lunedì 26 aprile 2021

You And Me

 
Fonte: pixiz


Ero seduta in terrazzo, con il sole in faccia, le mie piante fiorite intorno, un quaderno rosso aperto sulle gambe. Mi hai mandato un messaggio, mi hai chiesto se potevi chiamare o se mi avresti disturbato. 
Ma no che non disturbavi, tu non disturbi mai.
Che ci sono pochissime persone al mondo che potrebbero chiamare anche nel cuore della notte e trovarmi pronta per loro e tu sei tra quelle.

Ti era successa una cosa spiacevole, eri scossa, avevi bisogno di sentire la voce di una persona a cui vuoi bene per calmarti. E quella persona ero io.
Mi si è sciolto il cuore.

Conduciamo due vite così diverse, ora. Distanti, impegnative, frenetiche.
Ci si sente così poco e quasi sempre per messaggio perché spesso non si trova neanche un orario in cui esser libere entrambe per una telefonata.
Ma un messaggio non è la tua voce, non è la mia voce.
E allora ieri, sotto quel sole caldo del primo vero pomeriggio di primavera di quest'anno, mi ha fatto uno strano effetto.
Come se entrambe avessimo viaggiato in apnea e finalmente avessimo potuto tornare a respirare un po' in quel momento di condivisione.

Abbiamo parlato del presente, del passato.
Di quelle pizze nel nostro ristorante preferito in Piazza della Vetreria. Delle passeggiate che facevamo subito dopo, delle chiacchiere, di quei momenti tutti al femminile in cui io ero soltanto io e tu soltanto tu.
Mi hai detto che non sei più la stessa, che quella ragazza di un tempo ora ti fa tenerezza. Ho sorriso. Anche io non sono più la stessa, ma che senso avrebbe avuto vivere questo decennio se non ci avesse cambiate, se fossimo rimaste le stesse due ragazzine di allora?

Siamo state al telefono a lungo, separate solo da quel piccolo schermo che si scaldava a contatto con l'orecchio.
Fisicamente distanti, emotivamente così vicine che ad un certo punto mi sono sentita morire un po', quando è uscita fuori la storia della nostalgia che proviamo l'una per l'altra, il bisogno che avremmo di una giornata tutta per noi, di una serata fuori, di chiacchiere ad oltranza e di quelle cose senza senso che fanno troppo bene al cuore per poter essere anche ragionevoli.

Ci ripenso e mi scende una lacrima perché mi rendo conto di quanto nella frenesia della vita spesso si tendano a nascondere picchi di dolore dietro pile gigantesche di doveri o di svaghi provvisori.
Per non vederli, per non sentirli, per non farsi schiacciare. 

giovedì 22 aprile 2021

Quante Inutili Parole

 


Parla da solo.
A raffica. 
Infila una parola dietro l'altra come perline su una collana da annodare.
Le sento vorticare fuori, sovrapporsi, diventare una pila altissima, come se improvvisamente la collana non fosse più soltanto una, ma ce ne fossero tante, troppe, fino a riempire la stanza.
Quasi mi sembra di vederle saturare l'aria e infine rimbalzarmi addosso. Sono fatte di carta, di metallo, piombini di polvere da sparo.
Non erano innocenti perline colorate? E invece eccole qui, pesanti, di una stupidità che accieca, che annienta, che distrugge.

Mi isolo, porto la mente altrove, nei pressi di un luogo lontanissimo in cui questa cacofonia non possa raggiungermi. 
Fisicamente non posso andarmene, è il mio lavoro.
Devo restare qui, con le gambe ben salde sul terreno, anche se dentro ogni molecola vacilla, sembra voler cercare un varco da cui uscire. Le sento pungolarmi la pelle, miriadi di spilli sotterranei.

E poi all'improvviso esce. Saluta e se ne va.
Guardo mio cognato negli occhi, è sfinito anche lui. 
Ridiamo nel constatare come capiti proprio a due come noi, che parlano il meno possibile, di dover sottostare ad un simile bombardamento.
Ed è un sorriso amaro, di chi in un giorno di pioggia sottile avrebbe forse bisogno di una qualche forma di conforto completamente afona e leggera, leggera, così leggera da avvertirla appena.
Una carezza delicata.
Un lieve refolo di vento.
Un fiore da annusare.

Rientra.
Era solo una vana speranza quella di essergli sfuggiti.
Ricomincia a parlare ed è la solita mitraglietta.
Poi mio cognato mi lascia sola con lui, entra in magazzino.
Ed io resto qui, assente ma presente, una donna di cui sia rimasto solo l'involucro e tutto il resto si sia arreso, volatilizzato, scomparso come scompaiono certe persone per cui si fanno gli appelli alla tv.

giovedì 15 aprile 2021

Strati

 
Fonte: viaggiatore. net


Negli ultimi tempi vivo su un sottile strato di apatia.
Non so a cosa sia dovuto. 
Forse al sole che si mescola col freddo. O al vento che mi scarmiglia la faccia e i capelli e si porta via un po' del mio consueto entusiasmo.
Forse se guardo bene tra l'erba ai bordi delle strade che attraverso, o ai fiori rosa degli alberi di Giuda che circumnavigano certe vie nelle quali spesso mi ritrovo, posso ritrovarlo lì.

Potrei affermare che così non mi piaccio, che non mi riconosco.
E può esser vera la prima, ma sulla seconda avrei qualcosa da ridire.
Se mi guardo indietro credo di aver vissuto buona parte della mia vita a sentirmi mancare il terreno sotto i piedi per un nonnulla. Perennemente adagiata su un filo di rasoio sul quale tante volte ho perso l'equilibrio e son caduta.
Forse alla mia età, a metà strada tra i trenta e i quarant'anni, dovrei poterlo ritenere un moto quasi perenne dell'anima. 
Un suo capriccio, una sua variante, una di quelle caratteristiche che non ti puoi levar di dosso con la stessa facilità con cui la sera ti spogli ed entri in doccia.
Un po' come le maree, la cui unica costante sia quella di muoversi. Ma ci sono maree basse, alte, maree che mangiano la sabbia, altre che sembrano venirne inghiottite.
E come loro io mi vedo mutare ogni giorno e ogni giorno sento di non ritrovarmi appieno.

domenica 11 aprile 2021

Moto Ondoso

 
Fonte: Dizy. com

Se sapeste quanto ho scritto per questo blog questa sera.
Se sapeste quante volte ho cancellato, riscritto, cancellato di nuovo.
Se sapeste che l'ho fatto anche ieri, su un quadernaccio, per poi gettare via il foglio in un impeto di rabbia.
E va così. Non leggerete nulla di quello che forse era già pronto per essere pubblicato.
Perché le parole o sono già pronte, o sembrano non arrivare mai.
O le hai sulla punta della lingua e sotto le dita, pronte a premere sui tasti, o non le hai affatto.
Quelle perfette, quelle che volevi, le uniche che potessi davvero usare.
Non le ho trovate.
Ho scandagliato, cercato, guardato ovunque potessi guardare.
Ve lo assicuro: non sono da nessuna parte. 

Dunque eccomi qui, senza le parole giuste.
Sola e silenziosa con quelle riciclate, quelle spente, quelle che non farebbero luce qualora mi trovassi in una strada deserta in piena notte.
Sono solo io, che ho trascorso la domenica a correre da un lato all'altro di questa piccola casa, a fare mille cose e poi altre mille perché va bene tutto ma la noia no, non fa per me.
L'ozio, che per me non è un vizio ma un'assenza di vitalità, mi è così lontano che non riesco a guardarlo neanche con un binocolo, issandomi su di una qualche altura.
E non riesco a vederlo perché ne ho una considerazione così bassa che anche una formica la troverebbe minuscola. 

E' per questo che a volte arrivo stremata e devo passare una settimana come una larva per riprendermi.
E' per questo continuo ondeggiare, questo fare fare fare, che ad un certo punto mi ritrovo sfinita in un angolo e Fred deve raccogliermi con un cucchiaino.
E pur sapendolo non riesco a cambiare atteggiamento o modo di agire perché questa è la mia vita e questa sono io. Una trottola che gira, che volteggia su sé stessa, anche per stupide e banalissime ragioni, ma che in quel suo girare ha trovato un senso, un mezzo per restare in piedi.

lunedì 5 aprile 2021

Un Gatto Randagio

Fonte: Corriere Milano


Più cresco - maturo? invecchio? - più mi rendo conto di quanto le intromissioni altrui mi stiano strette. Se da ragazzina mi davano semplicemente fastidio, ora ho smesso di tollerarle. Completamente. 
Ho smesso di fingere che mi stiano bene, smesso di elargire sorrisi di circostanza, smesso di porgere l'altra guancia.
Penso che la questione non sia quella di dire il meno possibile per quieto vivere, ma semmai arginare, bloccare sul nascere, evitare che le persone si insinuino dove non devono.

A Pasqua ho trascorso qualche ora con mia suocera. 
Conosco la sua migliore amica da molti anni e so perfettamente che è una brava persona, ma so anche che ha un carattere particolarissimo che ho sempre sopportato a malapena.
Per amore di Fred e per rispetto verso mia suocera ho sempre tollerato le sue domande a raffica, spesso anche indiscrete. L'ho fatto per anni. E per anni mi sono sentita sul vetrino di un microscopio: pronta per essere vivisezionata, osservata, scandagliata.
Solo che io non sono il tipo che abbia voglia di raccontarsi, di rispondere ad interrogatori di qualunque genere, di esporre i fatti miei al giudizio altrui. E quando ho sentito mia suocera raccontare in quali e quanti modi questa donna si comporti in maniera inopportuna anche con lei sono scoppiata. 
Perché il solo sentire di una persona che per decenni le ha tolto l'aria - senza che mia suocera se ne rendesse conto appieno - mi ha stretto un nodo intorno al collo. Ho provato la sensazione quasi fisica di sentire un cappio stringersi intorno alla mia gola, i polmoni ricevere sempre meno aria. Ho sofferto. 

Ed in quel momento ho capito che non potrei mai vivere un rapporto del genere.
Un'amicizia alla quale tener conto di tutto.
Una persona da vedere o sentire ogni giorno.
Ho capito, semmai ce ne fosse ancora bisogno, che non sono il tipo che riesce ad includere qualcuno in maniera così totalizzante all'interno delle proprie giornate.
Non ho posto. Non lo voglio. Non ne ho bisogno.
Mi sento un gatto randagio, magari disposto a farsi accarezzare ogni tanto, ma non così desideroso di una compagnia fissa...in special modo se indiscreta.
E quella sensazione di asfissia mi si è insinuata a tal punto sottopelle che ho dovuto scriverne qui per cercare di liberarmene, per portarla fuori da me stessa, fissarla su questa pagina bianca, purificarmi.