia di giovani che sembravano essersi persi come me.
Non volevo che mi vedessero in quello stato di caos. 
Sentivo un peso dappertutto. 
Quando sono uscita, mi sono riunita alla persona che era con me quel giorno.
Mi ha guardata. Chiesto cosa avessi.
Non ho saputo né voluto rispondere.
Era successo qualcosa sotto quel Crocifisso, sotto quello sguardo addolorato.
Qualcosa che tuttora non so.
Mi sono allontanata dalla Chiesa da così tanti anni che ricordo a malapena anche preghiere che recitavo a memoria ogni sera prima di addormentarmi.
Eppure forse Dio, o chi per Lui, non si è allontanato da me. 

Oggi a Frascati sono entrata in un'altra Chiesa.
Anche stavolta non in quella principale, quella vestita a festa.
Era più piccolina, una piccola dimora in mezzo a tante altre.
C'era un prete nero seduto nel confessionale. Guardava il suo cellulare.
Ho avuto la tentazione di sedermi su quel banchetto di legno lucido e raccontargli di quell'esperienza che definirei mistica se non mi sentissi stupida nel farlo.
E infarcire la confessione con i miei peccati, sentire che ne pensa, ascoltare con quante Ave Maria avrei potuto cavarmela.