lunedì 25 ottobre 2021

Equilibri

Fonte: bioenergetica. it



E' di fronte a me, mi passa dei biglietti da convalidare. Mi chiama con la stessa voce di sempre, ha gli stessi occhi e lo stesso sorriso di quando lavorava qui con noi. Di fatto si comporta come se non fosse successo alcunché ed io so che in fondo è meglio così, che anche il buio fa meno paura se non chiudi gli occhi.
I primi tempi tremavo. Quando li guardavo oltre il vetro il cuore mi esplodeva in petto e sentivo gocce di sangue sfuggirmi dal cuore e cadere sul pavimento. Poi dal vetro passò alla porta, inizialmente solo lui, ora anche con la moglie e una volta, si, con la bambina.
La bambina. 
E' cambiata molto. Mangia schifezze. Non posso fare a meno di pensare che se avessi avuto un ruolo nella sua vita avrei cercato di impedirlo in qualche modo. Con tatto, ma limitarlo.
Però quel ruolo non l'ho avuto e allora la guardo con distacco, cercando di non pensare a quando la tenevo in braccio e l'anima mi si apriva come una porta a soffietto. Con quello stesso rumore tipico.

A questo ragazzo ho voluto bene, gli ero affezionata. 
Sapevo che aveva intorno gente che lo rendeva peggiore di come fosse in realtà, ma tuttavia non ci badai abbastanza. E quando fece quel che ha fatto una parte di me si disintegrò in mille pezzi. Pezzi che sfuggirono al mio controllo, che andarono a schiantarsi addosso alle pareti, che sbatterono sulle porte, che ruppero le finestre. D'improvviso mi trovavo con tutti quei pezzi di vetro, di muro e di legno per terra e in mezzo a loro quelle parti di me che erano sfuggite al mio controllo, deflagrando come una bomba.
Cercai di raccogliere quei pezzi come meglio potevo e nel frattempo feci i conti anche con il lockdown, le paure legate al lavoro, la voglia di mangiare che si perdeva del tutto, il cibo che mi nauseava, la nostalgia dei miei cari, quel senso profondo di delusione che mi avvolgeva ad ogni ora del giorno della notte. 

Sono parzialmente guarita da tutto questo, non ne soffro più.
Eppure la nuova barista vuole che ceni con lei e sebbene mi faccia tanta simpatia il mio unico pensiero è quello di sfuggirle, di tenerla al di là del muro, di non farla avvicinare.
Tremo al pensiero di nuove delusioni, ora che sono ad un buon punto della mia rieducazione alimentare, che mi sento più forte di un anno fa.
Forse guarire significa soffiare sopra le ferite e scoprire che non fanno più male. Questa invece a volte duole ancora, in certi punti pare che la pelle sia ancora fresca, morbida, rosea.
E mi è passata la voglia, si, mi è proprio passata la voglia di affezionarmi, di far entrare nella mia vita qualcuno che invece dovrebbe solo lavorare dietro quel bancone di marmo verde e non avvicinarsi mai più di così. Perché il lavoro è il lavoro, la vita e gli affetti è giusto che ne restino fuori il più possibile.

sabato 23 ottobre 2021

Di Notte

Fonte: soccorsoalpinotrentino. it

Il temporale gridava.
Urlava frasi oscene. 
Ululava.
Gemeva.
Delirava. 
Si abbatteva al suolo con violenza e in cielo creava squarci incendiari.

Pensavo al mio mare, lì sotto, costretto a guardare tutto quel dispiegamento di forze e ad accogliere acqua sporca mescolandola alla propria, fare in modo che diventassero presto una cosa sola, come se sempre si fossero appartenute, come se non fosse esistito un solo giorno in cui erano state entità separate, sconosciute, lontanissime. E mentre il mare s'ingrossava e il cielo diventata sempre più nero ed ostile, mi rifugiavo in pensieri d'amore, leggiadri come farfalle sui fiori di primavera. Pensieri che mi passeggiavano nella testa, dolcissimi, eterei, delicati come coloratissimi nontiscordardime. 

E son stati forse tali pensieri a fare in modo che improvvisamente dal frastuono si arrivasse alla calma.
Un silenzio eclatante, considerando i rumori di pochi istanti prima. 
Il temporale era cessato, senza avvisaglie, come se non avesse trovato nessuno da far tremare e avesse deciso che non ne valeva la pena di sforzarsi tanto per spettatori così poco influenzabili.

sabato 16 ottobre 2021

Come un Gabbiano

 
Fonte: pianetadonna


Ero sveglia da ore, chissà perché il sonno si è rivelato così agitato.
Quando poi mi sono alzata, pochi minuti dopo le sei, il cielo era ancora di un nero pece. Nonostante le finestre sigillate, ho sentito freddo. Mi sono stretta nella mia felpa rossa ed ho fatto colazione prendendomi tutto il tempo necessario, con gli occhi verso il terrazzo sebbene ancora non si vedesse alcunché. Aspettavo la luce, l'alba, i primi tremolii di un nuovo giorno, le prime luci sommesse.
Ho fatto tutto lentamente, sperando che l'aria scaldasse un po'. Non è successo, e allora mi sono avvolta dentro una sciarpa colorata ed un giubbino blu e sono uscita.

Il sabato mattina presto questo è un luogo fantasma. Le vicine scuole sono chiuse, i cancelli chiusi da pesanti catene, i giardini abbandonati. Le case sonnecchiano al di là di finestre e persiane sbarrate e persino i cani se ne restano a dormire sugli zerbini, quieti. 
Ho camminato forsennatamente, come se alle calcagna avessi un diavolo. L'aria era pulita, generosa, il cielo limpidissimo. Ma c'era quel freddo, quelle prime temperature gelide. E allora più che camminare correvo, scaldavo i muscoli nell'unico modo possibile. 
Quando finalmente sono arrivata in spiaggia, ho abbandonato presto il lungomare ombroso e mi sono diretta al sole. La zona delle barche era stranamente deserta di uomini, i soliti pescatori si erano come volatilizzati. Ma c'erano i gabbiani. Numerosi, grandi, piccoli, bianchi e grigi o col piumaggio marrone. Giocavano tra loro, senza azzuffarsi, planavano sull'acqua e poi tornavano su, e dunque di nuovo giù in picchiata. Ho sorriso, per un attimo sognando di essere una di loro, danzando al mattino con la sensualità maliziosa di un'odalisca. 
Tutta la spiaggia era orfana di creature. Non c'erano cani, esseri umani, neppure i soliti piccioni. C'ero solo io con quella moltitudine di gabbiani e allora ho goduto di tutto il mare, tutto quanto, l'ho abbracciato innamorata e felice ed ho avvertito dentro una pace incontenibile che entrava dai piedi ed usciva dai ricci. 

Quando sono tornata a casa, poco meno di due ore dopo esserne uscita, avevo tante cose da fare ma nulla che mi pesasse sulla schiena. Mi sentivo libera, forte, con un giorno ancora tutto da vivere e quell'energia positiva dentro a scaldarmi le ossa.

mercoledì 13 ottobre 2021

Luce Fioca


Ascolto la grandine ticchettare sul ferro delle persiane. E anche se non amo la pioggia né tantomeno questi tuoni che rimbombano in ogni parte del cielo, stasera trovo tutto questo molto rassicurante.
La pioggia leggera, l'asfalto nero e lucido, il suono rauco di un autobus che sfreccia sulla strada principale, i lampioni che emanano una luce cadenzata, fioca come certe abat jour nelle camere dei bambini.
E non so perché mi piaccia tanto scrivere a quest'ora, ad un tiro di schioppo dalle ventidue, quando un'intera giornata è già dietro le spalle e posso finalmente tirare un sospiro di sollievo, stendermi sotto il calore di una bella coperta con le rose azzurre e liberare la mente. 
Annusare casa mia, osservarne i contorni, sentirmi al sicuro nel posto più bello del mondo.
E allora scrivere diventa una naturale conseguenza di questo lieve rilassarsi, dei sensi che si distendono, affievoliti, ripiegati su sé stessi come lenzuola ben stirate. Li vedo appiattirsi, adagiarsi al suolo, toccare il terreno con la grazia immutata di una giovane Carla Fracci. 
E lì distesi mi invitano a quietarmi, ad azzerare azioni e pensieri, a seguire il loro esempio di sensi attutiti e contenti.


mercoledì 6 ottobre 2021

Sospensione




Fuori imperversava un violento temporale che insozzava i vetri. Ho appoggiato la testa sul cuscino e non mi sono lasciata sfiorare. Che facesse pure quello che voleva. Che grandinasse, che tuonasse, che piovesse acqua o la solita sabbia marrone.
Per una volta ho vissuto sospesa, completamente disinteressata a quello che accadeva appena al di fuori dei confini del mio letto.
Sono rimasta un giorno a casa dal lavoro e l'ho trascorso rinchiusa tra queste mura, con una candela accesa ed una lucina soffusa, leggera come vapore acqueo. E poi il silenzio. Pieno, se non si contavano i tuoni che squarciavano cielo e terra.

La coperta mi si adagiava addosso materna. 
C'era quel calore ad avvolgermi, i farmaci che mi tenevano cheta, il sentore di poter dilatare il tempo all'infinito, senza fretta. E' stato un continuo dormiveglia, una sensazione di benessere che si propagava lenta lungo tutto il mio corpo, riparandone un pezzo alla volta, taciturna.
A volte non pensare ai soliti doveri o fingere persino che non esistano può essere terapeutico. Soprattutto per chi come me non si ferma mai, che anche la domenica sente spesso l'esigenza e il bisogno di star dietro a qualcosa, rammendare pezzi di esistenza, organizzare frigoriferi e dispense, stendere lavatrici o preparare polpette da congelare.

E allora me ne sono stata lì, con le ore che passavano lente l'una sull'altra, sfiorandosi appena, quiete.
E quando la sera è arrivata e la notte ha preso possesso del cielo, chiudendo le imposte delle case e rivelandosi in tutto il suo umido torpore, è stato come svegliarsi da un lungo sonno.
Le ciglia distese, le labbra arricciate in un sorriso.

sabato 2 ottobre 2021

La Mano Sul Vetro

 
Fonte: sfogliatellablog 


Risalii sul treno, il nostro tempo insieme quel giorno era scaduto.
Lui mi guardava dalla banchina. Fisso. 
Non si accorgeva di chi gli passava accanto, dei messaggi dagli altoparlanti, di altri treni che arrivavano o che partivano.
C'ero solo io lì seduta. E lui lì fuori.
Mi guardava come se fossi una piccola meraviglia con i boccoli e in quel momento mi sembrò di esserlo davvero. 
Magari non lo ero in senso assoluto ma lo ero per quei due giovani occhi verdi lì fuori.
Il distacco mi sembrò come uno strappo, sentivo zone di me che si laceravano. Zone che non sapevo neppure di avere, aree del mio corpo che non avevo usato mai.
Il treno partì, appoggiai la mano al vetro come se avessi potuto toccarlo ancora per un istante, trattenerlo.
Diventò presto un puntolino, un puntolino che continuava a guardarmi nonostante ormai non mi vedesse più.
Sospirai forte. Appoggiai la testa sul sedile. Chiusi gli occhi.
Mi ero innamorata per la prima volta.

A volte, guardando nei suoi occhi verdi rivedo ancora quel ragazzo allampanato sulla banchina.
Da qualche parte ho letto che quando incontriamo qualcuno che ci cambierà la vita ce ne accorgiamo subito. Abbiamo una sorta di epifania, come uno sparo nella notte il cui rumore si propaghi velocemente in mezzo al silenzio. 
Io non so se questa sia una regola sempre valida, ma di sicuro lo fu per me.
Lo sentii. Mi accorsi in quell'istante, seduta sul sedile blu di un treno per pendolari, che lui non era un ragazzo qualsiasi tra migliaia di ragazzi. Era il mio. E che niente o nessuno avrebbe potuto cambiare questo. Non ero certa che avremmo avuto un futuro insieme, che ci saremmo rivisti, che giorno dopo giorno ci saremmo costruiti vicendevolmente. Non sapevo niente, avevo il vuoto davanti agli occhi. 
Ma dentro di me esisteva già la fiammella di quella consapevolezza ed è forse l'unica certezza che non mi abbia abbandonata mai.