mercoledì 21 luglio 2021

Anni Luce




Vagabondavo senza meta, sebbene stessi percorrendo più o meno lo stesso itinerario di sempre. Le gambe andavano da sole, non era necessario che mi concentrassi, che gli dicessi cosa fare. C'è una memoria nel nostro corpo che a volte funziona meglio della mente stessa. In un certo qual senso l'affianca, fa da sé quando l'altra si perde nei suoi meandri.
E allora la mia mente era distante anni luce e il mio corpo, invece, sapeva dove andare. Mi conduceva con un passo che dal di fuori poteva sembrare spensierato, ma che in realtà nascondeva una dose di fatica distribuita equamente per ogni porzione di me.
Non mi piace la parola "fatica". Mi ricorda che c'è uno strato di sofferenza che tutti dobbiamo attraversare e che già da bambina osservavo sul volto dei miei genitori assorbendone una parte. In queste giornate la percepisco distintamente, in me e Fred, ma anche in mio cognato. Come se ci si fosse incollata addosso e faticassimo a ripulirla via al momento della doccia. Ci resta sulle vertebre, si accumula. Non la si può sudare via come una tossina.

Ieri ho compiuto 36 anni.
Diversamente dagli anni scorsi e nonostante gli eventi dolorosi degli ultimi giorni, l'ho vissuto in maniera quieta: senza amarezze, senza paranoie, senza quella solita paura del tempo che passa. E non è dipeso da una ritrovata saggezza o da una formula magica. Sono state le persone che ho nella mia vita. Quelle vicine, quelle lontane. Hanno saputo esserci tutti. Chi di più, chi di meno, ma tutti. In un abbraccio generale che mi ha fatto sentire amata, che mi ha sostenuta.
E' un periodo complicato e non voglio mentire affermando che tutto va bene. Il lutto mi fa sentire febbricitante, indolenzita e addolorata, e peraltro si è inserito in un momento già difficile di per sé.
Però ieri, nonostante il contorno gravoso, sono stata bene.
Che poi ho quasi solo lavorato, in realtà. Non ho guardato il tramonto gettarsi in picchiata sul mare come 366 giorni fa. Non sono andata a cena fuori con Fred o con gli amici. Però non ho neanche pensato a tutte quelle cose che penso sempre nel mio genetliaco. C'era una dose di euforia in me, come una piccola scintilla capace di scaldarmi il cuore e regalarmi un raro senso di pace.
Le persone, le relazioni, i rapporti umani...sono davvero tutto quello che abbiamo. E dobbiamo prendercene cura ogni giorno perché non c'è pianta che produca fiori coloratissimi in un terreno arido e desertico. L'amore va dissetato con costanza.

venerdì 16 luglio 2021

Memorie

 

Fonte: rayplayradio. it

Sto cercando di venire a patti con l'idea della tua morte.
Scrivo perché sento che, ancora una volta, questo è il mezzo per uscirne in qualche modo, per rimettere in ordine lo scompiglio della mia anima, per attutire il frastuono dentro la mia testa.

La zona d'ombra, l'area complicata delle cose, è quella in cui sento di dovermi arrendere al fatto che tutto quello che c'è stato e che abbiamo condiviso non tornerà più. E' definitivamente chiuso dietro una porta e l'unico gesto che possa fare è spiare dal buco della serratura.
Guardo immagini meravigliose della mia infanzia e rivedo te, rivedo zio Paolo, zia Annamaria. Siete ancora tutti vivi e mi sembra di sentire distintamente le vostre voci. La risata dello zio mi riecheggia in testa come se non se ne fosse andato mai.

Rivedo i pranzi delle domeniche d'estate in campagna.
Riascolto l'allegria, il chiasso, le canzoni, le battute, il frinire delle cicale.
Ed eravamo tutti lì, intorno a quel lungo tavolo della tua taverna, con la collezione di bottiglie strane dello zio alla parete che nessuno toccava mai.
E a volte facevamo notte e guardavamo le lucciole danzare nell'aria, sotto un manto di stelle che così fitte e numerose non le ho riviste più.
Alcune sere c'erano i fuochi d'artificio in lontananza e andavamo a guardarli sul grande terrazzo. Era uno spettacolo che si ripeteva ogni anno per le feste di paese e voi, i miei splendidi zii, conoscevate le date di ciascuna di esse.
Era tutto troppo bello, troppo intenso, troppo forte. 
Forse mi sono mancate un po' di coccole ma la gioia no e la presenza di persone che mi hanno educato ed amato neppure.
Eravamo una grande famiglia e i figli di uno erano controllati anche dagli altri. Non ci si annoiava mai, si aveva sempre qualcuno con cui parlare, qualcosa da fare, nuovi progetti da iniziare.
E le lacrime struggenti di mia madre le comprendo meglio di chiunque altro perché so quanto sia difficile dire addio, un addio assolutamente inevitabile ed irreversibile, alle persone con le quali si è vissuto tutto questo. 

E dunque zia mi mancherai e ci mancherai. Non scorderò le lacrime di mio fratello, il suo viso arrossato, il tremore delle sue mani. Lui che è sempre una lastra d'acciaio. Condividiamo gli stessi ricordi adesso, lo stesso straniante dolore.
Che poi, a ben guardare, tutto questo era già finito o cambiato tempo fa. 
Ogni persona che ha oltrepassato quella porta si è portata via qualcosa e ognuno che se ne è andato ha lasciato la stanza un po' più spoglia e vuota.
Però poi di ricordi se ne sono aggiunti altri, magari con persone nuove che meritano il nostro amore allo stesso modo di voi che ci avete lasciato. E per loro, per loro che ci riempiono la vita come avete fatto voi, dobbiamo essere grati.
Ma ora che mi sento un po' persa, vi prego, almeno da lontano statemi vicini.

giovedì 15 luglio 2021

Cronache di un Dolore Annunciato

Fonte: emapi. it



12 luglio, ore 22:32.
Io non so come sia riuscita a concludere il turno con quel dolore che all'improvviso mi si espandeva dentro. E' stato come lavorare con una macchia di sangue che si allargava via via a ridosso del cuore e tentare in tutti i modi di nasconderla. Ad un certo punto, sola in negozio con mio cognato e una scopa in mano, sono scoppiata a piangere. Guardavo la scopa, il pavimento, tutti quegli oggetti che pulisco ogni santo giorno e ogni cosa mi sembrava estranea. Volevo solo andarmene, scappare via, fuggire dagli occhi della gente o anche solo da quello stesso dolore, per poi scoprire che mi avrebbe seguito anche a casa, che mi si sarebbe attaccato addosso come resina di pigna. Improvvisamente era ovunque. Sulle mani, tra i capelli, sotto gli occhi, tra le costole. Avevo tutta quella resina addosso e non me ne potevo liberare.

Allora poi, una volta varcate le mie mura, dopo la doccia e dopo aver portato a termine ogni altra incombenza, ho iniziato a ricordare. La sua voce, prima di tutto. Il suo sguardo. Le sue unghie. Il modo in cui acconciava i capelli. Le sue gambe grosse. Il seno prosperoso.
Le collane che teneva in un portagioie di madreperla sul comò. Le volte in cui a casa sua, da bambina, correvo in camera per poterle toccare. 

Lei era la zia che gli altri fratelli criticavano perché si era sempre sentita diversa. Le piacevano le cose belle, si circondava di tanti amici, regalava agli altri buona parte di quello che aveva, si muoveva il minimo indispensabile. Estremamente autoritaria con suo marito, aveva spesso delle idee strambe che nessun altro capiva. 
Mi ripeteva continuamente quanto fossi bella. E se non c'ero lo diceva a mia madre. Bella e brava, secondo lei. L'anima del negozio. Che poi non ci era mai entrata ma lo sapeva, ci credeva nel profondo. Osservava come mi vestivo e per lei ero sempre perfetta, la nipote curata da guardare con orgoglio ed ammirazione. Non l'ho mai vista farlo con altre nipoti, per cui quei complimenti, anche se mi imbarazzavano, erano assolutamente autentici. Che poi fossero dettati dall'affetto, beh, faceva parte del gioco, ma ero contenta di piacerle.

Non so come andranno le prossime ore, me le immagino all'incirca come una centrifuga. Ho ripulito il sangue, mi sono calmata un po'. Me ne vado a letto sperando nell'oblio di un sonno privo di sogni.

13 luglio, ore 12:50.
Era bello il mare, agitato all'incirca quanto me. Dietro gli occhiali da sole, al riparo dagli sguardi di bagnanti sconosciuti, camminavo piangendo senza fare il minimo rumore.
Stava dentro, il chiasso. Fuori c'erano solo guance umide e occhi di pozzanghera.
Un forte vento mi tirava addosso la sabbia e a tratti tossivo, altri dovevo chiudere forte le palpebre per non riempirle di quel terriccio. Sono passata tra la gente del mercato, il cielo che via via si incupiva sempre di più. Ho pensato a quanto fosse peculiare tutto quel vento e quel cielo plumbeo in un giorno di metà luglio dopo mesi di sole ininterrotto.
Come se anche la natura mi stesse abbracciando, come se volesse unirsi a me nel cercare di metabolizzare quella ferita sanguinolenta. E allora mi sono lasciata abbracciare, disinfettare, trascinare verso casa dalle sue ali potenti. 

14 luglio, ore 21:45.
Dopo il funerale, quando gli addetti delle pompe funebri erano pronti per issarsi sulle spalle la bara con le spoglie di mia zia, mio zio si è messo lì davanti, con il bastone in una mano e l'altra a toccare il legno. La stava trattenendo. Ho avvertito la scoccata di un dolore acuto spaccarmi in due. 
Ho ricominciato a piangere, protetta solo dalla mascherina, ma in fondo incurante di chi potesse vedermi, perché piangevamo in molti, era un male condiviso. 
Sessant'anni insieme e l'incapacità di lasciar andare la persona con cui si è vissuto in simbiosi. Tutto quel tempo, tutto quell'amore, tutte quelle liti. I figli, i nipoti, il tempo insieme, il letto da condividere, le idee che non combaciavano mai. E poi un giorno si resta soli davanti ad una bara chiusa a voler trattenere con le mani ciò che non può essere trattenuto.
L'ho abbracciato ed ho sentito un amore immenso esplodermi dentro e un bisogno di urlare e singhiozzare per giorni, chiusa in qualche stanza che nessuno possa aprire.

lunedì 12 luglio 2021

Un Sospiro

 
Fonte: Nicolettacinotti. net


Ci sono periodi più pesanti di altri e sono quelli in cui mi sembra di non riuscire a trovare le parole. 
Sembrano dileguarsi, sfuggire al mio controllo, andare a nascondersi.
Sento solo la stanchezza che sale piano, che mi avvolge la testa, i muscoli. Che avviluppa tutto il mio corpo come un serpente con le sue spire.
Circondata dai doveri, dalle sveglie, dalle nottate quasi in bianco, dai turni snervanti a lavoro, da allenamenti che col caldo ed il sudore diventano asfissianti, da un'estate che ancora non riconosco, che non riesco a vivere appieno, troppo presa dagli orari, e dalle corse, e dai mille andirivieni di ogni giorno.

Poi mi ricordo che sono giovane, che è questo il momento di spingere sulla vita, di prendere rincorse, il momento del fiato corto, delle ore piccole, del procedere con frenesia. Mi ricordo che ci sarà tempo per starsene sul divano, per riposare, per guardare film alla tv, per godersi un concerto o anche solo una passeggiata senza contare i passi e le prestazioni.
Eppure... eppure anche un corpo giovane, a volte, può aver bisogno di dormire. Di chiudere gli occhi e sentirsi in pace, senza che vi siano pensieri che tirano da ogni parte per svegliarlo. Di vivere attimi di quiete, in un'immobilità che non sia ozio ma un giusto ricaricarsi.

Chiudo gli occhi, respiro. Ma è più un sospiro in realtà.
Necessità semplicissime che si condensano in un filo d'aria che mi esce dalla bocca.
E che contiene tutto, senza che debba dire alcunché. Senza che debba trovare le parole che cercavo, quelle giuste, quelle perfette, quelle che in fondo non servono a nessuno.
Un refolo di sensazioni che sfuggono via così, in sconcertante solitudine e che mi liberano un po'.

lunedì 5 luglio 2021

Parallelismi

Fonte: atuttodonna.it


Mi ricordi me bambina così tonda, con gli occhi e i capelli scuri. 
E quando ieri mi sei corsa incontro, abbracciandomi, stringendomi in quel modo quasi convulso... è te che abbracciavo, non temere. Ma almeno in parte, una piccolissima microscopica parte, abbracciavo anche la me di ventiquattro anni fa.
Mi sei mancata in questi mesi. Mi è mancato quell'affetto dolcissimo, quella tenerezza, quell'entusiasmo nello sguardo, quei sorrisi, quel volersi prendere cura di chi ami. Hai 11 anni ma sei già una piccola donna, un po' bambina e un po' ragazza, ma già così materna nel tuo modo di fare. 
Mi ricordo quando il tuo parlare era un urlo continuo. Quando pretendevi l'attenzione da chiunque ti stesse intorno. Quando la tua presenza era quasi fastidiosa.
Dico quasi, tranquilla. Che a me fastidio non ne hai dato mai.
Ma ho imparato ad amarti con il tempo, perché è così che faccio sempre. Ci impiego un po'.
No, non me lo ricordare che tuo fratello, invece, l'ho amato al primo sguardo. Lo so, è vero. E non sai quante volte mi sono colpevolizzata per non aver saputo fare lo stesso con te. Per non aver pianto in quel modo commosso quando sei nata, quando per la prima volta ti ho stretta tra le braccia.
Però mettila così. Quando tuo fratello è nato avevo solo 16 anni e l'incoscienza emozionata e priva di barriere dell'adolescenza.
Quando sei nata tu ero più grande, già un pochino disillusa, già cosciente di poter amare un passo dopo l'altro. E allora capirai, forse, che tutto quello che provo ora, piccolina, è merito tuo. Di quello che sei. Non di un'emozione nata ancora prima di te, non da un moto di pancia. Ma merito della tua personalità, della tua esuberanza, di quell'abbracciarci cuore a cuore che si sente il mondo intero in quei momenti lì.

Mangi di gusto, l'hai sempre fatto.
Ti ho fotografato mentre gustavi un piatto di spaghetti alla chitarra col ragù.
Ho una foto simile, di una me molto più piccola di te adesso, in cui addentavo felice uno spiedino di carne. Io che addento uno spiedino di carne.. fa ridere solo a pensarci. Ero davvero io?
Ti hanno presa bonariamente in giro e mi sono sentita un po' morire in quel momento.
Perché io lo so che questo non andrebbe fatto mai. Soprattutto con una bambina.
E allora ti ho abbracciato di più e ho sentito dentro un po' di dolore che spero tanto non abbia sentito anche tu. Ho ricordato quando anche io mangiavo con gusto, e quando qualcuno si prendeva un po' gioco anche di me.
E ora che tutto questo è solo un ricordo, ora che guardo il mio piatto in modo così diverso, soppesandolo, alleggerendolo...ho sperato che tu non debba farlo mai. Sentirti inadeguata, intendo. Che tu non debba mai alimentarti con sforzo, o con paura, o far diventare il cibo un tema dominante della tua esistenza, un pensiero continuo.
Chiudi le orecchie al giudizio altrui e tieni lontano soprattutto il tuo. Amati come sei, sempre, che sei bellissima, un fiore incantevole in un giardino di secchi arbusti. 
E abbracciami sempre così, anche se ci vediamo poco. Emozionati come hai fatto ieri, dicendomi "non ti vedo da ottobre. Mi sei mancata tanto".
Amore...mi sei mancata anche tu. E quando ti diranno qualcosa che ti fa male, qualsiasi cosa, chiama me. Ci sono draghi che non si possono sconfiggere da soli. Ma magari in due, chissà.