 |
Fonte: Pinterest |
C'è una donna in questo universo che è la donna che meno mi assomigli in assoluto.
Certo abbiamo le stesse labbra, lo stesso colore di capelli. Abbiamo anche la stessa pelle che tende a macchiarsi al sole. Ma per il resto non esiste particolare che ci renda simili, affini in qualche modo.
Questa donna ed io ci conosciamo da sempre. Dopo la mia nascita, ma forse anche prima, non c'è stato un solo giorno in cui lei non mi abbia pensato, non abbia rivolto al cielo una preghiera per me.
Si era truccata solo il giorno del suo matrimonio ed era presto diventata una donna pratica, di quelle che si curano poco, che dentro i vestiti si nascondono, che abbassano lo sguardo quando vengono guardate dritto in faccia. Non indossava profumi, non metteva creme, non stendeva il rossetto sulle labbra.
Non sapeva neanche cucinare perché era andata a lavorare prestissimo e in casa non c'era mai. Le insegnò la suocera, che di quegli insegnamenti le avrebbe fatto scontare ogni minuto passato insieme, avvelenandola un po' di più ogni giorno come solo certi serpenti riescono a fare.
E mentre crescevo e la guardavo mi rendevo conto di quanto fossimo diverse. Aveva alcuni sandali col tacco che appartenevano al suo periodo pre-matrimoniale e che teneva chiusi in un armadietto. Avevo appena cinque anni, me le infilai, mi parvero le uniche scarpe che potessi indossare da quel giorno fino all'eternità. Erano enormi ma ci andavo in giro fiera, felicissima, già una femmina in miniatura. Rise di me ma mi lasciò fare.
Non abbinava i colori ed ho sempre avuto la sensazione che non li percepisse appieno. Scambiava il fucsia col rosso, non riconosceva l'arancione. E allora andava in giro sempre vestita in modo un po' assurdo e tante volte ci andavo anche io, almeno fin quando non potei prendere le redini della situazione e scegliere per me.
Mi invaghivo dei prodotti di bellezza della vicina perché lei non ne possedeva, non li conosceva, non le interessavano. E quando andavo a casa di mia zia guardavo sognante il suo portagioie ricolmo di collane bellissime.
Avevo un cassetto pieno di borse e a sette anni chiesi ad una sua amica di comprarmi un rossetto, il primo della mia vita, che le tenni nascosto per anni e che indossavo di nascosto in bagno, ammirandomi allo specchio, per poi pulirmi le labbra con la carta igienica prima di uscire di nuovo.
Quella donna era ed è mia madre.
Che ha dedicato la sua vita agli altri, a noi, tenendo sempre così poco per sé stessa.
E nel frattempo vedendo crescere questa figlia che non le assomigliava per niente, che man mano le diventava più estranea, più distante, meno allineata.
Se solo penso agli scontri, alle liti, alle parole che mi rigettava addosso come fossero pietre. Perché sapeva amarmi solo così, a quell'epoca, e non capiva che il mio diventare donna non le avrebbe tolto alcunché. Non c'erano abbracci, coccole, confessioni. C'era solo quella distanza dolorosa che ci pesava addosso. E allora io iniziai la mia crescita mangiando troppo. Poi mangiando poco. Poi tagliuzzandomi qui e là. Mi guardavo allo specchio e cercavo di riconoscermi, di comprendermi, di percepire cosa ci fosse al di là di quella sensibilità troppo acuta che un giorno avrei nascosto, barricato, incarcerato.
E ora che è tutto diverso mi chiedo come abbia potuto scrivere queste cose proprio stasera, che è la festa della mamma e che avrei dovuto celebrare questa donna che per me ha fatto tutto quello che si potesse fare, invece di rivangare storie lontanissime che non servono più a nessuno. Dopo anni in cui l'ho vista amarmi in modo così forte, così intenso, così incredibilmente vicino nonostante la distanza.
Anno dopo anno quella ragazza dalla vita complicata è diventata un'altra donna e c'è una sola cosa che non sia cambiata mai, l'essersi annullata per noi, l'aver vissuto per crescerci, per sostenerci. Prima senza mezzi, poi imparandoli strada facendo mietendo errori come vittime. Me li sento ancora addosso ma li ho perdonati tutti perché quando smisi di mangiare la prima volta non ci fu persona che più di lei mi aiutò ad uscire da quel vortice. Ed ancora oggi continua a guardarmi nel piatto, ad aver timore che smetta di nuovo, che non mi nutra a sufficienza. Sempre con quella paura latente di vedermi scomparire.
Non saprò mai essere come te mamma.
Non potrò mai uscire di casa senza essermi guardata allo specchio, aver abbinato i colori, indossato un paio di belle scarpe, messo il rossetto sulle labbra.
Non potrò mai cucinare per tante persone e farlo con gioia, col sorriso, con quell'anima materna che a poco a poco è diventata il tuo marchio di fabbrica.
Non potrò mai starmene ferma per ore davanti alla tv. O non potrò mai stare ferma in generale, che non so più come si fa.
Non potrò mai essere una madre che ha rinunciato a tutto il resto per i figli, mettendoli al primo posto sempre, azzerando le proprie esigenze per ascoltare unicamente le loro.
Non sarò mai così accogliente, così chioccia come sei diventata, così premurosa. Avrò sempre spazio per me stessa, prima che per chiunque altro, portando alta la bandiera di un egoista individualismo di cui non mi pento neanche un po'.
Non potrò mai, mamma. Non potrò perché non sono te. E a volte penso che questa femminilità spesso esasperante ed esasperata sia stata tirata fuori proprio dall'assenza della tua, mortificata sempre, nascosta, messa da parte.
Sono questa mamma e in fondo lo devo anche a te, alle nostre differenze, a tutto quello che ci divide e a quella cosa, però, che ci terrà sempre unite. L'amore.