giovedì 30 dicembre 2021

Casi Fortuiti

Fonte: Farmaciadelcorso. net


La natura sembrava voler scoppiare davanti ai nostri occhi.
Le foglie rosse ai bordi delle strade catturavano lo sguardo, provavano a decentrarlo rispetto al resto. Ma poi lo alzavi e trovavi un cielo come di primavera e alti alberi di un bell'arancio vivo come frutti maturi da toccare. E poi sterminate colline e il verde bosco e le nuvole rarefatte e le bacche sui cespugli.
Quando penso alla felicità mi ricordo sempre di attimi come questo e credo che porterò le sensazioni di questo pomeriggio con me ancora a lungo, come un bagaglio di gioia a cui attingere, come una borraccia di acqua fresca che guarisca l'arsura.

E mentre tutti e quattro tornavamo dai nostri chilometri, chiacchierando e ridendo come ragazzini, mi sono sentita chiamare. Un'automobile si era fermata in mezzo alla strada ed era lei. Quell'amica con la quale sono cresciuta, con cui si è vissuto di tutto, le gioie, i dolori, la rabbia, le liti, le delusioni, l'allontanamento emotivo e poi geografico.
Non la vedevo da cinque anni. Sua figlia era nata da pochi giorni e suo padre morì dopo appena due settimane da quella domenica. 
L'ho raggiunta. E' biondissima ora. Ma il viso è sempre quello, come se il tempo si fosse fermato. E' scesa, ci siamo tenute a distanza per via del covid.
Non ci è stato concesso neanche un abbraccio ed è stato un tremolio continuo perché entrambe forse lo avremmo desiderato e non si poteva. Il covid ci ha tolto anche questo, la spontaneità di gesti che un tempo sarebbero venuti naturali e che oggi, invece, ci tengono a distanza di sicurezza da chi amiamo.
Ma l'emozione, quella, non è mancata un solo attimo. 
Abbiamo parlato lì, in quella stessa piazzola dove tanti anni prima avevamo preso una pioggia torrenziale sotto ombrelli troppo piccoli in una mattinata terribile che ogni tanto mi torna ancora in mente. 
E quando poi ci siamo salutate e lei ha iniziato a piangere per la commozione e i ricordi e chissà cos'altro, ho pensato che non l'avrei rivista più. Che quella era davvero l'ultima occasione, l'ultima volta. E allora quel momento, quegli istanti in cui le nostre vite hanno potuto incastrarsi di nuovo, è diventato emblematico, bellissimo e tremendo insieme, un regalo inatteso ma preziosissimo. 

venerdì 24 dicembre 2021

Assaporare

 


C'è un verbo a cui mi piace pensare in questi giorni dell'anno ed è assaporare.
Gli attimi irripetibili.
Le persone che avremo intorno.
I cibi che non mangiamo mai.
Gli odori che impregnano le stanze.
Il freddo che ci punge la faccia.
I pensieri, anche quelli non edificanti, quelli ansiogeni, quelli che facciamo di tutto per scacciare via.
Le sensazioni che ci attraversano la pelle.
I giochi.
I grani della tombola sotto le dita.
Le voci di persone care.
Il calore di una sciarpa che ci avvolge il collo.
La mano di chi amiamo stretta nella nostra.
Le risate, gli attimi di allegria.
Le canzoni festose che passano in radio. 
Le luci intermittenti delle luminarie nelle vie centrali.
I giganteschi alberi addobbati nelle piazze.
Il tintinnio dei calici alla mezzanotte.

Dobbiamo permettere al Natale di essere speciale nonostante le notizie sconfortanti che passano in tv o le criticità di giornate che di festoso hanno poco perché ci mancherà qualcuno o qualcosa.
Anziché pensare a quello che non c'è, facciamo in modo di gustare quello che abbiamo, che è ancora moltissimo e merita, ogni santo giorno, la nostra piena considerazione.
Consentiamo a questi giorni sospesi di offrirci qualcosa di bello, di buono, di puro. Di magico. Come se fossimo ancora bambini e potessimo credere in Babbo Natale.

Auguri di Buon Natale.
Un abbraccio a tutti coloro che passeranno qui a leggere i miei pensieri scossi.

mercoledì 22 dicembre 2021

Liam



Liam è arrivato gli ultimi giorni di novembre.
Non lo aspettavo, si è solo messo lì lasciandosi guardare. Ho atteso che andasse via, come vanno sempre via le bolle rosse dopo qualche giorno che sono venute. Ma lui no, è rimasto lì tra il torace e l'addome, silenzioso, come se avesse trovato il posto ideale dove sedersi a riposare.
Lo guardavo durante la doccia, a volte mi dava un leggero prurito, ma non avrei potuto definirlo fastidioso, è sempre stato un tipo taciturno.
E mentre aspettavo che partisse, lui decideva di rimanere.

Passate circa due settimane ho iniziato a provare un po' di timore, che poi è diventato paura. Una paura silenziosa, poco comunicativa come Liam. 
Non ne parlavo granché, la provavo mentre facevo tutt'altro, che fossero gli allenamenti, le pulizie, la preparazione dei pasti, il lavoro. O quei primi minuti del sonno in cui mi rannicchiavo a Fred sperando che ciò bastasse a spazzarmela via.
E che insieme alla paura, quell'abbraccio si portasse via pure Liam, che invece restava lì, rosso acceso come una pustola infiammata, giorno dopo giorno.

Quando la speranza di vederlo sparire come una qualunque altra bolla smise di aleggiarmi in testa, decisi di consultare un medico che mi aiutasse a dissipare i dubbi, dopo che il viaggio dal mio era stato del tutto inconcludente. 
L'unica mattinata di cielo azzurro e limpido in una settimana di cieli grigi. Aspettai il mio turno seduta su una delle sedie scomode e dozzinali della sala d'aspetto. Di fronte avevo due quadri storti di una tristezza infinita.
Sentivo la voce tonante dello specialista oltre la porta e pregavo che poco dopo, quella stessa voce, mi dicesse che era tutto apposto.
Che Liam non fosse un nemico, ma solo un foruncolo troppo cresciuto che presto mi avrebbe abbandonata. 

Sono passate poco più di ventiquattro ore da quel momento.
Ora so cos'è Liam anche se non so tutto quello che dovrò aspettarmi da lui.
Forse resterà lì a guardarmi vivere, spettatore silenzioso di questa esistenza tra altre milioni di esistenze che avrebbe potuto scegliere.
O forse un giorno inizierà a parlare, a raccontarmi di storie più complicate alle quali adesso non ho voglia di pensare. So solo che Liam è un agglomerato di cellule che non avrebbe dovuto esserci e che d'ora in poi dovremo convivere, qualunque cosa possa voler significare.

sabato 18 dicembre 2021

Col Sole Addosso

Fonte: wellnessfarm .it


Sabato 18 dicembre 2021, ore 13.
Il sole si appoggia sospirando alla finestra e con un salto inonda metà della mia cucina. 
Lo osservo spostarsi poco a poco, entrare sempre un po' più a fondo in questa stanza.

Sento un buonumore diffuso in me, lo avverto dentro da un paio di giorni.
Il cielo sereno, il mare calmo di questa mattina, i cani che si rincorrevano sulla sabbia, l'enorme albero addobbato in piazza, i cavalli bianchi sulla giostra, le foto che ho scattato, la mia tazza di Babbo Natale.
Spesso mi capita di fare una lista di cose che mi hanno reso felice durante il giorno e questo banale esercizio mi ha fatto render conto di quanto siano semplici le cose che mi fanno stare bene.
Sono una di quelle persone che non ha bisogno di fare chissà cosa per essere contenta. Ho il sorriso sulle labbra per delle vere piccolezze, forse le uniche davvero essenziali. 


Ore 15:55.
Quando sono entrata in negozio sorridevo. Sorrideva anche Fred, forse perché finalmente la sua settimana lavorativa si era appena conclusa. L'ho abbracciato, ci siamo scambiati un bacio casto attraverso la mascherina. Siamo scoppiati a ridere come due ragazzini.
E anche questo breve siparietto mi ha resa felice. 

Che poi di motivi per non essere così serena ne avrei, uno in particolare. Una preoccupazione latente che è lì ferma da un po' e che forse riuscirò a dissipare martedì mattina.
Non so cosa accadrà, cosa mi verrà detto, se questa preoccupazione è lecita o meno. E forse proprio perché non lo so preferisco pensarci il meno possibile, godermi questa felicità fatta di attimi minuscoli e meravigliosi che hanno un vero e proprio peso soltanto per me. 
E tutto il resto può aspettare, qualunque cosa sia. Io sono qui, vivo il presente, con questo sole meraviglioso che mi illumina tutta e che mi fa dire che il mondo resta un posto incredibilmente attraente nel quale vivere, nonostante le difficoltà e le brutture che inevitabilmente contiene. 

mercoledì 8 dicembre 2021

Raffiche

Fonte: sienanews .it



Forti raffiche di vento sferzano le imposte chiuse come se le volessero spezzare.
E' una serata da lupi, di quelle in cui in giro non si vede neanche un cane. Se ne stanno tutti rintanati da qualche parte, al coperto, chiedendosi quando questo brutto tempo finirà. 

E' stata una giornata silenziosa, tranquilla, di sospensione.
Anche se fino alle tre e mezzo del pomeriggio non mi sono fermata un attimo, ho trascorso le ore successive in totale relax. Pioveva e non mi importava, non vedevo e non sentivo alcunché di quello che avveniva al di fuori di queste quattro mura.
C'era solo questo starsene beati, senza una sola preoccupazione imminente, come se potesse bastare staccare un giorno per chiudere ogni dovere in qualche soffitta due piani più su. 
E anche se ad un certo punto tendevo ad annoiarmi, mi è bastato pensare alle tante cose che ho fatto fin dopo pranzo per dirmi che potevo sentirmi apposto così, senza necessariamente dovermi alzare a fare altro.

Ma se anche avessi voluto oziare tutto il giorno, sarebbe stata davvero una tragedia?
Di sicuro non sarebbe caduto il mondo, però l'immobilità non mi appartiene, non più.
Eppure ricordo che un tempo mi sentivo esattamente così, immobile. E che in quella sensazione di appiattimento stavo scomparendo. 
Ora che la mia vita è cambiata, che io stessa sono cambiata, sento di dovermi sempre muovere, agire, fare, spostare, sporcare, poi pulire. Fermarmi solo quando le pile sono completamente scariche, quando gli occhi mi si chiudono col sonno e non vi è più una sola cellula capace di tenersi in piedi.
Credo che la mia soddisfazione generale dipenda anche da questo: dalla quantità di tempo che passo tenendomi attiva. 

venerdì 3 dicembre 2021

Corda di Violino

Fonte: libero. it



E' dicembre da tre giorni e per la prima volta dopo un numero imprecisato di anni, sento che non mi dispiace. Un tempo amavo questo periodo, lo sentivo vibrare come una corda di violino dentro di me, ma poi esplodere in musica pian piano, giorno dopo giorno, mentre il tempo galoppava veloce verso il Natale.
E quella vibrazione, quella melodia, mi facevano impazzire di gioia.
Mi sentivo come su una nuvola, come se stessi camminando su strade più leggiadre, come se potessi fare le scale due a due, correndo, canticchiando un motivetto allegro. 
Ho avuto un animo fanciullesco per almeno vent'anni, il che è una buona media tutto sommato.
Ed ora che di anni ne ho trentasei penso di poterlo riavere indietro. Farmi di nuovo trascinare, ammaliare, conquistare da questo momento come non ce ne sono di eguali in tutto l'anno.
E non sarà come prima, magari.
Ma può essere bello comunque. Posso di nuovo sentirmi in quel modo, se voglio.
Chiudere gli occhi e lasciarmi condurre, come in un passo a due. Un ballo lento, guancia a guancia, con le palpebre serrate. 


martedì 30 novembre 2021

Mare d'Inverno

 
Fonte: una penna spuntata


E' tornato il sole, almeno per oggi.
E' incredibile quanto le giornate possano apparire diverse quando la luce invade stanze intere, quando ti viene a cercare ovunque ti trovi.
A dire il vero, prima ancora che lo facesse, ero già fuori di qui. 
Gli sono andata incontro.

Mi mancava il mare, il fluttuare leggero delle onde, quell'odore salmastro. 
Mi mancava il suo abbraccio.
Il freddo mi è entrato ovunque, non c'era modo di arginarlo. E' stato come muoversi con le gambe di cemento. E le mani erano così ghiacciate da non poterle aprire.
In spiaggia non c'era nessuno ad eccezione di un giovane pescatore che riparava le reti. 
Quell'uomo aveva uno scopo per sottoporre la sua schiena a quel clima ostile.
Il mio invece qual era? perché me ne stavo lì tutta sola col vento che mi frustava la faccia e i riccioli che svolazzavano ovunque, impigliandosi come le reti che lui teneva in mano?
Proseguendo ho fotografato stabilimenti balneari spezzati dalle maree, cabine con le porte spalancate, assi di legno gettati alla rinfusa sulla sabbia, giochi rotti per bambini. 
Cumuli di vita in sospeso, sentimenti divelti e spazzati via. 

D'improvviso ho sentito l'esigenza di andarmene, di essere lontana da lì, di trovare riparo da qualche parte. E invece ho camminato ancora un po', con le scarpe che affondavano nella sabbia troppo umida, pregna d'acqua piovana. Avevo la musica alle orecchie ma era un sottofondo lieve e stonato che percepivo appena. Gli occhiali scuri coprivano occhi smarriti, meno vitali di giorni simili a questo.

Dunque sono arrivata al mercato, che anche stavolta era pieno di colori e di gente che mi osservava passare. Mi guardano tutti le gambe e il sedere, chissà perché. Li vedo percorrere il mio corpo per intero e poi fermarsi lì, ogni volta.
Ho parlato con i miei amici. Il signore di Napoli che abita a Cisterna. Un indiano che vende vestiti. Bulgari col suo pane di segale. Laura e Claudio. Flavio e Santina, a cui ho chiesto di Giovanni che non vedo mai. Ho incontrato anche mia suocera con la sua fidata amica. 
Mi sono fatta incantare da un Babbo Natale ballerino che ho comprato per il negozio.
E dopo aver fatto tutto me ne sono tornata a casa, ho attraversato di nuovo il vento gelido per la strada ed ora che sto scrivendo queste poche righe penso che forse mi ammalerò, che da tempo non mi sentivo così stanca e giù di corda.

mercoledì 17 novembre 2021

L'Orologio A Pendolo




17 novembre 2021, ore 12:54.
Il silenzio mi avvolge completamente, c'è solo l'orologio del forno che spezza l'atmosfera ovattata che mi sono scelta. Mi ci immergo come se fosse fatto di acqua di lago, lo sento accarezzarmi prima i piedi, poi i polpacci, dunque le cosce, l'addome, il seno. Sigillo le palpebre e vi sprofondo fino ai capelli. I ricci saettano, poi mi si incollano addosso.
Riemergo, apro gli occhi. Non sono trascorsi che pochi istanti. Eppure è già ora di andare via, di spogliarsi di nuovo, rivestirsi, farsi bagnare da questa pioggia sottile, entrare in negozio, fingere di essere pronta per affrontare il mondo, le voci, i clienti, i rumori, le cose da fare.
Quest'anno sono meno ostile all'autunno, è un processo iniziato già da un po'. Però questa voglia di starmene in casa la detesto e so che è lui che me la porta, che me la piazza sulla schiena.

Ore 17:22.
I ciclamini rossi mi guardano dalla fioriera, si ergono vividissimi tra le loro foglie spesse. A loro non dà fastidio il calare del buio né quello ancor più detestabile delle temperature. E' in questa stagione che danno il meglio di sé, l'unica in cui sappiano vivere nel pieno fulgore della propria bellezza.
Invece io in questa giornata mi sento spenta come un fuscello avvizzito a cui manchino la luce del giorno e il calore del sole. Sento la pelle creparsi a contatto con quest'aria umida o forse anche solo con questo umore traballante che oscilla come un orologio a pendolo.
C'è Romano qui fuori che parla al telefono. La sua voce arriva fino alla mia postazione, come se non ci fossero un vetro ed una porta a separarci. Ed è la sua voce a riportarmi a questo momento, al luogo in cui mi trovo, alla presenza di mio cognato dietro le spalle, al lavoro, alla gente che viene e che va.

sabato 13 novembre 2021

Lui e Lei

Fonte: atuttodonna. it



Ci sono pensieri che vanno scritti subito, appena la mente te li getta fuori.
Perché poi magari ci ragionerai su e gli cambierai forma, spunterai i peli troppo lunghi, toglierai le grinze agli abiti, li pettinerai, troverai il modo di renderli più diplomatici, meno scontrosi.
E invece questi li voglio scrivere così come sono, prima di trovare il tempo di sistemarli.

Mia nipote mi ha contattato stamattina, anche se ci eravamo sentite appena ieri. 
Mi ha detto che con il suo storico fidanzato si sono lasciati, senza drammi né lacrimoni, circa diciotto ore fa. Quando l'ho letto ho sentito come un tonfo, attutito ma pur sempre un tonfo, al centro del petto.
E mentre parlavamo e capivo che nonostante il dispiacere stava bene, pensavo al fatto che non lo avrei visto più. Quel ragazzo alto e gentile a cui in questi otto anni ho voluto bene, avrebbe smesso di colpo di far parte anche della mia vita. Di quella di tutti noi.
Non ci sarebbero state altre feste da trascorrere insieme, altre chiacchiere in allegria, altre serate, altri bagni in piscina con Molly. E anche il prossimo Natale sarà più vuoto e spento senza di lui.
Perché quando due persone si lasciano dopo tanto tempo finisce un'era anche per gli altri. Si chiude un ciclo. 
E allora forse mi sarebbe piaciuto dargli un ultimo abbraccio, ringraziarlo per aver riempito le nostre vite in questi anni, con quel suo modo di fare sempre gentile e pacato, quella presenza garbata e mai invadente.
E' un distacco a cui dovremo abituarci tutti, senza farlo pesare all'unica persona che di questa vicenda è davvero protagonista.
Domani finalmente la vedrò, l'abbraccerò, le offrirò la mia spalla ed il mio appoggio incondizionati, come sempre. Ma oggi...beh, oggi sento di volermi abbracciare un po' anche io, perché so di dover dire silenziosamente addio a qualcuno che speravo di tenere qui anche negli anni a venire.

lunedì 8 novembre 2021

La Casa degli Specchi



Sono le 18 e il buio avvolge ogni cosa da un'ora o poco più. 
Scende una pioggia lenta ed umidissima, nebbiosa, che si confonde con i fari di automobili che raggiungono destinazioni che non conosco.
Avevo un post sulla lingua stanotte, quando non riuscivo a dormire. O forse l'avevo davanti agli occhi, spalancati dal non poter dormire. Avrei potuto scriverlo per intero sul cuscino e ne sarebbe venuto fuori un capolavoro, che si sa che le parole notturne sono quelle più evocative. Descrivono in maniera perfetta ogni sensazione, ogni visione, ogni più intimo singulto. Ma ora è giorno e quelle parole perfette sono sfumate come alito caldo al freddo del mattino. 

Pensavo a mia zia, che non c'è più da metà della mia vita.
Ci pensavo a causa di un telefono col filo. Un banalissimo telefono col filo di quelli che erano nelle case di ciascuno circa trent'anni fa. Era sul mio comodino nell'albergo di Perugia: in quella stanza moderna era l'unico tocco vintage, agee. 
Probabilmente ne avevo uno uguale anche in casa mia, eppure ricordo solo il suo, all'ingresso, su quel mobile in legno di ciliegio in cui entrando ci si poteva anche specchiare. La ricordo parlare lì, appoggiata, col suo vocione che lo sentivi anche due rampe di scale più giù.
Quella era casa sua ma era anche casa mia. Non so quante volte ci sono entrata, facevo su e giù in continuazione. Ne saprei descrivere ogni angolo, ogni mattonella, come se l'avessi ancora davanti agli occhi. E sebbene la casa sia sempre sopra quella dei miei genitori, non ci entro più da qualche anno. 
L'ultima volta che l'ho fatto fu per seguire mia nipote. Entrammo nella stanza dei miei zii. C'erano ancora l'enorme specchiera ed il lungo comò col marmo bianco. E quell'armadio antico, bellissimo, ci si poteva specchiare anche da lì aprendo le ante. 
A volte mi sembra di vederla ancora appoggiata alla balaustra fuori dal suo portone. Si parlava così, su quelle scale dove piante rampicanti adornavano ogni gradino. Non c'erano gli sms e non si potevano fare intere conversazioni al citofono. La luce arrivava ovunque dalle grandi vetrate, illuminava i nostri volti e quelle stesse scale. 
Ancora mi chiedo come sia riuscita a sopportare la mancanza di persone che così tanto hanno inciso nella mia vita da averla dipinta un po' anche a modo loro. Con i propri colori, le proprie voci, i loro insegnamenti. Mi chiedo come sia stato possibile reggere il colpo di perdere quei pilastri e ciononostante stare ancora in piedi.
Solo poche sere fa sotto la doccia mi accorsi di non avere più nessuna delle mie zie con cui sono cresciuta, da quando a luglio ho perso l'ultima. Come una bambina uscii piangendo e andai a rifugiarmi tra le braccia di Fred. In quel momento sentii tutto il peso della loro assenza, di quelle parole di conforto che a volte mi sarebbero servite anche se non le avrei chieste mai.
Mi pare incredibile che non ci siano più, a volte mi sembra che quello che è stato sia ancora così presente da non poter davvero andarsene.

mercoledì 3 novembre 2021

Legami

Fonte: getupandwalk .it


A volte è tutto così bello e semplice, lineare, gioioso. Come lo scorso week end in Umbria.
E altre volte invece è tutto così complicato, assurdo, pesante. Come quello che si prospetta tra una manciata di giorni.

Sarebbe forse giusto, ogni tanto, scappare via e non farsi trovare.
Sfuggire ai propri genitori, a chi si ama, ai doveri collegati ai sentimenti. Perché i legami portano lacci, ed è il bello e il brutto di amare.
E allora con la mente sfuggo fino a non sentire più nulla. Questo correre quotidiano, questo affanno, questa tachicardia che a volte mi martella il petto di sera, quando sento che è tutto passato e posso finalmente cadere nell'oblio.

Sono in un bosco, da sola. Non c'è nessuno che mi tiri da una parte all'altra come una bambola di pezza. Non ci sono pasti da preparare, bagni da pulire, pavimenti su cui togliere le briciole, scale di legno da lavare, bucati da stendere, girare al sole, poi ritirare, piegare e mettere apposto.
Ci sono gli alberi alti, le foglie rosse sotto i piedi. C'è un masso su cui posso sedermi a riposare. Osservo la bellezza delle foglie, una ad una. Sono tutte diverse, nella forma e nel colore. C'è un silenzio che profuma di pace, di serenità. Non c'è neppure uno scoiattolo che disturbi la mia quiete, posso respirare senza mascherina a pieni polmoni, come mi ha insegnato Ornella. Posso scattare fotografie che poi guarderò altre mille volte col sorriso sulle labbra, ripensando a quando ero lì da sola, sfuggita al controllo di chiunque.
Poi forse sentirò il dolore di essergli sfuggita, mi mancheranno, avrò forse voglia di tornare e mi alzerò, riprenderò la mia solita vita fatta soprattutto di cose belle ma anche di momenti in cui mi sento schiacciare il corpo e la testa dentro una pressa. Tuttora sento questa forza d'acciaio opprimente che vuol comprimermi tutta fino a farmi scoppiare.

Sono momenti. Quando sono fortunata durano solo una manciata di ore, poi smetto di pensarci e tutto torna al proprio posto. Come in quelle stanze in cui butti tutto all'aria durante uno scoppio d'ira, poi i libri tornano sugli scaffali, gli abiti ben piegati negli armadi, le lenzuola stirate sul letto, i quadri dritti alle pareti, i profumi allineati sul comò.
E mentre aspetto che il cuore smetta di sanguinare, che le lacrime tornino al di là degli occhi, che i battiti decelerino, mi dico che va bene così, che ne vale comunque la pena.

lunedì 25 ottobre 2021

Equilibri

Fonte: bioenergetica. it



E' di fronte a me, mi passa dei biglietti da convalidare. Mi chiama con la stessa voce di sempre, ha gli stessi occhi e lo stesso sorriso di quando lavorava qui con noi. Di fatto si comporta come se non fosse successo alcunché ed io so che in fondo è meglio così, che anche il buio fa meno paura se non chiudi gli occhi.
I primi tempi tremavo. Quando li guardavo oltre il vetro il cuore mi esplodeva in petto e sentivo gocce di sangue sfuggirmi dal cuore e cadere sul pavimento. Poi dal vetro passò alla porta, inizialmente solo lui, ora anche con la moglie e una volta, si, con la bambina.
La bambina. 
E' cambiata molto. Mangia schifezze. Non posso fare a meno di pensare che se avessi avuto un ruolo nella sua vita avrei cercato di impedirlo in qualche modo. Con tatto, ma limitarlo.
Però quel ruolo non l'ho avuto e allora la guardo con distacco, cercando di non pensare a quando la tenevo in braccio e l'anima mi si apriva come una porta a soffietto. Con quello stesso rumore tipico.

A questo ragazzo ho voluto bene, gli ero affezionata. 
Sapevo che aveva intorno gente che lo rendeva peggiore di come fosse in realtà, ma tuttavia non ci badai abbastanza. E quando fece quel che ha fatto una parte di me si disintegrò in mille pezzi. Pezzi che sfuggirono al mio controllo, che andarono a schiantarsi addosso alle pareti, che sbatterono sulle porte, che ruppero le finestre. D'improvviso mi trovavo con tutti quei pezzi di vetro, di muro e di legno per terra e in mezzo a loro quelle parti di me che erano sfuggite al mio controllo, deflagrando come una bomba.
Cercai di raccogliere quei pezzi come meglio potevo e nel frattempo feci i conti anche con il lockdown, le paure legate al lavoro, la voglia di mangiare che si perdeva del tutto, il cibo che mi nauseava, la nostalgia dei miei cari, quel senso profondo di delusione che mi avvolgeva ad ogni ora del giorno della notte. 

Sono parzialmente guarita da tutto questo, non ne soffro più.
Eppure la nuova barista vuole che ceni con lei e sebbene mi faccia tanta simpatia il mio unico pensiero è quello di sfuggirle, di tenerla al di là del muro, di non farla avvicinare.
Tremo al pensiero di nuove delusioni, ora che sono ad un buon punto della mia rieducazione alimentare, che mi sento più forte di un anno fa.
Forse guarire significa soffiare sopra le ferite e scoprire che non fanno più male. Questa invece a volte duole ancora, in certi punti pare che la pelle sia ancora fresca, morbida, rosea.
E mi è passata la voglia, si, mi è proprio passata la voglia di affezionarmi, di far entrare nella mia vita qualcuno che invece dovrebbe solo lavorare dietro quel bancone di marmo verde e non avvicinarsi mai più di così. Perché il lavoro è il lavoro, la vita e gli affetti è giusto che ne restino fuori il più possibile.

sabato 23 ottobre 2021

Di Notte

Fonte: soccorsoalpinotrentino. it

Il temporale gridava.
Urlava frasi oscene. 
Ululava.
Gemeva.
Delirava. 
Si abbatteva al suolo con violenza e in cielo creava squarci incendiari.

Pensavo al mio mare, lì sotto, costretto a guardare tutto quel dispiegamento di forze e ad accogliere acqua sporca mescolandola alla propria, fare in modo che diventassero presto una cosa sola, come se sempre si fossero appartenute, come se non fosse esistito un solo giorno in cui erano state entità separate, sconosciute, lontanissime. E mentre il mare s'ingrossava e il cielo diventata sempre più nero ed ostile, mi rifugiavo in pensieri d'amore, leggiadri come farfalle sui fiori di primavera. Pensieri che mi passeggiavano nella testa, dolcissimi, eterei, delicati come coloratissimi nontiscordardime. 

E son stati forse tali pensieri a fare in modo che improvvisamente dal frastuono si arrivasse alla calma.
Un silenzio eclatante, considerando i rumori di pochi istanti prima. 
Il temporale era cessato, senza avvisaglie, come se non avesse trovato nessuno da far tremare e avesse deciso che non ne valeva la pena di sforzarsi tanto per spettatori così poco influenzabili.

sabato 16 ottobre 2021

Come un Gabbiano

 
Fonte: pianetadonna


Ero sveglia da ore, chissà perché il sonno si è rivelato così agitato.
Quando poi mi sono alzata, pochi minuti dopo le sei, il cielo era ancora di un nero pece. Nonostante le finestre sigillate, ho sentito freddo. Mi sono stretta nella mia felpa rossa ed ho fatto colazione prendendomi tutto il tempo necessario, con gli occhi verso il terrazzo sebbene ancora non si vedesse alcunché. Aspettavo la luce, l'alba, i primi tremolii di un nuovo giorno, le prime luci sommesse.
Ho fatto tutto lentamente, sperando che l'aria scaldasse un po'. Non è successo, e allora mi sono avvolta dentro una sciarpa colorata ed un giubbino blu e sono uscita.

Il sabato mattina presto questo è un luogo fantasma. Le vicine scuole sono chiuse, i cancelli chiusi da pesanti catene, i giardini abbandonati. Le case sonnecchiano al di là di finestre e persiane sbarrate e persino i cani se ne restano a dormire sugli zerbini, quieti. 
Ho camminato forsennatamente, come se alle calcagna avessi un diavolo. L'aria era pulita, generosa, il cielo limpidissimo. Ma c'era quel freddo, quelle prime temperature gelide. E allora più che camminare correvo, scaldavo i muscoli nell'unico modo possibile. 
Quando finalmente sono arrivata in spiaggia, ho abbandonato presto il lungomare ombroso e mi sono diretta al sole. La zona delle barche era stranamente deserta di uomini, i soliti pescatori si erano come volatilizzati. Ma c'erano i gabbiani. Numerosi, grandi, piccoli, bianchi e grigi o col piumaggio marrone. Giocavano tra loro, senza azzuffarsi, planavano sull'acqua e poi tornavano su, e dunque di nuovo giù in picchiata. Ho sorriso, per un attimo sognando di essere una di loro, danzando al mattino con la sensualità maliziosa di un'odalisca. 
Tutta la spiaggia era orfana di creature. Non c'erano cani, esseri umani, neppure i soliti piccioni. C'ero solo io con quella moltitudine di gabbiani e allora ho goduto di tutto il mare, tutto quanto, l'ho abbracciato innamorata e felice ed ho avvertito dentro una pace incontenibile che entrava dai piedi ed usciva dai ricci. 

Quando sono tornata a casa, poco meno di due ore dopo esserne uscita, avevo tante cose da fare ma nulla che mi pesasse sulla schiena. Mi sentivo libera, forte, con un giorno ancora tutto da vivere e quell'energia positiva dentro a scaldarmi le ossa.

mercoledì 13 ottobre 2021

Luce Fioca


Ascolto la grandine ticchettare sul ferro delle persiane. E anche se non amo la pioggia né tantomeno questi tuoni che rimbombano in ogni parte del cielo, stasera trovo tutto questo molto rassicurante.
La pioggia leggera, l'asfalto nero e lucido, il suono rauco di un autobus che sfreccia sulla strada principale, i lampioni che emanano una luce cadenzata, fioca come certe abat jour nelle camere dei bambini.
E non so perché mi piaccia tanto scrivere a quest'ora, ad un tiro di schioppo dalle ventidue, quando un'intera giornata è già dietro le spalle e posso finalmente tirare un sospiro di sollievo, stendermi sotto il calore di una bella coperta con le rose azzurre e liberare la mente. 
Annusare casa mia, osservarne i contorni, sentirmi al sicuro nel posto più bello del mondo.
E allora scrivere diventa una naturale conseguenza di questo lieve rilassarsi, dei sensi che si distendono, affievoliti, ripiegati su sé stessi come lenzuola ben stirate. Li vedo appiattirsi, adagiarsi al suolo, toccare il terreno con la grazia immutata di una giovane Carla Fracci. 
E lì distesi mi invitano a quietarmi, ad azzerare azioni e pensieri, a seguire il loro esempio di sensi attutiti e contenti.


mercoledì 6 ottobre 2021

Sospensione




Fuori imperversava un violento temporale che insozzava i vetri. Ho appoggiato la testa sul cuscino e non mi sono lasciata sfiorare. Che facesse pure quello che voleva. Che grandinasse, che tuonasse, che piovesse acqua o la solita sabbia marrone.
Per una volta ho vissuto sospesa, completamente disinteressata a quello che accadeva appena al di fuori dei confini del mio letto.
Sono rimasta un giorno a casa dal lavoro e l'ho trascorso rinchiusa tra queste mura, con una candela accesa ed una lucina soffusa, leggera come vapore acqueo. E poi il silenzio. Pieno, se non si contavano i tuoni che squarciavano cielo e terra.

La coperta mi si adagiava addosso materna. 
C'era quel calore ad avvolgermi, i farmaci che mi tenevano cheta, il sentore di poter dilatare il tempo all'infinito, senza fretta. E' stato un continuo dormiveglia, una sensazione di benessere che si propagava lenta lungo tutto il mio corpo, riparandone un pezzo alla volta, taciturna.
A volte non pensare ai soliti doveri o fingere persino che non esistano può essere terapeutico. Soprattutto per chi come me non si ferma mai, che anche la domenica sente spesso l'esigenza e il bisogno di star dietro a qualcosa, rammendare pezzi di esistenza, organizzare frigoriferi e dispense, stendere lavatrici o preparare polpette da congelare.

E allora me ne sono stata lì, con le ore che passavano lente l'una sull'altra, sfiorandosi appena, quiete.
E quando la sera è arrivata e la notte ha preso possesso del cielo, chiudendo le imposte delle case e rivelandosi in tutto il suo umido torpore, è stato come svegliarsi da un lungo sonno.
Le ciglia distese, le labbra arricciate in un sorriso.

sabato 2 ottobre 2021

La Mano Sul Vetro

 
Fonte: sfogliatellablog 


Risalii sul treno, il nostro tempo insieme quel giorno era scaduto.
Lui mi guardava dalla banchina. Fisso. 
Non si accorgeva di chi gli passava accanto, dei messaggi dagli altoparlanti, di altri treni che arrivavano o che partivano.
C'ero solo io lì seduta. E lui lì fuori.
Mi guardava come se fossi una piccola meraviglia con i boccoli e in quel momento mi sembrò di esserlo davvero. 
Magari non lo ero in senso assoluto ma lo ero per quei due giovani occhi verdi lì fuori.
Il distacco mi sembrò come uno strappo, sentivo zone di me che si laceravano. Zone che non sapevo neppure di avere, aree del mio corpo che non avevo usato mai.
Il treno partì, appoggiai la mano al vetro come se avessi potuto toccarlo ancora per un istante, trattenerlo.
Diventò presto un puntolino, un puntolino che continuava a guardarmi nonostante ormai non mi vedesse più.
Sospirai forte. Appoggiai la testa sul sedile. Chiusi gli occhi.
Mi ero innamorata per la prima volta.

A volte, guardando nei suoi occhi verdi rivedo ancora quel ragazzo allampanato sulla banchina.
Da qualche parte ho letto che quando incontriamo qualcuno che ci cambierà la vita ce ne accorgiamo subito. Abbiamo una sorta di epifania, come uno sparo nella notte il cui rumore si propaghi velocemente in mezzo al silenzio. 
Io non so se questa sia una regola sempre valida, ma di sicuro lo fu per me.
Lo sentii. Mi accorsi in quell'istante, seduta sul sedile blu di un treno per pendolari, che lui non era un ragazzo qualsiasi tra migliaia di ragazzi. Era il mio. E che niente o nessuno avrebbe potuto cambiare questo. Non ero certa che avremmo avuto un futuro insieme, che ci saremmo rivisti, che giorno dopo giorno ci saremmo costruiti vicendevolmente. Non sapevo niente, avevo il vuoto davanti agli occhi. 
Ma dentro di me esisteva già la fiammella di quella consapevolezza ed è forse l'unica certezza che non mi abbia abbandonata mai.

lunedì 27 settembre 2021

Pensieri Vaghi

Fonte: lamenteemeravigliosa. it


Sono qui che ascolto il silenzio lasciandomi riempire.
Il cielo è grigio e minaccia pioggia, ho chiuso le tende per non doverlo guardare.
Sogno molto in queste notti o forse dopo tanto tempo porto i sogni con me fino al risveglio, ricordandoli come si ricordano i fotogrammi di un film che si è veduto senza troppo concentrarsi, a spezzoni. E allora vedo facce e luoghi senza una connessione logica che li accomuni, tentando di recuperare il filo conduttore senza mai riuscirci veramente.
Il sonno senza sogni mi piace di più, lo trovo più limpido, più leggero. Ma purché si dorma mi va bene tutto, mi piace quell'oblio, quello scendere ad occhi chiusi in un mondo di tenebra confortante, di tenero quietarsi. 

Ieri i miei genitori erano qui. Non vengono mai, una volta l'anno se va bene. 
Li ho osservati riempire i miei spazi con discrezione. Le loro voci e la loro presenza mi hanno inondato il cuore. Abbiamo mangiato con la famiglia di Fred, tutti insieme, che io queste rimpatriate le soffro sempre un po', invece poi è stato bello e mi sono sentita tranquilla, felice.
Quando sono ripartiti ho sentito come uno strappo. Un cerotto che togli a fatica portandoti appresso pezzi di pelle. Mi sono detta che il destino non esiste ma che, qualora fosse realtà tangibile, il mio sarebbe quello di stare sempre un po' lontana da chi amo. 
Mi guardo la pelle, vedo il sangue rappreso lì dove ho tolto il cerotto. Lo tocco, mi commuovo, sento una lacrima leggera appostarsi appena dietro la tendina delle ciglia, timida. Sospiro, l'aria inonda i polmoni, li purifica. Va tutto bene e sono una donna fortunata.

giovedì 23 settembre 2021

Trenta




Mia nipote ha compiuto 30 anni.
Che se ci penso mi chiedo come sia possibile che quella scimmietta con i riccioli chiari sia cresciuta così tanto. Che io stessa sia diventata una donna a tutti gli effetti quando solo l'altro ieri - o almeno così mi sembrava - pedalavamo insieme sui sassi del giardino a gran velocità. O ballavamo canzoni di un'altra epoca sulla grande terrazza assolata mettendo dischi vecchissimi che a noi parevano attuali.
Sei anni di differenza, cresciute come sorelle, senza mai un'invidia di fondo, una qualche forma di gelosia o di rivalità. Eppure ti insegnano che tra donne spesso è così, che succede anche quando si condivide lo stesso sangue. Ma a noi non è capitato e ogni volta che la guardo mi sale dentro un sentimento d'amore così intenso che a spiegarlo farei fatica e probabilmente non potrei, non potrei neppure. Perché si raccontano i gesti, gli atteggiamenti, gli attimi, le giornate. Ma non si possono davvero descrivere i sentimenti senza peccare per difetto o per eccesso. E in questo caso, lo so già, peccherei per difetto.
E allora la vedo crescere, annuso la sua vita come ho sempre fatto, con discrezione. Ponendomi sempre un passo indietro, mai uno avanti perché non ho niente da insegnarle.
La vedo incespicare. Oppure soffrire. Qualche volta gioire in modo così pieno che il suo sorriso diventa contagioso, un sole che illumina stanze intere, palazzi a tre piani, colline e montagne.
La mia piccola donna.
Che a volte mi manca così tanto che il fiato si spezza, il cuore perde un battito ogni tre, i polmoni si chiudono come a volermi ricordare che senza aria sono ancor meno di un granello di polvere. Poi ci vediamo e non le dico mai quanto ho patito senza poterla vivere. Dimentico tutto in un istante e già stare all'interno di una stessa stanza, ascoltare la sua voce familiare o inebriarmi della sua risata argentina mi è sufficiente. E anche quando le ore scorrono veloci e non riusciamo a stare da sole per un solo istante prima che io riparta o sia lei ad andare via, sento che è bello lo stesso. Un piccolo miracolo che si rinnova. Quello di due vite che scorrono lontane, ma unite da un filo sottile che le tiene legate nonostante il passare dei giorni, dei mesi e quindi degli anni.
Auguri piccola mia. 
Ricordati che qui, anche se altri giorni, altri mesi e quindi altri anni passeranno, c'è una persona che ogni qualvolta ne avrai bisogno, sarà pronta per te. Una persona che non sarà mai sorda al tuo richiamo, ad un tuo cenno anche sottile, ad un tuo sguardo anche solo appena più velato del solito.
Ma nel frattempo, sperando che questo bisogno di una spalla tu non debba averlo mai, vivi, gioisci, sbaglia, sbaglia fino a sentirlo nelle ossa e in quegli sbagli sii felice e guardandoti allo specchio amati. Un po' come ti amo io, che ti guardo e mi sembri perfetta.

sabato 18 settembre 2021

Punti di Sutura


E' stato come tornare a casa dopo un lungo viaggio e ritrovare le cose a me care nella stessa posizione in cui le avevo lasciate. I profumi preferiti sul comò, gli abiti ordinati nell'armadio, le poesie accanto al letto, i fiori sul balcone, trucchi e belletti nella stanza rosa al piano di sopra.
Solo che non me ne sono mai andata, sono sempre stata qui. E pur raggiungendo il mare almeno un paio di volte alla settimana, non riuscivo a riacciuffare quelle sensazioni, quell'appagamento, quel senso di libertà che erano state una costante degli ultimi anni.

Poi stamattina, senza che ne avessi il minimo sentore, quelle emozioni sono tornate.
E le ho provate con una violenza tale da sentir dentro un palpito nuovo, una gioia diversa, un tornare nel luogo che mi sembrava di aver perso pur avendolo fortunatamente a disposizione.
Le nuvole adornavano il cielo e le onde sbattevano l'una sull'altra, rincorrendosi festose. Gli stabilimenti chiusi mi catturavano gli occhi, si facevano guardare, mesti e solitari. Le barche erano tutte parcheggiate a riva, riposavano. E non c'erano gabbiani a spartirsi i pesci sulla spiaggia. Anche le conchiglie sembravano aver ripreso tutte la strada del mare, lasciando in massa il bagnasciuga.
Ed io ero lì che camminavo, che correvo, che mi emozionavo, che guardavo ogni cosa come se fosse la prima volta, con un bagaglio di emozioni nuove di zecca che mi sbattevano addosso con ardore, accarezzandomi la pelle come brezza fresca.

Mi sono sentita felice. 
Ho pensato alle difficoltà degli ultimi mesi, al fatto che avrei potuto lasciarle andare o non farmi segnare troppo, non farmi imbruttire.
Che non ne vale mai la pena di imbruttirsi. Di stare male il doppio di quanto si dovrebbe.
Che la vita, nonostante i problemi, resta un viaggio incantevole che può serbare sorprese nuove anche quando meno ce le aspettiamo. 

Ho guardato a lungo il mare, sola con i piedi ben poggiati sulla spiaggia vuota, e mi son detta che anche stavolta mi stava curando. 
Stava mettendo punti di sutura sulle mie ferite, leccando via lacrime che non sapevo neppure di aver versato. Mi ha tenuto stretta a sé per un po', un po' padre, un po' fratello, un po' migliore amico. E quando me ne sono andata stavo meglio, mi sentivo finalmente salva.


La cura per ogni cosa è l'acqua salata
sudore, lacrime, o il mare”.
Karen Blixen

domenica 12 settembre 2021

Raffiche

Fonte: studiocataldi. it



Da qualche parte sento esplodere raffiche di fuochi di artificio. Ne ascolto il trambusto ma non le vedo, sono in casa e le persiane sono ormai chiuse da un po'. Provo un guizzo di curiosità che mi porterebbe ad alzarmi a guardare se non fossi così pigra, a quest'ora, da preferire il conforto di questo letto. Intuisco che provengono dal mare e chiudendo gli occhi li immagino colorare il cielo con i loro flutti di luce.
E' una serata oltremodo tranquilla, non c'è il solito chiasso che ha animato ogni giorno ed ogni notte degli ultimi due mesi. Settembre si sta portando avanti, l'estate cede il passo, sulle strade circola meno gente, i ristoranti di pesce non straripano più.

E' stata una bella domenica.
Il sole, la spesa fatta con calma, la frutta e le verdure scelte con perizia, il tempo speso con i cugini, quello con i miei genitori, le chiacchiere allegre dopo il pranzo.
Poi ripartire nel pomeriggio, stendere le lenzuola una volta tornati a casa, i capelli di Fred sul pavimento dopo averli tagliati, una cena frugale, la doccia troppo bollente.
Il letto, finalmente il letto.
Finisce sempre troppo in fretta la domenica, non è vero?
Ti sembra di acciuffarla appena ed è già ricordo.

lunedì 6 settembre 2021

L'Abbraccio

 

Fonte: fisicaquantistica. it

E' un caldo pomeriggio di inizio settembre ed io sono qui che osservo la vita scorrere con il solito ritmo al di là di questo vetro. Sulle fioriere ho piantato fiori nuovi, li guardo e sorrido. Sono di un bel fucsia vibrante, osservarli mi infonde un senso di pacata beatitudine.
Vorrei che bastasse a spazzare via le inquietudini di questo lungo periodo, intervallato solo dalla potenza di vacanze già finite da un po'.
Chiudo gli occhi per riascoltare quei suoni, rivedere gli stessi posti, passeggiare con la mente su quelle vie. Ma li riapro e sono di nuovo qui, in questo posto che amo, ma che sta togliendo energie vitali e salute a qualcuno che amo molto di più.
Faccio la forte, quella combattiva, e anche se mi sento in entrambi i modi, in realtà la preoccupazione e i problemi stendono dentro anche me. Sento il peso di questi avvenimenti sulle mie spalle ossute ma soprattutto li vedo gravare sulla schiena di colui che per me è tutto.
Forse amare è soprattutto questo. Sentire il dolore dove lui lo sente. Annusare il pericolo dove lui lo annusa. Sentirsi vulnerabili nei punti in cui lui viene colpito.

sabato 4 settembre 2021

Bambole Rotte

Fonte: universomamma. it


3 Settembre 2021, Ore 12:45.
Osservo questo manto di nuvole basse e grigie. 
Il sole si è nascosto chissà dove, clandestino nel suo stesso cielo.
E' settembre da tre giorni e l'autunno inizia a posizionarsi qui e là, pronto per l'invasione. E' un accerchiamento lento ma inesorabile, me lo sento già sottopelle.
Leggo poesie, mi alleno, mangio sano, compro qualche abito nuovo, riprendo il lavoro, organizzo qualche cena fuori prima che questi scampoli d'estate finiscano del tutto e mi passi la voglia di uscire la sera.
Sono già tornata più silenziosa, la magia delle ferie è svanita ed io sono tornata la solita me stessa con la voglia di parlare di un criceto addormentato. 
Però questo silenzio non mi dispiace, mi ascolto di più dentro quando non c'è rumore, quando io stessa non faccio chiasso.

4 Settembre, Ore 13:43.
Ho sbagliato.
Avrei dovuto chiamare la Polizia.
Mi sento male, di nuovo.
Non riesco a togliermi dalla testa quella scena.
La bambina. La madre. Quegli schiaffi. Quelle parole tremende. Quelle lacrime, quei singhiozzi convulsi. Quell'odio che mi sono sentita addosso come se fosse stato rivolto a me.
Mi brucia la pelle. Ho lo stomaco sottosopra.
Sono come una di quelle persone omertose che guardano senza muovere un dito?
Sono stata complice di quella donna terribile?
Ho fatto del male anche io alla bambina, non togliendola da quella situazione?

Il respiro si blocca, non scende e non sale. 
E' lì, cristallizzato, fermo. Mi fa stare in apnea.
Dove sei piccola? Come stai? Posso portarti via?

sabato 28 agosto 2021

Riviera

fonte: chiamamicittà. it


Sono in una camera d'albergo a guardare la pioggia cadere copiosa al di là della finestra. 
Siamo qui da sei giorni, domani si riparte. Due di essi li abbiamo trascorsi un po' arrabbiati con questo tempo balordo che ha falciato via un paio dei nostri programmi, ma siamo grati per gli altri quattro in cui abbiamo potuto annusare, assaporare, esplorare, vagare, immergerci nelle suggestioni di questo luogo che ci resterà nel cuore insieme a numerosi altri.
C'è molta vita qui, a qualunque ora del giorno e della notte.
Solo uscendo all'alba ci si può immergere in un'appagante solitudine. E io abbandonavo la mia stanza ancora prima che il sole sorgesse, così da potermelo poi gustare sulla spiaggia, vederlo uscire dal mare e poi sollevarsi rossiccio in cielo innaffiando il mondo di raggi.
Sono stati momenti speciali, di completa comunione con quello che avevo intorno e con il vero centro di me stessa. Come se per trovare la mia anima dovessi andare a cercarla nella purezza, nel silenzio, nella bellezza di un nuovo giorno che prende vita, da sola. Senza parlare, senza condividere, senza sentire altro se non le mie sensazioni esplodere violente dentro di me.
Mi sono sentita felice in quei momenti. Autenticamente felice. 
Poi c'era tutto il resto. Che era comunque bello, forte, potente. Ma mai così, mai come quell'ora e mezza in cui il mio corpo macinava chilometri senza quasi accorgersene.

Qui i locali hanno una marcia in più e la gente vi si riversa già dopo le dieci del mattino, per poi farli letteralmente esplodere alla sera. C'è gente ovunque, un fiume di persone. Gente che viene da ogni parte d'Italia ma anche dal nord Europa e dall'Asia. E' un mondo variegato, affascinante, ma pure turbolento. Non vi si potrebbe vivere in mezzo e riuscire anche a pensare. Ci si può immergere solo per un po', lasciarsi avvolgere da quel fiume, camminargli attraverso, navigare a vista senza perdere d'occhio la riva.

Sto collezionando nuovi ricordi. Cartoline di posti che ho visitato, diari interni di sensazioni che ho provato. Non voglio perdere niente, sento l'esigenza di tenerli qui con me. E allora scatto. Guardo. Annuso. Assaporo. Gioisco. Rido. Scrivo. 

sabato 21 agosto 2021

Alle Cinque i Galli Cantano


Sono stata in campagna per qualche giorno. 
Avevo dimenticato che alle cinque del mattino i galli cantano e che lo fanno a ripetizione, tutti insieme come in un coro, fin quando non si stancano.
Avevo dimenticato la ripetitività rassicurante del canto delle cicale. Quel frinire allegro, riposante, che dopo un po' non lo senti neanche più perché diventa parte integrante della natura, dell'estate, del vivere quotidiano.
Dimenticato cosa significhi dormire il pomeriggio, osservare un tramonto, fare un bagno in piscina, farsi affascinare dalle mutevolezze del cielo, mangiare i fichi direttamente sotto l'albero, spegnere il telefono per qualche ora.
E quando mi sono riappropriata di tutte quelle cose che avevo dimenticato la mia espressione si è fatta più distesa, il battito del cuore più regolare, quel senso di continua fatica meno presente.

Ho fatto anche un paio di gite.
Una con un'amicizia storica.
Una con la famiglia.
E vedere nuove cose, respirare ambienti differenti, ma anche tornare in luoghi che si sono amati, rende il tempo degno di essere vissuto. Tempo pregno di sensazioni, di profumi, di attimi magici, di ricordi.
Ho abbracciato una zia carissima che non vedevo da cinque anni e mi sono sentita addosso la sua emozione, le sue lacrime di gioia, un cuore palpitante che a ridosso del mio sembrava scalciare come un giovane puledro.

sabato 7 agosto 2021

Buio Pesto

Fonte: giovanioltrelasm. it


Ore 21:34.
Sono in terrazzo, in cielo il buio è così fitto da sembrare artificiale. In lontananza s'intravede Venere ma non ci sono stelle, neanche una, stanno facendo la fine delle lucciole.
Sento il vociare dei clienti del nuovo ristorante poco più su, ma sono rumori mesti, gestibili, di quelli che si confondono facilmente col silenzio come brevi intermezzi.
Osservo il fuoco della grossa candela di citronella danzare nell'aria, fluttuare con la stessa grazia voluttuosa di una ballerina di flamenco. E mi faccio ammaliare, distrarre, catturare per interi minuti.

E' stata una settimana intensa, lo sono state tutte negli ultimi mesi.
O forse lo sono sempre e non è una questione di giorni o di mesi. Che un periodo è tale solo se ha un inizio e una fine, non se procede sempre nello stesso modo incalzante.
Fred non sta molto bene e come sempre in questi casi l'ansia mi assale e sento lo stomaco fare male. Sta cedendo. Ha fatto tanto, ha fatto troppo. Ha raggiunto livelli di stress immeritati e queste sono le conseguenze dell'accumulo.
Ancora una settimana, mi dico. Ancora 7 giorni e potrò vederlo tirare un po' il fiato, rilassarsi, magari riuscire a dormire, mangiare digerendo, ridere.

Ora le voci si son fatte più incalzanti. La bambina dei vicini piange, il cane si alza sul davanzale, automobili cercano invano parcheggio, qualcuno ride sguaiatamente. C'è rumore di stoviglie, di piatti e di bicchieri che si urtano. 
La candela è ancora lì a tenermi compagnia.

martedì 3 agosto 2021

Notte di Mare Mosso

 
Fonte: ilmarenelcuore. it


Ogni volta che ho perso qualcuno che amavo ho cercato di riprendere a vivere nel minor tempo possibile. E il lavoro questa volta ci ha messo del suo, sfiancandomi al punto di non avere il tempo e le energie da dedicare a molto altro.
Solo che poi è arrivata questa notte di vento e mare mosso a riportarmi alla memoria quel corpo freddo a cui ho accarezzato una gamba senza riconoscerla. A cui ho guardato il volto scavato ricordando quando era ancora florido e rubicondo. E allora ho capito che lì sul petto c'era un buco, un buco nero di putrido dolore che in qualche modo avrei dovuto ascoltare e tentare di riempire.
Perché ci si può girare tutte le volte che si vuole, ma poi si tornerà sempre a guardare il rivolo di sangue che ci esce a tradimento da una ferita sporcando la pelle e gli abiti. 

Ho sognato le altre persone che amo questa mattina. Eravamo in una stanza a casa dei miei genitori, la stessa stanza dove accogliemmo gli ospiti tanti anni prima, quando a morire fu un'altra zia con la quale ero cresciuta. Nel sogno eravamo lì, rilassati, parlavamo. C'erano loro, c'era Fred, c'era persino mia suocera. 
Poi è suonata la sveglia e a malincuore ho lasciato dietro gli occhi quei pezzi della mia famiglia con i quali mi era sembrato di svegliarmi e sono uscita.
C'era ancora vento, in una mattina diversa avrei potuto assorbire l'incanto dell'alba ma in questa c'erano nuvole plumbee a ricoprire ogni parte del cielo. Una gradevole brezza mi accarezzava le braccia nude e le gambe erano in perfetta sintonia col suolo.
Ho pensato a tante cose e a tante persone, eppure mi sembra di non aver pensato ad alcunché, come se ognuno di quei pensieri lo avesse accolto il mare e lo avesse preso con sé, affinché non mi pesasse addosso. 
E anche se adesso mi sento un po' triste e qualche lacrima trabocca a tradimento, mi rendo conto che è giusto così, che le persone che abbiamo amato vanno piante quando non ci sono più. Che non c'è nulla di cui vergognarsi quando siamo chini sul suolo a toccare le macerie.
Perché è da lì che inizieremo a ricostruire. 

mercoledì 21 luglio 2021

Anni Luce




Vagabondavo senza meta, sebbene stessi percorrendo più o meno lo stesso itinerario di sempre. Le gambe andavano da sole, non era necessario che mi concentrassi, che gli dicessi cosa fare. C'è una memoria nel nostro corpo che a volte funziona meglio della mente stessa. In un certo qual senso l'affianca, fa da sé quando l'altra si perde nei suoi meandri.
E allora la mia mente era distante anni luce e il mio corpo, invece, sapeva dove andare. Mi conduceva con un passo che dal di fuori poteva sembrare spensierato, ma che in realtà nascondeva una dose di fatica distribuita equamente per ogni porzione di me.
Non mi piace la parola "fatica". Mi ricorda che c'è uno strato di sofferenza che tutti dobbiamo attraversare e che già da bambina osservavo sul volto dei miei genitori assorbendone una parte. In queste giornate la percepisco distintamente, in me e Fred, ma anche in mio cognato. Come se ci si fosse incollata addosso e faticassimo a ripulirla via al momento della doccia. Ci resta sulle vertebre, si accumula. Non la si può sudare via come una tossina.

Ieri ho compiuto 36 anni.
Diversamente dagli anni scorsi e nonostante gli eventi dolorosi degli ultimi giorni, l'ho vissuto in maniera quieta: senza amarezze, senza paranoie, senza quella solita paura del tempo che passa. E non è dipeso da una ritrovata saggezza o da una formula magica. Sono state le persone che ho nella mia vita. Quelle vicine, quelle lontane. Hanno saputo esserci tutti. Chi di più, chi di meno, ma tutti. In un abbraccio generale che mi ha fatto sentire amata, che mi ha sostenuta.
E' un periodo complicato e non voglio mentire affermando che tutto va bene. Il lutto mi fa sentire febbricitante, indolenzita e addolorata, e peraltro si è inserito in un momento già difficile di per sé.
Però ieri, nonostante il contorno gravoso, sono stata bene.
Che poi ho quasi solo lavorato, in realtà. Non ho guardato il tramonto gettarsi in picchiata sul mare come 366 giorni fa. Non sono andata a cena fuori con Fred o con gli amici. Però non ho neanche pensato a tutte quelle cose che penso sempre nel mio genetliaco. C'era una dose di euforia in me, come una piccola scintilla capace di scaldarmi il cuore e regalarmi un raro senso di pace.
Le persone, le relazioni, i rapporti umani...sono davvero tutto quello che abbiamo. E dobbiamo prendercene cura ogni giorno perché non c'è pianta che produca fiori coloratissimi in un terreno arido e desertico. L'amore va dissetato con costanza.

venerdì 16 luglio 2021

Memorie

 

Fonte: rayplayradio. it

Sto cercando di venire a patti con l'idea della tua morte.
Scrivo perché sento che, ancora una volta, questo è il mezzo per uscirne in qualche modo, per rimettere in ordine lo scompiglio della mia anima, per attutire il frastuono dentro la mia testa.

La zona d'ombra, l'area complicata delle cose, è quella in cui sento di dovermi arrendere al fatto che tutto quello che c'è stato e che abbiamo condiviso non tornerà più. E' definitivamente chiuso dietro una porta e l'unico gesto che possa fare è spiare dal buco della serratura.
Guardo immagini meravigliose della mia infanzia e rivedo te, rivedo zio Paolo, zia Annamaria. Siete ancora tutti vivi e mi sembra di sentire distintamente le vostre voci. La risata dello zio mi riecheggia in testa come se non se ne fosse andato mai.

Rivedo i pranzi delle domeniche d'estate in campagna.
Riascolto l'allegria, il chiasso, le canzoni, le battute, il frinire delle cicale.
Ed eravamo tutti lì, intorno a quel lungo tavolo della tua taverna, con la collezione di bottiglie strane dello zio alla parete che nessuno toccava mai.
E a volte facevamo notte e guardavamo le lucciole danzare nell'aria, sotto un manto di stelle che così fitte e numerose non le ho riviste più.
Alcune sere c'erano i fuochi d'artificio in lontananza e andavamo a guardarli sul grande terrazzo. Era uno spettacolo che si ripeteva ogni anno per le feste di paese e voi, i miei splendidi zii, conoscevate le date di ciascuna di esse.
Era tutto troppo bello, troppo intenso, troppo forte. 
Forse mi sono mancate un po' di coccole ma la gioia no e la presenza di persone che mi hanno educato ed amato neppure.
Eravamo una grande famiglia e i figli di uno erano controllati anche dagli altri. Non ci si annoiava mai, si aveva sempre qualcuno con cui parlare, qualcosa da fare, nuovi progetti da iniziare.
E le lacrime struggenti di mia madre le comprendo meglio di chiunque altro perché so quanto sia difficile dire addio, un addio assolutamente inevitabile ed irreversibile, alle persone con le quali si è vissuto tutto questo. 

E dunque zia mi mancherai e ci mancherai. Non scorderò le lacrime di mio fratello, il suo viso arrossato, il tremore delle sue mani. Lui che è sempre una lastra d'acciaio. Condividiamo gli stessi ricordi adesso, lo stesso straniante dolore.
Che poi, a ben guardare, tutto questo era già finito o cambiato tempo fa. 
Ogni persona che ha oltrepassato quella porta si è portata via qualcosa e ognuno che se ne è andato ha lasciato la stanza un po' più spoglia e vuota.
Però poi di ricordi se ne sono aggiunti altri, magari con persone nuove che meritano il nostro amore allo stesso modo di voi che ci avete lasciato. E per loro, per loro che ci riempiono la vita come avete fatto voi, dobbiamo essere grati.
Ma ora che mi sento un po' persa, vi prego, almeno da lontano statemi vicini.

giovedì 15 luglio 2021

Cronache di un Dolore Annunciato

Fonte: emapi. it



12 luglio, ore 22:32.
Io non so come sia riuscita a concludere il turno con quel dolore che all'improvviso mi si espandeva dentro. E' stato come lavorare con una macchia di sangue che si allargava via via a ridosso del cuore e tentare in tutti i modi di nasconderla. Ad un certo punto, sola in negozio con mio cognato e una scopa in mano, sono scoppiata a piangere. Guardavo la scopa, il pavimento, tutti quegli oggetti che pulisco ogni santo giorno e ogni cosa mi sembrava estranea. Volevo solo andarmene, scappare via, fuggire dagli occhi della gente o anche solo da quello stesso dolore, per poi scoprire che mi avrebbe seguito anche a casa, che mi si sarebbe attaccato addosso come resina di pigna. Improvvisamente era ovunque. Sulle mani, tra i capelli, sotto gli occhi, tra le costole. Avevo tutta quella resina addosso e non me ne potevo liberare.

Allora poi, una volta varcate le mie mura, dopo la doccia e dopo aver portato a termine ogni altra incombenza, ho iniziato a ricordare. La sua voce, prima di tutto. Il suo sguardo. Le sue unghie. Il modo in cui acconciava i capelli. Le sue gambe grosse. Il seno prosperoso.
Le collane che teneva in un portagioie di madreperla sul comò. Le volte in cui a casa sua, da bambina, correvo in camera per poterle toccare. 

Lei era la zia che gli altri fratelli criticavano perché si era sempre sentita diversa. Le piacevano le cose belle, si circondava di tanti amici, regalava agli altri buona parte di quello che aveva, si muoveva il minimo indispensabile. Estremamente autoritaria con suo marito, aveva spesso delle idee strambe che nessun altro capiva. 
Mi ripeteva continuamente quanto fossi bella. E se non c'ero lo diceva a mia madre. Bella e brava, secondo lei. L'anima del negozio. Che poi non ci era mai entrata ma lo sapeva, ci credeva nel profondo. Osservava come mi vestivo e per lei ero sempre perfetta, la nipote curata da guardare con orgoglio ed ammirazione. Non l'ho mai vista farlo con altre nipoti, per cui quei complimenti, anche se mi imbarazzavano, erano assolutamente autentici. Che poi fossero dettati dall'affetto, beh, faceva parte del gioco, ma ero contenta di piacerle.

Non so come andranno le prossime ore, me le immagino all'incirca come una centrifuga. Ho ripulito il sangue, mi sono calmata un po'. Me ne vado a letto sperando nell'oblio di un sonno privo di sogni.

13 luglio, ore 12:50.
Era bello il mare, agitato all'incirca quanto me. Dietro gli occhiali da sole, al riparo dagli sguardi di bagnanti sconosciuti, camminavo piangendo senza fare il minimo rumore.
Stava dentro, il chiasso. Fuori c'erano solo guance umide e occhi di pozzanghera.
Un forte vento mi tirava addosso la sabbia e a tratti tossivo, altri dovevo chiudere forte le palpebre per non riempirle di quel terriccio. Sono passata tra la gente del mercato, il cielo che via via si incupiva sempre di più. Ho pensato a quanto fosse peculiare tutto quel vento e quel cielo plumbeo in un giorno di metà luglio dopo mesi di sole ininterrotto.
Come se anche la natura mi stesse abbracciando, come se volesse unirsi a me nel cercare di metabolizzare quella ferita sanguinolenta. E allora mi sono lasciata abbracciare, disinfettare, trascinare verso casa dalle sue ali potenti. 

14 luglio, ore 21:45.
Dopo il funerale, quando gli addetti delle pompe funebri erano pronti per issarsi sulle spalle la bara con le spoglie di mia zia, mio zio si è messo lì davanti, con il bastone in una mano e l'altra a toccare il legno. La stava trattenendo. Ho avvertito la scoccata di un dolore acuto spaccarmi in due. 
Ho ricominciato a piangere, protetta solo dalla mascherina, ma in fondo incurante di chi potesse vedermi, perché piangevamo in molti, era un male condiviso. 
Sessant'anni insieme e l'incapacità di lasciar andare la persona con cui si è vissuto in simbiosi. Tutto quel tempo, tutto quell'amore, tutte quelle liti. I figli, i nipoti, il tempo insieme, il letto da condividere, le idee che non combaciavano mai. E poi un giorno si resta soli davanti ad una bara chiusa a voler trattenere con le mani ciò che non può essere trattenuto.
L'ho abbracciato ed ho sentito un amore immenso esplodermi dentro e un bisogno di urlare e singhiozzare per giorni, chiusa in qualche stanza che nessuno possa aprire.

lunedì 12 luglio 2021

Un Sospiro

 
Fonte: Nicolettacinotti. net


Ci sono periodi più pesanti di altri e sono quelli in cui mi sembra di non riuscire a trovare le parole. 
Sembrano dileguarsi, sfuggire al mio controllo, andare a nascondersi.
Sento solo la stanchezza che sale piano, che mi avvolge la testa, i muscoli. Che avviluppa tutto il mio corpo come un serpente con le sue spire.
Circondata dai doveri, dalle sveglie, dalle nottate quasi in bianco, dai turni snervanti a lavoro, da allenamenti che col caldo ed il sudore diventano asfissianti, da un'estate che ancora non riconosco, che non riesco a vivere appieno, troppo presa dagli orari, e dalle corse, e dai mille andirivieni di ogni giorno.

Poi mi ricordo che sono giovane, che è questo il momento di spingere sulla vita, di prendere rincorse, il momento del fiato corto, delle ore piccole, del procedere con frenesia. Mi ricordo che ci sarà tempo per starsene sul divano, per riposare, per guardare film alla tv, per godersi un concerto o anche solo una passeggiata senza contare i passi e le prestazioni.
Eppure... eppure anche un corpo giovane, a volte, può aver bisogno di dormire. Di chiudere gli occhi e sentirsi in pace, senza che vi siano pensieri che tirano da ogni parte per svegliarlo. Di vivere attimi di quiete, in un'immobilità che non sia ozio ma un giusto ricaricarsi.

Chiudo gli occhi, respiro. Ma è più un sospiro in realtà.
Necessità semplicissime che si condensano in un filo d'aria che mi esce dalla bocca.
E che contiene tutto, senza che debba dire alcunché. Senza che debba trovare le parole che cercavo, quelle giuste, quelle perfette, quelle che in fondo non servono a nessuno.
Un refolo di sensazioni che sfuggono via così, in sconcertante solitudine e che mi liberano un po'.