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Fonte: theconversation. com |
Passano davanti al negozio tutti i pomeriggi.
Mi capita di vederli in automobile, oppure sono a piedi con la bambina ed un'amica.
Mi viene male allo stomaco tutte le volte. E tachicardia.
Non l'ho superata, ha detto bene mio cognato ieri, rimproverandomi.
Dice che basta così, che non posso restare a quei momenti, che non ci faranno più del male, che non dovrò più averci a che fare.
La vedo che ci osserva e poi scosta la faccia. A volte è la sua amica a guardarci, a captare notizie da riferirle.
Non ho guardato Emma, è andata ormai, un ricordo dolce amaro che ancora un po' mi fa tremare.
Le ho anche sognate, lei e la bambina. Tutti dentro in una stanza, i miei zii, i miei genitori, la mia famiglia per intero. Fred e mio cognato. E loro due, venute a "salutarci" con quel tono mellifluo e pericoloso.
Ed io che tremo, che non mi fido, che sto male, che voglio scappare, che so che è tutta una finzione prima di un altro attacco.
Poi mi sveglio, il sogno finisce, non ci penso fin quando non le rivedo passare davanti alla vetrina.
Non ho più mangiato dolci da quel giorno di tre mesi e mezzo fa. Chissà perché l'amarezza si è manifestata in questo modo, con un totale rifiuto verso tutto ciò che possa contenere zucchero.
Una sorta di punizione che ho somministrato a me stessa per non aver ascoltato l'istinto, il sesto senso, quel brivido sulla schiena tutte le volte in cui mi scontravo con la latente falsità che impregnava ogni loro gesto.
Eppure gli ho voluto bene. Troppo forse.
Bene passato dal cuore alla discarica nell'arco di un quarto d'ora.