martedì 24 novembre 2020

Paracadute

Fonte: Romoletto Blog



Le vedo allontanarsi insieme, madre e figlia, ben riparate nei loro cappotti. Hanno il capo chino, non si toccano, ma parlano fitto con un'aria di complicità che un po' mi stringe il cuore.
E' una serata serena ma fredda. Ho intravisto un tramonto spettacolare levarsi fino al mare ma non ho potuto far altro che immaginarlo, chiusa qui. Ora è buio pesto, le automobili sfrecciano poco più in là ed io penso a quella madre e quella figlia che camminano insieme raccontandosi chissà cosa.

A volte mi chiedo se la mia vita sarebbe stata diversa se i miei genitori li avessi avuti vicini anziché distanti. Mi rispondo che si, lo sarebbe stata. Sicuramente più semplice.
Eppure la verità è che questa distanza mi è servita e mi serve tuttora. Per crescere, per far maturare la donna che sono, per non pensare di avere sempre un paracadute pronto a sostenermi. E lo so che il paracadute esiste anche se più lontano, ma se fosse stato qui, chissà, forse avrei avuto la tentazione di approfittarne qualche volta. E invece è bello farcela da soli, nuotare con le proprie braccia, camminare con le proprie gambe.

Li amo, penso a loro continuamente, sento mia madre ogni mattina. Papà compra ancora i miei grancereale al cacao e me li fa avere ogni volta che ci vediamo, insieme a molto altro. E' il loro modo di amarmi, di farmi capire che ci sono e saranno sempre i miei genitori, anche se a questa età dovrei o potrei essere genitrice di qualcuno io stessa. 
E questa cura, questo amore incondizionato che mi avvolge come una coperta calda, è sempre qui con me. Qualunque cosa faccia. Ovunque io vada. Qualunque persona io sia diventata.
Ma per quanto in questa vita potrei correre un po' meno se avessi qualcuno ad aiutarmi materialmente quando arrivo a toccare terra sfinita, so che è bene che non siano loro a farlo. Per quanto li ami, la nostra distanza fisica mi tiene a galla più di quanto farebbe la loro presenza.

domenica 15 novembre 2020

Al Buio

 

Fonte: PadovaOggi

La via è completamente deserta, non si sente volare una mosca. 
I primi suoni arrivano dalla strada principale ma sono anch'essi attutiti, lontani, quasi del tutto assenti. C'è un silenzio che non ti aspetteresti, che sembra provenire dalle case stesse, come se tutti i loro abitanti tenessero la bocca chiusa. Come se i cani avessero simultaneamente voluto smettere di abbaiare. Come se i fuochi non crepitassero più all'interno dei camini e la nebbia scendesse fitta ma taciturna.

Mentre stendo sul filo il mio maglioncino mi attardo ad osservare il buio. Le automobili parcheggiate, i fiori quasi stecchiti all'interno delle fioriere, i lampioni accesi, il nero del cielo e dell'asfalto, le imposte sprangate quasi ovunque. E soprattutto osservo questo silenzio irreale, come se fosse anch'esso qualcosa da vedere, come se avesse una sua forma, una sua dimensione, come se fosse sostanza e presenza. E mi accorgo che il buio è più nero quando non ci sono forme di vita a rallegrarlo, quando resta da solo a dominare il mondo. Ne è padrone indiscusso, come Lucifero all'inferno.

venerdì 13 novembre 2020

Tetris

 

Fonte: salernotoday

E' incredibile che debba esser qualcun altro a farci notare quando stiamo esagerando. 
Incredibile che non ci si accorga da soli di aver riempito le proprie giornate fino al collasso. E così succede che all'improvviso, in un momento qualsiasi di un giorno qualunque, il corpo dia segnali di cedimento. Dolore alle gambe, pressione sulla schiena, un senso di affaticamento generale. 
Piccoli campanelli di allarme, come quando i cani cominciano ad ululare prima che venga il terremoto.

Ed è Fred a dirmi che non mi fermo mai, che mi sveglio sempre presto, che faccio sport ogni giorno, pulisco casa, cucino, esco, rientro, lavoro, dunque la cena da mettere in tavola, poi di nuovo cose da fare in casa e il tempo in cui riesco a star seduta o sdraiata si riduce al momento di andare a letto. 
Senza rendermene conto ho fatto in modo di non poter tirare il fiato mai. Ho giocato a tetris con la mia vita, incastrando un pezzo dopo l'altro senza lasciare neanche uno spiraglio d'aria tra un mattoncino e l'altro. 
Quand'è che ho fatto questo e perché?
Un tempo godevo del mio tempo libero. Ora lo riempio fino a non averne quasi più.

Ho l'odore frizzante di una clementina appena sbucciata tra le dita. La sento accarezzarmi le narici, trasportandomi dal posto in cui mi trovo fin dentro la cucina di mia madre.
La vedo seduta in un angolo, con le gambe alzate. Guarda la tv. C'è quello stesso aroma di agrumi nell'aria, l'impregna quasi totalmente. Sa di casa, di famiglia, di quelle urla sempre un po' sguaiate che si scambiano mio padre e mio fratello, di continuo. 
Sorrido. Penso che domenica, salvo decreti dell'ultimo minuto, pur senza abbracciarci né toccarci saremo in quella stessa stanza. Insieme. Tiro un sospiro di sollievo, come se avessi trattenuto l'aria troppo a lungo.
A volte anche le donne adulte hanno bisogno della madre.

martedì 10 novembre 2020

Cala La Sera

 

Fonte: skuola. net

Il sole si abbassa, raggiunge il mare, velocemente lo attraversa fino a diventare un puntolino scarlatto che pochi istanti dopo non esiste più.
Cala la sera, la gente in strada diminuisce fino a restarne sempre meno. Della loro presenza su questa porzione di mondo mi accorgo solo per i fari, luci che sfrecciano qui davanti catturando il mio occhio al di là della vetrata. Sono assorbita da quel viavai, mi fa pensare ad altre luci, quelle delle case che tra non molto prenderanno nuovamente vita.
L'asfalto è scuro, un grigio pieno che poi diventa nero come pece.
Ho sempre freddo a quest'ora, anche quando in realtà freddo non è. E non so se questa sensazione sia fisica o emotiva. Se dipenda da un calo delle temperature oppure da un calo della clientela, dal ritorno del buio. 
E anche qui: buio fisico o emotivo? è la notte che mi preoccupa o ciò che porta con sé?
So che rispondere non ha importanza, è un dato trascurabile, ininfluente, conta quanto uno zero. 

Lo avete notato, tutt'intorno, che si parla solo di covid? E se non si parla di covid si parla di economia a pezzi, di ospedali al collasso, del conteggio dei positivi, di terapie intensive, di cassa integrazione, di smart working, di vita sociale semi azzerata. Di contingenze del covid, insomma.
Davvero, dunque, non ci resta nient'altro?
Questo virus ha stravolto così radicalmente le nostre vite da averci tolto anche il piacere di intraprendere altri argomenti di conversazione. Come se tutto il resto, in fondo, avesse lo stesso peso della mia domanda poco sopra. Come se contasse zero, appunto.

Nel tempo libero per distaccarmi da questa ridondanza di informazioni alle quali cerco inutilmente di fuggire quando lavoro, faccio fotografie. L'unica forma di comunicazione che mi sia rimasta che non richieda l'utilizzo di parole, frasi, spiegazioni, inquietudini da tradurre in discorsi che non mi va di cominciare.
Scatto con la stessa passione di sempre, ma con un'urgenza ancora maggiore. Scatto perché c'è ancora tanto di bello nel mondo e se non lo guardo attraverso quella lente mi sembra di non vederlo. 
Non lo voglio perdere, non voglio che mi venga tolto, non voglio che il nero prenda il posto dei colori. E allora riempio il telefono di fotografie che poi guardo in un secondo momento e che, chissà perché, mi strappano sempre un sorriso colmo di gratitudine. 

mercoledì 4 novembre 2020

Una Leonessa

 

Fonte: generazionepost. it

Un paio di settimane fa ho ricominciato a praticare yoga. Insegnante nuova, classe diversa, stesso posto.
Se poi parliamo dell'entusiasmo, della sensazione di appagamento e di benessere, beh, quelli sono rimasti tali e quali a quelli che ricordavo.
In quei sessanta minuti di pratica riesco a concentrarmi sul presente, sul mio corpo, sul  tappetino che mi accoglie, sulle sensazioni fisiche e mentali che mi attraversano. Sono lontana da tutto il resto, come se non esistesse, come se fosse qualcosa di completamente marginale. Qualunque altra cosa rimane fuori dalla porta, oltre il confine del mio raggio d'azione.
E' una sensazione meravigliosa, di totale partecipazione con la classe, con l'universo. Il mio corpo e le sensazioni da esso derivanti sono i soli protagonisti, gli unici pezzi di vita dei quali mi debba preoccupare. E per me che mi deconcentro con facilità qualunque cosa stia facendo, più che un traguardo questa è un'esperienza mistica, totalizzante, unica nel suo genere. Lo yoga vinyasa mi scrolla di dosso pesi che mi porto addosso per una settimana intera e che poi vado a scaricare per sentirmi finalmente più leggera. 

La mia fisioterapista, un anno e mezzo fa, mi disse che dopo le lezioni lei si sentiva una leonessa. Mi sembrò un'esagerazione ma non potevo non crederle, Ornella era l'ottimismo in persona e mi stava facendo ritornare a stare bene, mi stava restituendo la salute. Mi fidai, mi affidai, provai. E il mio percorso andò oltre le mie più rosee aspettative. Quella che era iniziata come una terapia, diventò passione struggente. Ed ora, anche se la mia prima insegnante si è trasferita, provo sensazioni ancora più appaganti con la nuova. Forse era lei la persona che dovevo incontrare, quella con cui la pratica sarebbe diventata più intensa, più matura. 

E dunque, nessuno mi toglierà mai dalla testa che lo sport non sia qualcosa di inessenziale, qualcosa che possa essere messo in stand by. Questa è una posizione a cui possano credere solo coloro che dallo sport non hanno mai ricavato alcunché e a cui stare sul divano, ben posizionati a guardare serie tv, piaccia più che tutto il resto.
Se esiste qualcosa, su questo mondo, che ti faccia sentire una leonessa...beh, quella cosa va mantenuta viva come una fiammella. 

domenica 1 novembre 2020

Sotto Gli Ulivi

Fonte: cedior. com


Arrivata in casa dei miei sono corsa a cambiarmi e in pochi minuti ero sotto gli ulivi, insieme a loro. Il sole si irradiava ovunque, maestoso, colpendo le foglie ingiallite ai piedi dei ciliegi, i chicchi di oliva matura, violacea come uva, l'erba verdissima sotto le nostre scarpe, i melograni spaccati attaccati alle piante. Ero stanca dopo una settimana complicata, ma ero felice come una bambina. Felice di ascoltare il loro chiacchiericcio, felice di sentire il corpo lavorare, felice persino dei continui battibecchi tra mio padre e mio fratello. Ero in mezzo alla natura, il mio habitat, ne sentivo gli odori, ne abbracciavo i colori, mi facevo accarezzare dal sole e dalla fatica.
Ho ricordato altre giornate come questa, quando ero ancora una bambina, e novembre era un mese freddo e cupo. La nebbia ci avvolgeva, il gelo penetrava le ossa ed entrava ovunque, non gli si poteva sfuggire. Detestavo esser lì, detestavo fare i compiti in fretta e uscire ad aiutarli. 
Ma ora è tutto diverso, il clima ha subito strane evoluzioni e la raccolta degli ulivi negli ultimi anni si è sempre svolta sotto un bel sole capace di scaldare come un qualunque giorno di primavera. Io stessa sono diversa, più recettiva, più immersa nelle mie sensazioni, più ancorata alla terra e alle sue manifestazioni. Questa non è più una triste incombenza, ma un'occasione per vivere la natura in modo più intenso, sentirla sotto le mani, poterla abbracciare come si farebbe con un parente stretto che di tanto in tanto si ha necessità di andare a trovare. 
Ho corso tra le piante, scattato fotografie mentre gli altri pranzavano seduti. Mi sembrava una festa. Me in mezzo a quel tumulto di verdi e di gialli e di rossi che mi riempivano gli occhi e mi facevano sentire pienamente e stranamente allegra.
Ero colma, completa, come se qualunque altra cosa di questo mondo che fosse giunta lì all'improvviso avesse potuto trovarmi già al completo, senza nulla da aggiungere per una piena felicità.

Alla fine della giornata ho fatto la doccia, rindossato i miei pantaloni aderenti di ecopelle e i miei stivaletti con il tacco, tornando in pochi istanti nei miei soliti panni, dentro la solita me stessa. Curata, distante, inaccessibile. 
Ed ho pensato che tra quelle due donne, quella che pochi istanti prima correva in tuta in mezzo alla terra e quella che ora sfilava sui tacchi con la schiena eretta, ci dovesse necessariamente essere tutto quello che io sono e che mi piace così com'è. Contraddittorio ma vero, autentico, genuino, senza inganni. Perché so esser tante cose ed amare ciascuna di esse con la stessa cocente intensità. 
Ma in questo veloce tornare alla solita me stessa ho dismesso il sorriso che mi aveva accompagnato per tutto il giorno, come se con quei panni riprendessi anche lo scotto di una nuova settimana da ricominciare, con le sue inevitabili difficoltà.