giovedì 29 ottobre 2020

Naufragio

Fonte: hinelson. com



Mai come in questo periodo mi è successo di apprezzare tanto chi mi fa fare una risata. Solo che capita così di rado, da un mese a questa parte, che sto dimenticando come si fa.
Com'è che si svuota il cuore, e il cervello, e il pensiero e si apre la bocca, sonoramente, poi ci si piega in due per quel piacevole dolore sulla pancia. E dunque ci si ritira su e gli occhi hanno fatto le rughette e si ridistendono sereni, luminosi, più belli. 
E anche loro, le persone che di solito mi facevano ridere, hanno dimenticato com'è che si fa una battuta, come si porta a sé stessi e agli altri il buonumore.
Sensazioni cristallizzate, congelate, svuotate per essere riempite più avanti. 
Messe in stand by.
Perché cosa c'è da ridere, adesso?
Non è una forzatura fingersi allegri in un momento che di allegro non ha nulla?
Il lavoro è sempre più precario ed incerto. Il virus si diffonde tra la gente insieme alla paura, il malcontento, la disperazione e mille altre emozioni negative che talvolta si scontrano l'una contro l'altra fino a provocarsi lividi che poi restano bluastri o verdognoli sulla pelle. Pelle che si fa via via più sottile, trasparente, che quasi avrebbe voglia di scomparire, volatilizzarsi, confondersi con un muro o una quercia o un pezzo d'asfalto rotto lungo la strada.

Questo blog raccoglie i miei attimi di smarrimento. Quelli in cui mi chiudo all'interno di una stanza immaginaria a far uscire la sensazione di essermi perduta dentro un film anoressico che sembrava un cortometraggio e invece non finisce più. Un film proiettato lungo i muri, pareti che si divertono a lanciarne fuori i fotogrammi come fossero quadri appesi di un pittore neorealista. 
Ma poi, al di là di questa stanza, cerco di essere la solita me. 
Che lavora, si impegna, si alza presto al mattino, fa sport, pulisce casa, prepara da mangiare, guarda una puntata di Lucifer alla sera.
Tutto normale, tranne quella mancanza di voglia di ridere che aspetto di veder tornare come una naufraga dopo una mareggiata.


venerdì 23 ottobre 2020

Carta Straccia

 
Fonte: racconti-brevi. blogspot. com


22 ottobre 2020, ore 22:35.
E' sera, fuori il buio ha già inghiottito ogni cosa da ore. 
Le strade, le automobili parcheggiate sul ciglio, i tetti delle case, gli alberi, il mare. Tutto è nero pece, rischiarato appena dalla luce di lampioni altissimi, i guardiani di questa città.
Finalmente posso annusare il silenzio, sentirlo penetrare queste stanze, diventarne parte.
Fred è uscito ma sarà qui tra poco. Ho trascorso appena due ore da sola ed il tempo è volato via senza che me ne accorgessi, sterminato da un atavico senso di stanchezza e dal malumore che ne è derivato. Ho male alle gambe, persino. Mi tirano da ogni parte. E le macchie rosse che ho sull'addome mi ricordano che, pur apparentemente calma, in realtà sono stressata. Impensierita.
Si, forse non è stress. Sono pensieri che si accalcano, che si accumulano. Pezzi di carta straccia che vanno a finire sulla pila, si moltiplicano, generano caos e disordine, maltrattano tutto quello che di bello c'è. Ho paura di quello che sta accadendo, di nuovo. E ora che l'abbiamo già vissuta una volta, sappiamo a cosa andiamo incontro. Non è paura del buio, dell'ignoto, di fantasmi inesistenti creati da una mente troppo fantasiosa. E' paura di poter ricadere nel pozzo.

23 ottobre 2020, ore 16:44.
Il sole si è spento, era caldo ed appagante questa mattina, quasi estivo. Si rifletteva vibrante sulle onde increspate e aguzze del mare e sulle poche porzioni di pelle lasciate scoperte del mio corpo. Quando sono passati i due cavalli, uno nero e scattante, l'altro marrone ed incerto, ho pensato che tale spettacolo potesse ferire gli occhi, ridurli in poltiglia, farli lacrimare. Mi sono tolta gli occhiali da sole, ho pensato che allora avrei dovuto guardarlo tutto, non risparmiarmi niente. 
Mi sono passati davanti, bagnavano i loro mantelli in acqua diventando luminosi, felini, come ricoperti di stelle. Li ho fotografati, anche se lo avevo già fatto altre decine di volte. Era un vecchio spettacolo che sembrava nuovo, lo sembra ogni volta, e a pensarci è incredibile.

Si è spento il sole, dicevo. Ricoperto improvvisamente da un manto di nuvole grigie che hanno lasciato spoglie ben poche parti di cielo.
Vorrei essere a casa ora, sola con me stessa o con Fred, che tuttora è l'unica compagnia che io tolleri quando la stanchezza di arrancare mi investe completamente fino a togliermi il respiro e la sete. E' solo la sindrome premestruale, mi dico. E' solo quell'accumulo di carta straccia, mi rispondo.



mercoledì 14 ottobre 2020

Stati di Semi Libertà

Fonte: pinterest


Tempo grigio e cupo, anche se non piove. Il cielo è bianchiccio, innaturale, sgradevolmente asettico come certe stanze d'ospedale. Aspetto la pioggia tra poco, la sento arrivare. E' una di quelle giornate da starsene in casa in silenzio, senza musica, senza tv, senza disturbatori di alcun tipo. Il telefono spento, le persiane accostate, un ampio divano e una coperta. Gli occhi chiusi, poi aperti, poi di nuovo chiusi. Sentir scrosciare l'acqua, arrivare ad annusarne l'odore, sentirlo girare tra i polmoni come aria fresca e nuova. Salutare. Ma sono in negozio, come sempre a quest'ora, lontana dall'immobilità che questa immagine ha partorito nella mia mente. 


"Beati voi che non avete figli", ha detto Vincenzo. E l'ho sentita quella beatitudine, mi fa sentire libera. Credo sia questo il motivo principale per il quale non ne faccio. La libertà. Che è solo una parola che descrive un concetto puramente utopistico, ma che può essere ritrovata nel paragone tra uno stato e un altro. Sono più libera di un carcerato. Sono meno libera di un miliardario che possa vivere di rendita. 
E quella porzione di libertà, la mia, è forse quanto mi è di più caro in questa vita. Le ore di solitudine, il mare, la possibilità di stare in silenzio, di fare sport, di trovare ogni giorno un nuovo centro di me stessa. Sono fiera delle donne che riescono a far tutto. Esser brave mogli, ottime professioniste, buone amanti. E mamme. Ma io no, a me non interessa esser brava in tutto, barcamenarmi tra mille cose, vincere chissà quale primato. Voglio occuparmi di Sara, poi di Fred, poi del negozio, poi della mia anima e del mio corpo. Dunque basta così, che mi sembra già abbastanza. Non ho bisogno di mettere al mondo un altro essere umano per essere umana io stessa, lo sono già. Piena, completa, caotica, magari persino un po' disturbata, ma assolutamente Sara, Sara e basta, che è tutto ciò che mi interessi.
Egoista? si. E fiera di esserlo. 
O forse solo cosciente di non essere solo un utero da riempire, un individuo che dovrebbe comportarsi come milioni di altri solo perché così funziona da sempre.

"Ma dunque i bambini ti piacciono", mi è stato detto, quasi con sorpresa.
Certo che mi piacciono. Mi piacciono anche le mongolfiere, le giraffe, la parmigiana di melanzane. Ma non salgo sulle mongolfiere, non compro giraffe e non mangio parmigiane. 
Sono la persona meno adatta per avere un figlio e anche se è un mantra da ripetersi quasi giornalmente - perché la morale comune si crogiola nel voler far sentire inadeguati tutti coloro che decidano di vivere un iter differente da quello prestabilito dalla prassi - ogni giorno che passa sono più vicina alla mia meta. Quella di sentirmi in pace con me stessa nonostante non vi aderisca neanche un po', a quell'iter.


mercoledì 7 ottobre 2020

Lame

 

Fonte: wordpress

Sono un po' giù di corda questa sera e allora son qui di fronte a questa pagina bianca sperando che mi tolga fuori qualcosa, perché è questo che fa la scrittura a volte. Estrapola. Sviscera. Nel mio caso, spesso, addirittura resetta. Come quando sei coperto di fango e sotto il getto della doccia vedi andar via il terriccio insieme all'acqua e di colpo torni pulito, di nuovo te stesso. 
Solo che quando la vita ti sporca difficilmente si preoccupa di ripulirti. Ti lascia addosso quel senso di putrido che, lo sai già, non potrà che peggiorare. Non si torna bambini innocenti. 

Il lavoro mi preoccupa, non mi fa stare serena. Le cose son cambiate così tanto quest'anno che a volte, se ci penso, un po' mi viene il magone. A cui non si aggiunge una lacrima solo perché mi sforzo a restare in piedi bene eretta con la schiena. 
Fred si sta sacrificando molto. Lo stiamo facendo tutti a dire il vero, ma lui di più. E questi sforzi non vengono ripagati da molto, da troppo tempo. Non abbastanza. Ed è sempre la sera il momento in cui penso a tutto questo, l'istante in cui mi piomba addosso e mi schiaccia sul cuscino o in qualunque altro posto io mi trovi. 
E se non lo dico a voce alta è perché non voglio che questa preoccupazione ci stringa alla gola come ha già fatto in mesi abbastanza vicini da ricordarli nitidamente. Dunque che si fa? si stringono ancora i denti, si va avanti, si spera che l'economia riprenda e non vada ancor più a picco di così. 

Non so neanche esprimere a parole quanto detesti indugiare in questo tipo di pensieri. Quanto profondamente mi disturbi averli scritti ora qui sopra e magari pubblicarli prima che un dito più veloce non cancelli tutto e li lasci esattamente dove dovrebbero stare. Dentro di me.
Ma chissà, forse se li lascio qui andranno via. Spariranno. Come per magia verranno tolti dalla mia scatola cranica e poi da quella toracica, perché si sa che i pensieri importanti si depositano sia nel cervello che nel cuore. Stazionano lì, a volte un po' più in alto, altre un po' più in basso, ma pronti a tagliuzzarti come lame al primo movimento sbagliato. E si, lo diceva mia zia. Cammina dritta, come se avessi un libro sulla testa e non volessi farlo cadere.