martedì 30 novembre 2021

Mare d'Inverno

 
Fonte: una penna spuntata


E' tornato il sole, almeno per oggi.
E' incredibile quanto le giornate possano apparire diverse quando la luce invade stanze intere, quando ti viene a cercare ovunque ti trovi.
A dire il vero, prima ancora che lo facesse, ero già fuori di qui. 
Gli sono andata incontro.

Mi mancava il mare, il fluttuare leggero delle onde, quell'odore salmastro. 
Mi mancava il suo abbraccio.
Il freddo mi è entrato ovunque, non c'era modo di arginarlo. E' stato come muoversi con le gambe di cemento. E le mani erano così ghiacciate da non poterle aprire.
In spiaggia non c'era nessuno ad eccezione di un giovane pescatore che riparava le reti. 
Quell'uomo aveva uno scopo per sottoporre la sua schiena a quel clima ostile.
Il mio invece qual era? perché me ne stavo lì tutta sola col vento che mi frustava la faccia e i riccioli che svolazzavano ovunque, impigliandosi come le reti che lui teneva in mano?
Proseguendo ho fotografato stabilimenti balneari spezzati dalle maree, cabine con le porte spalancate, assi di legno gettati alla rinfusa sulla sabbia, giochi rotti per bambini. 
Cumuli di vita in sospeso, sentimenti divelti e spazzati via. 

D'improvviso ho sentito l'esigenza di andarmene, di essere lontana da lì, di trovare riparo da qualche parte. E invece ho camminato ancora un po', con le scarpe che affondavano nella sabbia troppo umida, pregna d'acqua piovana. Avevo la musica alle orecchie ma era un sottofondo lieve e stonato che percepivo appena. Gli occhiali scuri coprivano occhi smarriti, meno vitali di giorni simili a questo.

Dunque sono arrivata al mercato, che anche stavolta era pieno di colori e di gente che mi osservava passare. Mi guardano tutti le gambe e il sedere, chissà perché. Li vedo percorrere il mio corpo per intero e poi fermarsi lì, ogni volta.
Ho parlato con i miei amici. Il signore di Napoli che abita a Cisterna. Un indiano che vende vestiti. Bulgari col suo pane di segale. Laura e Claudio. Flavio e Santina, a cui ho chiesto di Giovanni che non vedo mai. Ho incontrato anche mia suocera con la sua fidata amica. 
Mi sono fatta incantare da un Babbo Natale ballerino che ho comprato per il negozio.
E dopo aver fatto tutto me ne sono tornata a casa, ho attraversato di nuovo il vento gelido per la strada ed ora che sto scrivendo queste poche righe penso che forse mi ammalerò, che da tempo non mi sentivo così stanca e giù di corda.

mercoledì 17 novembre 2021

L'Orologio A Pendolo




17 novembre 2021, ore 12:54.
Il silenzio mi avvolge completamente, c'è solo l'orologio del forno che spezza l'atmosfera ovattata che mi sono scelta. Mi ci immergo come se fosse fatto di acqua di lago, lo sento accarezzarmi prima i piedi, poi i polpacci, dunque le cosce, l'addome, il seno. Sigillo le palpebre e vi sprofondo fino ai capelli. I ricci saettano, poi mi si incollano addosso.
Riemergo, apro gli occhi. Non sono trascorsi che pochi istanti. Eppure è già ora di andare via, di spogliarsi di nuovo, rivestirsi, farsi bagnare da questa pioggia sottile, entrare in negozio, fingere di essere pronta per affrontare il mondo, le voci, i clienti, i rumori, le cose da fare.
Quest'anno sono meno ostile all'autunno, è un processo iniziato già da un po'. Però questa voglia di starmene in casa la detesto e so che è lui che me la porta, che me la piazza sulla schiena.

Ore 17:22.
I ciclamini rossi mi guardano dalla fioriera, si ergono vividissimi tra le loro foglie spesse. A loro non dà fastidio il calare del buio né quello ancor più detestabile delle temperature. E' in questa stagione che danno il meglio di sé, l'unica in cui sappiano vivere nel pieno fulgore della propria bellezza.
Invece io in questa giornata mi sento spenta come un fuscello avvizzito a cui manchino la luce del giorno e il calore del sole. Sento la pelle creparsi a contatto con quest'aria umida o forse anche solo con questo umore traballante che oscilla come un orologio a pendolo.
C'è Romano qui fuori che parla al telefono. La sua voce arriva fino alla mia postazione, come se non ci fossero un vetro ed una porta a separarci. Ed è la sua voce a riportarmi a questo momento, al luogo in cui mi trovo, alla presenza di mio cognato dietro le spalle, al lavoro, alla gente che viene e che va.

sabato 13 novembre 2021

Lui e Lei

Fonte: atuttodonna. it



Ci sono pensieri che vanno scritti subito, appena la mente te li getta fuori.
Perché poi magari ci ragionerai su e gli cambierai forma, spunterai i peli troppo lunghi, toglierai le grinze agli abiti, li pettinerai, troverai il modo di renderli più diplomatici, meno scontrosi.
E invece questi li voglio scrivere così come sono, prima di trovare il tempo di sistemarli.

Mia nipote mi ha contattato stamattina, anche se ci eravamo sentite appena ieri. 
Mi ha detto che con il suo storico fidanzato si sono lasciati, senza drammi né lacrimoni, circa diciotto ore fa. Quando l'ho letto ho sentito come un tonfo, attutito ma pur sempre un tonfo, al centro del petto.
E mentre parlavamo e capivo che nonostante il dispiacere stava bene, pensavo al fatto che non lo avrei visto più. Quel ragazzo alto e gentile a cui in questi otto anni ho voluto bene, avrebbe smesso di colpo di far parte anche della mia vita. Di quella di tutti noi.
Non ci sarebbero state altre feste da trascorrere insieme, altre chiacchiere in allegria, altre serate, altri bagni in piscina con Molly. E anche il prossimo Natale sarà più vuoto e spento senza di lui.
Perché quando due persone si lasciano dopo tanto tempo finisce un'era anche per gli altri. Si chiude un ciclo. 
E allora forse mi sarebbe piaciuto dargli un ultimo abbraccio, ringraziarlo per aver riempito le nostre vite in questi anni, con quel suo modo di fare sempre gentile e pacato, quella presenza garbata e mai invadente.
E' un distacco a cui dovremo abituarci tutti, senza farlo pesare all'unica persona che di questa vicenda è davvero protagonista.
Domani finalmente la vedrò, l'abbraccerò, le offrirò la mia spalla ed il mio appoggio incondizionati, come sempre. Ma oggi...beh, oggi sento di volermi abbracciare un po' anche io, perché so di dover dire silenziosamente addio a qualcuno che speravo di tenere qui anche negli anni a venire.

lunedì 8 novembre 2021

La Casa degli Specchi



Sono le 18 e il buio avvolge ogni cosa da un'ora o poco più. 
Scende una pioggia lenta ed umidissima, nebbiosa, che si confonde con i fari di automobili che raggiungono destinazioni che non conosco.
Avevo un post sulla lingua stanotte, quando non riuscivo a dormire. O forse l'avevo davanti agli occhi, spalancati dal non poter dormire. Avrei potuto scriverlo per intero sul cuscino e ne sarebbe venuto fuori un capolavoro, che si sa che le parole notturne sono quelle più evocative. Descrivono in maniera perfetta ogni sensazione, ogni visione, ogni più intimo singulto. Ma ora è giorno e quelle parole perfette sono sfumate come alito caldo al freddo del mattino. 

Pensavo a mia zia, che non c'è più da metà della mia vita.
Ci pensavo a causa di un telefono col filo. Un banalissimo telefono col filo di quelli che erano nelle case di ciascuno circa trent'anni fa. Era sul mio comodino nell'albergo di Perugia: in quella stanza moderna era l'unico tocco vintage, agee. 
Probabilmente ne avevo uno uguale anche in casa mia, eppure ricordo solo il suo, all'ingresso, su quel mobile in legno di ciliegio in cui entrando ci si poteva anche specchiare. La ricordo parlare lì, appoggiata, col suo vocione che lo sentivi anche due rampe di scale più giù.
Quella era casa sua ma era anche casa mia. Non so quante volte ci sono entrata, facevo su e giù in continuazione. Ne saprei descrivere ogni angolo, ogni mattonella, come se l'avessi ancora davanti agli occhi. E sebbene la casa sia sempre sopra quella dei miei genitori, non ci entro più da qualche anno. 
L'ultima volta che l'ho fatto fu per seguire mia nipote. Entrammo nella stanza dei miei zii. C'erano ancora l'enorme specchiera ed il lungo comò col marmo bianco. E quell'armadio antico, bellissimo, ci si poteva specchiare anche da lì aprendo le ante. 
A volte mi sembra di vederla ancora appoggiata alla balaustra fuori dal suo portone. Si parlava così, su quelle scale dove piante rampicanti adornavano ogni gradino. Non c'erano gli sms e non si potevano fare intere conversazioni al citofono. La luce arrivava ovunque dalle grandi vetrate, illuminava i nostri volti e quelle stesse scale. 
Ancora mi chiedo come sia riuscita a sopportare la mancanza di persone che così tanto hanno inciso nella mia vita da averla dipinta un po' anche a modo loro. Con i propri colori, le proprie voci, i loro insegnamenti. Mi chiedo come sia stato possibile reggere il colpo di perdere quei pilastri e ciononostante stare ancora in piedi.
Solo poche sere fa sotto la doccia mi accorsi di non avere più nessuna delle mie zie con cui sono cresciuta, da quando a luglio ho perso l'ultima. Come una bambina uscii piangendo e andai a rifugiarmi tra le braccia di Fred. In quel momento sentii tutto il peso della loro assenza, di quelle parole di conforto che a volte mi sarebbero servite anche se non le avrei chieste mai.
Mi pare incredibile che non ci siano più, a volte mi sembra che quello che è stato sia ancora così presente da non poter davvero andarsene.

mercoledì 3 novembre 2021

Legami

Fonte: getupandwalk .it


A volte è tutto così bello e semplice, lineare, gioioso. Come lo scorso week end in Umbria.
E altre volte invece è tutto così complicato, assurdo, pesante. Come quello che si prospetta tra una manciata di giorni.

Sarebbe forse giusto, ogni tanto, scappare via e non farsi trovare.
Sfuggire ai propri genitori, a chi si ama, ai doveri collegati ai sentimenti. Perché i legami portano lacci, ed è il bello e il brutto di amare.
E allora con la mente sfuggo fino a non sentire più nulla. Questo correre quotidiano, questo affanno, questa tachicardia che a volte mi martella il petto di sera, quando sento che è tutto passato e posso finalmente cadere nell'oblio.

Sono in un bosco, da sola. Non c'è nessuno che mi tiri da una parte all'altra come una bambola di pezza. Non ci sono pasti da preparare, bagni da pulire, pavimenti su cui togliere le briciole, scale di legno da lavare, bucati da stendere, girare al sole, poi ritirare, piegare e mettere apposto.
Ci sono gli alberi alti, le foglie rosse sotto i piedi. C'è un masso su cui posso sedermi a riposare. Osservo la bellezza delle foglie, una ad una. Sono tutte diverse, nella forma e nel colore. C'è un silenzio che profuma di pace, di serenità. Non c'è neppure uno scoiattolo che disturbi la mia quiete, posso respirare senza mascherina a pieni polmoni, come mi ha insegnato Ornella. Posso scattare fotografie che poi guarderò altre mille volte col sorriso sulle labbra, ripensando a quando ero lì da sola, sfuggita al controllo di chiunque.
Poi forse sentirò il dolore di essergli sfuggita, mi mancheranno, avrò forse voglia di tornare e mi alzerò, riprenderò la mia solita vita fatta soprattutto di cose belle ma anche di momenti in cui mi sento schiacciare il corpo e la testa dentro una pressa. Tuttora sento questa forza d'acciaio opprimente che vuol comprimermi tutta fino a farmi scoppiare.

Sono momenti. Quando sono fortunata durano solo una manciata di ore, poi smetto di pensarci e tutto torna al proprio posto. Come in quelle stanze in cui butti tutto all'aria durante uno scoppio d'ira, poi i libri tornano sugli scaffali, gli abiti ben piegati negli armadi, le lenzuola stirate sul letto, i quadri dritti alle pareti, i profumi allineati sul comò.
E mentre aspetto che il cuore smetta di sanguinare, che le lacrime tornino al di là degli occhi, che i battiti decelerino, mi dico che va bene così, che ne vale comunque la pena.