martedì 29 settembre 2020

La Rispostaccia

 


E' stata una giornata lunga. 
Lo sono tutte, in realtà. 
Ma ora sono sul letto, adagiata come una musa su un canapè, fresca di doccia e di creme profumate, abbastanza rilassata da poterla ripercorrere senza imbronciarmi troppo.

Ho risposto male ad un cliente oggi. 
E non ne sono felice.
Perché non è questo il momento di perdere clienti e facendo questo mestiere da tredici anni dovrei essere ormai vaccinata contro le provocazioni e le persone il cui unico spasso sia quello di farmi fumare il cervello.
Dovrei esserlo, certo. 
E invece poi capita che in un giorno qualunque, in cui vi sia persino un bel sole e non si possa dar la colpa al tempo, la misura diventi colma e il catino trasbordi. E allora quel cliente paga per sé stesso e per gli altri, anche per quel suo amico che solo due giorni prima era stato sgarbato mentre lui da dietro lo aizzava. 
Non sono fiera di me e non penso che le sue provocazioni ormai quotidiane giustifichino la mia rispostaccia. 
Che così brutte non ne avevo date mai, mai in tanti anni. 
Per un attimo ho gettato nel secchio la mia professionalità, senza pensare alle conseguenze pratiche e mentali del mio gesto. Volevo che la smettesse, volevo che per una volta si rendesse conto di aver passato il segno. E invece l'ho passato io, così brava a castigarmi che metà basterebbe. 

E' andata così, inutile piangere sul latte versato.
Forse in un'altra vita la mia pazienza saprà dilatarsi all'infinito, o forse non ne avrò bisogno perché non ci saranno persone desiderose di farmela perdere.
Forse riuscirò a farmi scivolare addosso le loro angherie, a chiudere i sensi a comando fino a dileguarli completamente.
Forse dopo questa non ci sarà un'altra vita perché non la voglio.

Ma una cosa è certa, stavo molto meglio quando praticavo yoga. 
E adesso che il corso non riparte mi sento orfana di qualcosa d'importante che mi aiutava a tutto tondo, arginando i problemi fisici e tenendo a bada il pensiero di tutta la negatività che la gente mi riversa addosso. Quella melma invisibile che mi attaccano sul corpo stilla dopo stilla, incuranti del fatto che io sia una persona prima che una commerciante.
Potevo inscatolarla, rinchiuderla in un posto inaccessibile di me stessa, fare in modo che non mi sporcasse troppo. E invece adesso eccola qui, la vedo, la sento, la tocco e non me ne libero. 

venerdì 25 settembre 2020

Aroma di Caffè

Fonte: ilmessaggero. it


Sono a lavoro, chiusa nel mio recinto come una gallina che abbia già fatto il giro di tutto il pollaio più volte e che voglia aspettare almeno un'ora prima di tornare a vedere se per caso i sassi si siano spostati o se il gallo abbia fatto le uova al posto suo. Fuori il vento tira fortissimo e vedo le piante piegarsi forsennatamente, farsi scudo contro la furia ambientale con i loro possenti rami. Alberi stoici, che non si lasciano abbattere. Prendono la vita come viene, se ne stanno al limitare del campo incolto qui di fronte come stolidi guardiani incorruttibili. Io mi preoccupo per loro, per quell'agitarsi del fogliame intorno al tronco per ore, da giorni. E loro invece, saggi e possenti, non se ne curano affatto. Sanno che tutto passa, anche il vento, la grandine, la neve d'inverno o il solleone in estate. Mi dico che vorrei esser così. Forte, solida, matura, cavaliere senza macchia e senza paura. 

Nell'aria c'è profumo di caffè. C'è sempre profumo di caffè, ovviamente. Ad un certo punto non lo senti più, diventa parte integrante dell'aria che respiri. E' lì con te, parte di te, molecola indissolubile della tua divisa e di ogni fibra dei tuoi capelli ricci. Le ore oggi passano lente e ridondanti, una uguale all'altra. Più che passare si trascinano, meste e mosce come questa stagione detestabile. Ieri sera parlavamo con Fred di quanto i mesi siano passati veloci pur nella loro indiscutibile pesantezza. L'altro ieri era febbraio e succedeva quel che succedeva col nostro ex dipendente. Si azzerò ogni cosa, di me. La fame, la voglia di fidarmi ancora. E mentre queste cose si azzeravano altre crescevano a dismisura dopo l'emergenza covid. La preoccupazione, l'ansia, la paura, le responsabilità, i pensieri. E oggi è quasi ottobre e dopodomani sarà Natale e un altro anno sarà andato via col suo carico di bestialità. 

Tutti coloro che entrano qui dentro si sentono in diritto di guardare il mio corpo e di chiedere che dieta abbia fatto. Mi scrutano. Sento i loro occhi scandagliare ogni centimetro di me ed io mi sento così esposta, così riluttante anche solo ad affrontare questo argomento, così poco incline a parlare dei fatti miei con chicchessia. Che gli dovrei dire? che il peso è calato da solo perché non mi andava di mangiare nulla e ogni giorno mi sono allenata perché non sopportavo di restare ferma? E pensate che lo capirebbero? che pensino quello che vogliono, allora. Che non mi piacevo, ad esempio, anche se invece mi trovavo carina anche prima. Dunque forse sono un albero anche io. Me ne resto ferma nelle mie convinzioni, nelle mie sensazioni, nella voglia di non fare della mia vita un pettegolezzo che poi si possa passare di bocca in bocca fino a diventare un'altra cosa, un quadro astratto, linee sottili che via via si deformino fino a diventare niente.

mercoledì 23 settembre 2020

Il Temporale

 

Fonte: quinewspisa.it

Fuori imperversa il temporale, che mi fa lo stesso effetto di quando ero appena una bambina. Tachicardia, tremore, la sensazione di essere solo un puntolino insignificante all'interno di un universo enorme. Mi fa paura, non so come altro potrei chiamarla. Riempio il tempo con mille cose da fare per non doverlo ascoltare troppo, per non lasciarmi abbattere da tuoni e fulmini offrendogli un potere che avrei dovuto togliergli anni fa, come in fondo fanno tutti. Si cresce e ci si scrollano di dosso i terrori infantili. Il buio, i rumori molesti, tutte quelle cose lì. E invece torno a respirare nel modo giusto solo quando il temporale si allontana, quando mi accorgo che non potrà farmi del male. Come se fosse una minaccia, si. 

E' rinfrescato. Vedo la pelle delle braccia e delle gambe irrigidirsi come quella di un'oca. E' tornato anche il silenzio ed ho chiuso le finestre per lasciar fuori il fresco e i rumori della strada. Mi piace questo lieve ritorno alla normalità, anche se il cuore galoppa ancora un po'. E' arrivato l'autunno, secondo solo all'inverno per stagione peggiore dell'anno, quantomeno per me. Mi rende più triste e spenta, come se la sua sola presenza potesse innaffiarmi la testa di inquietudini nuove di cui in estate o in primavera non immaginavo neppure l'esistenza. Cambio letteralmente, mi affloscio come quelle foglie rossastre che iniziano già a cadere ai bordi delle strade. Erano verdi ed incantevoli solo due mesi fa ma eccole ripiegarsi su sé stesse e staccarsi, planare fino al suolo e lì restare fin quando non diverranno polvere anch'esse.

Non è triste quella caduta? non fa un po' male al cuore? non ci ricorda che tutto ha un inizio ed una fine, che niente è destinato a durare per sempre? Ad un certo punto le vedi tutte lì per terra quelle foglie, pronte a lasciarsi trascinare dalla pioggia, dalla fanghiglia, dal vento. Morte, assassinate, presenze macabre di una festa ormai finita.

sabato 19 settembre 2020

I Mille Pezzi di Un Puzzle

                                                          Fonte immagine: midirasnur. org


Ore 14:59.

Sono in negozio. In veranda c'è una coppia che conosco con la bambina di 4 anni. Forse si sono amati un tempo, ma ora discutono animatamente. Non vivono più insieme, si sono allontanati già da diverso tempo. Ed ora vedo lei che fuma e gesticola, la bimba che gioca apparentemente incurante del clima teso tra i due, lui che non alza la voce ma si alza e si riabbassa sulla sedia di continuo, preda di una strana agitazione. Non litigano nel vero senso della parola, ma tra loro vi è una tensione palpabile, come se stessero maneggiando polvere da sparo accanto ad una fiamma lasciata quasi incustodita.

Perché è così difficile comunicare? perché è così complicato parlarsi? Perché quando finisce un sentimento ci si ritrova come all'interno di una stanza, chiusi col proprio carceriere? Dove finiscono la complicità, i ricordi, le notti passate a letto a far l'amore, le gite fuori porta, le cene rimediate in fretta, gli sguardi innamorati? 

Com'è che due persone un tempo affiatate e coinvolte diventino peggio di due estranei? Quando si smette di amare la pelle di un altro essere umano e iniziare ad odiarne anche l'odore? Come è possibile che tutto quel che di bello c'è stato bruci fino a diventare cenere? Lo so che nulla è eterno, lo so che i sentimenti cambiano come tutto il resto su questo mondo. Lo so eppure non mi capacito di questo stravolgimento, del passaggio rugoso dall'amore al detestarsi. Forse è questa la parte peggiore. Non il sentimento che muore, ma quello a cui lascia il posto. Il rancore, l'astio, il senso di smarrimento, la terra che trema sotto i piedi, la sensazione di aver perso tempo o di non aver saputo stringersi più forte quando i muri iniziavano a crollare. E da lì le grida, il furore, lo strimpellio di un'anima sdrucita sull'altra, l'arrancare, il non riuscire a sopportarsi, l'odio che diventa parte della pelle, dei capelli, dei piedi, delle gambe, che si impossessa delle mani e delle braccia.

Da alcuni giorni andando a lavoro calpesto pezzi di un puzzle gettati senza cura sulla strada. Sono lì, abbandonati e soli, ciascuno perso sui suoi millimetri di asfalto, incapace di ricomporsi agli altri pezzi. Alcuni sono stati falciati via dalle auto che passano di lì. Altri hanno cambiato colore. Qualcuno dev'essersi perso chissà dove. Ma nessuno di loro, nessuno, ha potuto riappropriarsi dei pezzi mancanti, costretto ormai a bastarsi da sé, coi suoi angoli rotondi che non verranno più riempiti. Ed è forse così anche per quegli amori caduti, morti, estirpati dal cuore. E ti ritrovi stanco, sfibrato e solo a chiederti dove siano andati quei pezzi che un giorno ti tenevano caldo e che ora ti fanno sentire freddo, che ti premono addosso solo per ricordarti che qualcosa è morto, morto per sempre, e non tornerà. Che quella voce che un tempo ti accarezzava ora ti urla addosso, che quelle mani che prima ti stringevano ora ti si agitano contro per chiederti di tacere. 

Si sono alzati. La bimba va col papà, la madre tira un po' il fiato. E tutti e tre mi appaiono troppo stanchi anche solo per alzare gli occhi al cielo.

mercoledì 16 settembre 2020

Gabbiani

Foto Mia.


Settembre è il mese in cui i gabbiani si riappropriano della spiaggia.
Li vedo volteggiare sull'acqua in cerca di cibo, rincorrersi furenti quando uno di loro trova un pesce che non ha alcuna intenzione di condividere con gli altri. Schiamazzi inferociti fendono l'aria gareggiando con lo sciabordare delle onde.
Siamo soli, di nuovo.
O quasi soli, che è anche meglio.
E chissà perché mi sento in comunione con tutto questo, ora più che mai. Ora che non ci sono voci a sovrastare i pensieri, ora che lo sguardo può farsi profondo, adesso che è ancora estate ma non la devo condividere. 

I chioschi iniziano a togliere un pezzo di sé ogni giorno, si ridimensionano fino a chiudere del tutto. Gli ombrelloni scompaiono. 
Siamo di nuovo in pochi.
Le signore con i cani. I pescatori. Un padre con il suo bambino.
Ma io li vedo da lontano, sono puntolini distanti. Io sono sulla spiaggia, a pochi centimetri dal mare, mi lascio attraversare dal suo odore, dalla sua voce, dalla sua presenza potente che mi fa tornare a respirare.

Sono ricca. 
Ricca di qualcosa che non si può comprare ma che un giorno deve aver saputo comprare me.
Mi aggiro tra i gabbiani come se fossi una di loro. Mi guardano restando allerta, pronti a volare via al minimo accenno di un movimento brusco. Però poi mi lasciano restare, incuranti di quest'essere senza ali si lasciano persino fotografare. 
Quando torno sull'asfalto del lungomare e mi tolgo la sabbia dalle scarpe sento che con quei granelli abbandono anche un po' del benessere accumulato fin lì. Torno civilizzata, perdo un po' di quell'istinto selvaggio da cui è più facile lasciarsi cullare quando non si è in presenza di altri esseri umani.

lunedì 14 settembre 2020

Insieme



Mi piace veder ridere mia madre. Mi è sempre piaciuto.
Forse perché ha avuto una vita piuttosto dura e vederla ridere, quando succede, mi fa pensare che vada tutto bene. Che un po' di gioia le sia stata restituita. Che nel suo cuore non vi sia più posto per quelle forme di dolore, che vi sia altro, che il peggio sia passato. 
E allora mi riscopro ad osservarla e a ridere a mia volta, a pensare al fatto che vi siano delle somiglianze in noi, ma che siamo due donne completamente diverse. 
Ieri è stata qui, c'erano anche mio padre e mio fratello. 
E' stato bello in un modo che non riesco a descrivere, come se le parole si cristallizzassero da qualche parte pur di non esser scritte, pur di non venire fuori. 
Ero felice? ero felice.
Erano tra i miei spazi, li ho visti sedersi sulle mie sedie, mangiare al mio tavolo, toccare le mie cose, calpestare i miei pavimenti. A volte c'è bisogno anche di questo, che le persone che ami davvero vengano a trovarti, che abbraccino con lo sguardo la tua vita, che ne facciano parte. Per certi versi è stata una giornata stancante, ho fatto tante cose, non mi sono fermata un attimo, mi sono seduta a tavola per una manciata di minuti in tutto. Eppure di quella stanchezza non avverto che la percezione che avrei dovuto sentirmi stanca e invece stavo bene. 

C'era tanto cibo e per riuscire a mangiare qualcosa ho dovuto non vederlo. Me ne sono stata in cucina mentre loro in terrazzo iniziavano il pranzo, tanto da fare non mancava. Ma fondamentalmente so di averlo fatto perché la visione del cibo, soprattutto se abbondante, un po' mi nausea e mi inibisce. Mi capita di mangiare con gusto ma mi capita più spesso di mangiare controvoglia. E' così dall'inizio dell'anno, ormai, e a conti fatti non mi dispiace. Sento che il mio organismo per stare bene necessita di un'alimentazione leggera, delicata, priva di creme, di condimenti particolari, di sapori forti, di grassi, di zuccheri in eccesso, di porcherie. Sto bene quando mangio la frutta, la verdura, qualche formaggio magro e tutto il resto mi disturba. Credo di non mangiare pasta da due o tre mesi e non mi è ancora capitato di sentirne la mancanza. Mangio la pizza una volta alla settimana ed è il momento della festa, quello in cui mi disinteresso di tutto e mi faccio cullare dal gusto. Ma per il resto più leggero mangio e meglio mi sento, come se mettere in bocca qualcosa in più significasse sporcarmi. 
Sto bene e non mi manca nulla, vorrei solo che le persone intorno a me non se ne preoccupassero. Che mia madre non mi guardasse come se potessi ammalarmi di nuovo e mio padre non mi toccasse le spalle per sentirmi le ossa. Forse l'amore passa anche da qui, dal preoccuparsi, ma non sono anoressica, ho solo poco appetito grazie a Dio.

venerdì 11 settembre 2020

Cambiamenti



11 Settembre 2020, ore 11:48.
Sento tuonare in lontananza e mi accorgo di un'improvvisa folata di vento che scuote lo stendino in balcone.
Il cielo è cupo.
Un vociare di bambini stranieri si agita sotto casa. 
Stanno traslocando, da alcuni giorni c'è un viavai di furgoni che immagino contengano l'intera vita dei loro genitori stipata dentro scatole marroni che impiegheranno giorni per essere svuotate. 
Solo una settimana fa Fred mi accennava che dovremo cambiare casa, prima o poi. Che qui siamo stretti e scomodi, come accampati. 
E non so perché sono caduta dalle nuvole, come se quel pensiero detto ad alta voce non mi avesse mai sfiorato, e invece ho sempre saputo che questa non sarebbe stata la nostra casa definitiva. So che ha ragione e questi spazi ridotti soffocano anche me. Eppure sentirglielo dire mi ha fatto tremare il cuore. 
Ci vorranno anni, è solo un'ipotesi, un lieve progetto buttato lì con blanda convinzione ma pronto a far rumore. Sono davvero così restia ai cambiamenti, ai programmi che dal cervello passano alla bocca?


Ore 15:41.
La pioggia è cessata da un'ora.
La strada è già completamente asciutta, come se non avesse piovuto affatto. Solo alcune pozzanghere qui e lì tradiscono la presenza di acqua piovana. E' successo davvero, suggeriscono. Non ti sei inventata nulla. 
Ma tutto intorno, l'erba, il cielo, le piante, sembrano esser passati indenni all'acquazzone, ancora aridi e assetati, ancora pezzi di estate caldissima.

Io sono in negozio che un po' servo la gente, un po' penso ai fatti miei. Al fatto che non cucino più col desiderio di farlo, ad esempio. Ed è da così tanto tempo, che questo avviene, che quando poi ho qualcuno a casa mi sento come se avessi scordato tutto, come se la cosa mi cogliesse del tutto impreparata. Mi manca la gioia di farlo, la contentezza di preparare qualcosa per qualcuno che poi la mangerà e ne sarà felice. Eseguo gesti meccanici dettati dall'obbligo di preparare da mangiare ma qualcuno un giorno mi disse che la cucina è amore e io quell'amore di stare in cucina non lo provo più. Forse proprio per quell'assenza di spazi adatti. O per i tempi ristretti in cui devo far tutto. O per il pensiero quotidiano di cosa portare in tavola. Che poi a me non importa più di mangiare, mi nutrirei di sole erbe come le capre, tutto ciò che è elaborato mi sfinisce o mi fa stare male.

Un discorso uscito così, senza alcuna premeditazione. Domenica verranno a trovarmi i miei genitori, non sono più venuti qui da maggio dello scorso anno. Li ho invitati io e mi sono battuta affinché le reticenze di mio padre a viaggiare venissero appianate, almeno stavolta.
Logica vorrebbe che preparassi loro un pranzo con i fiocchi, no? che mi mettessi ai fornelli al mattino, come una perfetta donna di casa, con i riccioli alzati e un bel grembiule a quadretti. E invece ho elaborato il menu meno impegnativo che conosco. Buono, per carità, ma di quelli che richiederanno un minimo sforzo da parte mia.
Sono irrecuperabile. Mia madre se la sarebbe meritata una figlia perfetta che cucina col sorriso sulle labbra, instancabile. E invece eccomi qui, la tizia che un tempo sperimentava con gioia e che adesso, solo a pensarci, le viene il torcicollo.

martedì 8 settembre 2020

Ossa

Fonte: sognipedia. it


Ci sono giorni che passano lievi sulle tue ossa fino a sembrare trasparenti. Privi di spessore, di peso, di tensione. Danzano leggiadri come libellule e non ne avverti neppure l'odore.
E poi ce ne sono altri che ti attraversano furenti come se tu fossi un passaggio a livello di cui ignorare la sbarra. Procedono aggressivi col desiderio di smembrarti, di staccartele dalla carne, quelle ossa. Non fai in tempo neanche ad urlare che ti ritrovi addosso il tuo sangue, lo vedi allargarsi sulla maglietta bianca, disegnare aloni imperfetti ma così vividi da catturare gli occhi. Ti attardi a guardare quelle macchie, ad osservare come il sangue da rosso vivido poi diventi più scuro fino a seccarsi. 

Non c'è più sole, anche le nuvole sbiadiscono fino a rarefarsi completamente. Ti alzi, ti sembra di aver passato ore così, seduta su una pietra a guardare la tua maglietta sporca. Fin sotto le unghie senti il sangue incrostato, forse hai cercato di levartelo di dosso ma non te lo ricordi. L'acqua è calda, poi diventa bollente. Lavi via tutto di quello spettacolo violento e privo di senso. E poi non c'è più niente, rimuovi ogni cosa, chiudi gli occhi e quando li riapri quel macabro siparietto è già scomparso del tutto, forse non lo hai visto davvero, non c'era, era solo un sogno, un incubo, uno scherzo della mente.

giovedì 3 settembre 2020

Il Grappolo d'Uva

Fonte: La bottega di Varese


L'aria era frizzante, profumava di settembre.
Sopra il top sportivo ho indossato uno straccetto nero e sono uscita.
Non erano ancora le sette e il sole aveva da poco iniziato a farsi spazio tra le nuvole coi suoi tiepidi raggi.
Ogni tanto mi fermavo, osservavo i cambiamenti che la natura aveva già operato sul paesaggio, come se una notte fosse bastata a resettare ciò che era stato dell'estate.
Estate che è ancora qui, che ancora mi balza addosso, che tuttora mi scalda la pelle. Mi aggrappo ad essa con tutta me stessa e allo stesso tempo, nell'aria, avverto già il passaggio, la mutazione, la natura che si prepara a qualcosa di nuovo. Ed io che della natura sono un pezzo, lo sento fin nelle ossa.
Mi chiedo se voglia cambiare anche me, farmi maturare come un grappolo d'uva.
In un certo senso, di questa preparazione verso il nuovo, io sono elettrizzata.

Il cielo sul mare disegnava nuvole imperfette che mi guardavano vanitose, spronandomi a fotografarle, a catturare quegli istanti irripetibili, perché ce ne sarebbero stati molti altri, ma avrei perso quelli se non li avessi immortalati.
Ed eccomi dunque a farli miei, a ripetere scatti di cui ne avrei scelto uno solo, l'unico che mi avesse riportato a quel momento, un domani qualsiasi, anche tra mille anni.
La spiaggia era solitaria ma non desolata e in quell'istante, in quella solitudine così piena e bellissima, ho pensato che sarei andata incontro a questo settembre senza osteggiarlo, lasciandomi cullare.