lunedì 30 marzo 2020

Al Sole

Fonte: faidateingiardino. com

Sarà stato, forse, tutto il sole immagazzinato ieri pomeriggio in terrazzo.
Sole al quale mi sono affidata senza difese, come se fossi uscita nuda e gli avessi detto: provaci tu. 
L'ho sentito scaldare tutte le zone fredde.
Quelle del corpo, certo, ma più di ogni altra cosa ha sciolto quei pezzi di ghiaccio che a poco a poco mi avevano avvolto l'anima, il cuore.
Lo sentivo lavorare sull'umore, soprattutto. Lo sentivo aggiustarlo raggio dopo raggio, come un coscienzioso dottore che metta i punti sul ginocchio di un bambino indisciplinato.
E man mano che lo faceva, io rinascevo. 
In un certo senso, attimo dopo attimo mi sentivo meglio. Sentivo crescere di nuovo la speranza, la volontà, il desiderio di non fermarmi mai.

Uscirò da queste pareti, mi son detta.
Uscirò, tutto questo incubo sarà finito, raggiungerò il mare.
Piangerò di gioia.
Scalcerò sulla sabbia.
I gabbiani mi guarderanno come se fossi pazza.
Le barche mi staranno di nuovo intorno.
Ricostruirò la mia vita, in mezzo a milioni di altre vite da ricostruire, mi aggrapperò a tutto quello che mi sarà rimasto.
E sarò di nuovo felice. Lo saremo tutti.
Crediamoci, vi prego.

giovedì 26 marzo 2020

Marino

Piove.
C'è un silenzio profondo che avvolge ogni cosa, che la ricopre, che l'agguanta completamente.
Mi sto cercando tra le stanze, sperando di trovarmi.
Dovrò pur essere da qualche parte, non posso essermi semplicemente volatilizzata.
Non è così che si dice di chi si perde? che da qualche parte dovrà pur essere. Che è impossibile sparire senza lasciare traccia.
E allora cerco tracce di me in ogni centimetro di questi sessanta metri di casa. 

Vorrei cancellare tutto, ogni parola. Ogni briciola lasciata cadere per terra.
Mi ritrovo su questa pagina bianca ogni qual volta il peso di queste giornate diventa insostenibile. 
Sono come uno di quei pittori gioviali con la barba bianca che dipingono tele nere. Schizzi di sangue, denti aguzzi, mostri ed assassini. E una volta finito di dipingere stanno meglio, hanno trasportato fuori di sé i pensieri negativi e hanno lasciato dentro solo il buono e il bello del vivere.
Solo che adesso qualcosa di quel buio rimane anche all'interno. Germi che proliferano, che non si lasciano sbattere alla porta. Che restano nella mente ad inquinarne l'essenza.


Però accanto alla strada che ogni giorno mi conduce a lavoro c'è un ampio campo recintato. Dentro questo campo, bruca un cavallo che mesi fa ho chiamato Marino.
Siamo amici, anche se lui non lo sa.
E' biondo, ha i capelli di platino. 
E' una visione spettacolare, di una forza che toglie il respiro. O forse lo restituisce.
L'ho sempre guardato come si fa con quelle potenze misteriose di cui si fatica a percepire l'origine. Mi somiglia in qualche modo e non so perché. Lo osservo come se fossimo parenti, come se ci fossimo già incontrati in un'altra vita, incapace di spiegarmi la ragione per cui il mio cuore oscilla ogni volta che lo guardo e le labbra si aprono in un sorriso e gli occhi si arcuano, ed il mondo torna ad essere un bel posto in cui stare. Nonostante tutto.

domenica 22 marzo 2020

Il Pozzo

Fonte: Amici della Scienza

Pensavo, chissà com'è che si cade improvvisamente dentro un pozzo.
Tutto d'un tratto scendi, ci finisci con un piede, poi con entrambi. Ti manca il respiro quando percepisci di non avere più la terra a sostenerti, senti l'aria che si fa sempre più pesante mentre precipiti e poco dopo sei giù, con il sedere nella melma. Forse cadendo ti sei rotto un braccio, o una gamba, o entrambi. O forse non ti sei rotto nulla ma non puoi fare a meno di pensare che se non avessi messo un piede in fallo, ora non ti ritroveresti in quel pozzo buio senza sapere come uscirne.
Ma quand'è che lo abbiamo messo quel piede in fallo? in quale momento della nostra storia abbiamo commesso l'errore fatale?
Guardi in alto, vedi la luce del cielo, le nuvole che ancora si rincorrono, il sole che è tuttora di una bellezza sconvolgente. E poi le pietre aguzze intorno, il freddo, l'umidità, la claustrofobia. Devi trovare il modo di risalire, urlare non servirà a niente, nessuno ti sentirà. Non ci saranno corde miracolose dall'alto, non ci sono testimoni che ti possano o vogliano tirare fuori. E' un incubo personale, un incubo di ciascuno, la cui profondità è differente per ogni coscienza che debba scontrarcisi. Uniti ma soli, distanti, incattiviti, impoveriti, spaventati. 

Poi resetti tutto.
Non vuoi pensare al pozzo. Vuoi pensare a quello che c'è fuori.
Allora fai colazione, pulisci casa, stiri lenzuola e tovaglie, spazzi il terrazzo, cucini, ti godi il calore della prima domenica di primavera, leggi un libro, ti alleni. Ti distrai. Ti aggrappi a quello che ti è rimasto, che è tantissimo in fondo. Tantissimo. 
Respiri. Il mondo è ancora così dannatamente incantevole. I tramonti sono tuttora così sconvolgenti nella loro intensità. Le albi ancora così drammatiche, così intense, così perfette.
E allora metti un piede sul muro. Poi un altro. Cadi infinite volte, ti sbucci le ginocchia, imprechi, piangi, ma ci riprovi. Ancora, ancora, ancora.
E' solo un pozzo, no? Non sarà la fine del mondo. Ne uscirai, ne usciremo. 

martedì 17 marzo 2020

Ho Perso Le Parole

Fonte: primocanale. it


C'era una canzone anni fa.
Ho perso le parole. 
La cantava Ligabue, che solo pochi giorni fa ha compiuto 60 anni, e che ne fece anche un film che magari non fu un capolavoro ma che io adorai e che mi fece conoscere una voce speciale, che tuttora amo, quella di Stefano Accorsi.

Le ho perse per la strada, queste parole, come Pollicino con le briciole.
Le ho disseminate da qualche parte, per qualche via impervia, che forse non conosco. O che conosco troppo bene.
Io che già parlavo poco, ora non parlerei affatto. E' un bene che riesca ancora a scrivere, e questa forse rimane quasi la mia unica valvola di sfogo. L'altra è lo yoga, che pratico in una stanzetta con il computer davanti, senza mai riuscire a concentrarmi quanto vorrei.

Mangio sempre meno, Fred inizia a preoccuparsi. 
Anche se mangiamo insieme solo a cena, si è accorto che spilucco e poi mi fermo. 
Mi pesa. Mi pesa terribilmente mettere qualcosa dentro lo stomaco.
Che poi, poco dopo, sto male. 
E' tensione nervosa, la riconosco. Un po' mi corrode, un po' mi salva dalle abbuffate che a quanto pare stanno facendo tutti di questi tempi, chiusi in casa a cucinare.

Alterno momenti di positività ad altri in cui mi accascio come un palloncino sgonfiato.
Un palloncino che ricade leggero sul terreno e che forse un alito di vento porterà via. 
Verranno giorni migliori. Giorni in cui si potrà accendere la televisione senza aver paura di ascoltare un bollettino di morte. Giorni in cui potrò rivedere i miei cari. Giorni in cui tornerò spensierata sul mare, ad ascoltare le onde e farmi baciare dal sole. Giorni in cui la normalità sembrerà bellissima, una boccata d'aria fresca. 
E allora forse torneranno anche le parole, la voglia di aprir bocca, di essere la solita spensierata me stessa. 

giovedì 12 marzo 2020

Surreale

Fonte: Focus Junior

Come un automatismo inceppato tentavo di accendere la luce del bagno senza arrendermi al fatto che restasse spenta. Poi come un flash mi è tornato in mente che durante la notte la lampadina aveva esalato il suo ultimo respiro.
E noi l'avevamo completamente dimenticata, procrastinata, lasciata lì.
Mi è sembrata la perfetta metafora di queste ultime ore. Di questi ultimi giorni. Forse di tutti quelli che si sono susseguiti dal primo gennaio ad oggi.
Una raffica di pallottole da schivare. E noi lì a correre, a volte inciampare, poi saltare di nuovo in aria e quindi ributtarci a terra.
E quando sei in mezzo alle pallottole non pensi a cambiare la lampadina in bagno. Non ci pensi fin quando devi farti la doccia e non c'è più luce naturale oltre le persiane. 

Ed ora che la doccia l'ho fatta, che sono finalmente pulita ed il freddo e alcune preoccupazioni sono scivolate via insieme all'acqua nello scarico, mi sento meglio.
Quieta.
Il lavoro non si è fermato, ma è cambiato radicalmente.
Ne abbiamo dovuto chiudere una parte, rimbalzando tra un'informazione e l'altra, con il timore di sbagliare qualcosa e incorrere anche in qualche pesante sanzione.
La dipendente è a casa, siamo noi tre. Che lavoriamo fianco a fianco, ci facciamo forza, un po' scherziamo, un po' scleriamo, ma certamente proviamo a restare in sella.
Le spese sono sempre le stesse, i guadagni sono colati a picco. Si va a lavoro perché si deve e in fondo un po' ci si aggrappa anche, è una scusa per prendere un po' d'aria, sperando di non ammalarsi.

E' surreale.
Ogni cosa lo è diventata.
Le strade, le automobili, le persone, le mascherine che si attaccano alle labbra, i guanti che scivolano, le telefonate sempre più asettiche con mia madre perché riesco a parlare sempre meno. Io che ho sempre parlato poco ora non parlerei affatto. E non ho più neanche il mare ad ascoltarmi il respiro.

domenica 8 marzo 2020

Fettuccine al Ragù



Ero in terrazzo a godere del sole, un libro sulle ginocchia per scacciare l'apatia. 
Avrei voluto uscire, andare al mare, anche solo passeggiare da qualche parte. Ma non si poteva, c'era troppa gente che gravitava intorno alla piazza e al momento è preferibile evitare luoghi affollati. Al mare ci potrò andare solo la mattina presto, come del resto ho sempre fatto.
E allora mi sono rintanata lì, sotto quel sole di marzo a cui volgevo le spalle ma che sentivo distintamente sui capelli, sulla testa, sul collo, sul corpo.

Mentre leggevo è squillato il telefono, era mia cugina. Non la vedo da Capodanno.
E' insegnante e resterà a casa per un bel po' di tempo. Organizza i compiti per i suoi piccoli studenti, cerca di non sovraccaricare le famiglie con impegni troppo gravosi. Inventa giochi, esercizi passatempo. La voce andava e veniva, non la sentivo bene. Però era straordinaria quella voce amata. Bello averla nelle orecchie, poterla respirare da lontano.
In quel momento mi sono sentita protetta ma anche un po' sola. Non so quando potrò rivedere la mia famiglia, qui la situazione ad oggi conta 14 casi accertati, 1 decesso e 480 persone in sorveglianza domiciliare. Lì dove sono loro è ancora tutto tranquillo.
Non voglio e non posso portarmi addosso questa macchia, non me lo perdonerei mai.
Allora stiamo distanti, ci sentiamo al telefono, facciamo passare i giorni così. Ciascuno rinchiuso nella sua vita col pensiero degli altri pezzi della famiglia, come allacciati ad uno stesso invisibile filo. 
Mi ha detto che pensa di trasferirsi lì in questo periodo, nella casa sopra quella dei miei. Mi sono sentita grata e sollevata perché sapere lei lì mi farà stare più tranquilla.
Del resto anche mio fratello da domani lavorerà da casa. 

Solo poche ore prima ero a casa dei miei suoceri, mangiavamo fettuccine con il ragù, c'erano anche i cugini di Fred. Eravamo tutti tesi, corde di violino che rischiavano di spezzarsi se solo si fossero azzardate a vibrare un po' di più. 

sabato 7 marzo 2020

Spiragli



Mi sono svegliata di soprassalto, erano le 7:10.
Sono carambolata fuori dal letto, la stanchezza caduta giù di colpo insieme ai miei piedi.
Ho fatto colazione al volo, mi sono vestita in fretta e furia, ho guardato il cielo da uno spicchio di finestra lasciata aperta e poi, semplicemente, sono scappata via.
In fuga. 
Sono corsa verso il mare, perseguitata da quel richiamo ancestrale che mi ha portato di nuovo lì dopo una settimana di separazione. 
C'era un anticipo di primavera ad aspettarmi. Il vento era finalmente cessato, il mare era mosso ma leggiadro, come se quelle onde non fossero altro che danze, gesti che si replicavano a ritmo di musica.
Sono stata bene. Ho inalato piacere, allegria, spensieratezza. L'ho sentita nell'aria, in barba a tutto quello che sta succedendo, a tutto il nero che tenta di stremarci. 
Ho respirato, ascoltato canzoni da cantare a memoria, sono stata presa di mira da un bel cane nero che mi trotterellava intorno in cerca di qualcosa che non so cos'era, ma che mi ha fatto sorridere. 
Mi sono sentita felice. Il resto dietro le spalle, come inesistente. E' davvero utile pensare continuamente a ciò che non si può cambiare? ha senso farsi il sangue amaro ad ogni ora del giorno e della notte? 
C'è tanta vita ancora e sento di volerla respirare il più possibile. Senza questo mare chissà che fine farei, chissà se riuscirei a trovare uno spiraglio per sentirmi bene anche quando le preoccupazioni premono da tutte le parti. Però c'è, grazie al cielo c'è. E' mio, mio con tutta l'intensità possibile. E' lì per me, lo sento gridare quando arrivo. O forse sono io che grido, interiormente, perché sentirsi a casa è la più bella tra le sensazioni possibili.
Una casa priva di confini e di pareti: posso avere tutto lo spazio che voglio. Lì non devo comprimermi: sono io. Sara. 

lunedì 2 marzo 2020

Surreale

Fonte: ilpost. it


Ore 18:03.
E' uno scenario straniante.
Il vento piega violentemente gli alberi ad alto fusto dall'altro lato della strada. La pioggia sbatte ovunque come preda di un incantesimo, spilli gelati che prima di raggiungere il suolo vagano inquieti nell'atmosfera nebbiosa.
I colori sono come ovattati, plumbei, smorzati. 
Poteva essere un giorno di sole, invece anche il tempo sembra averci voltato le spalle.

C'è poca gente, temo ne verrà sempre meno nei prossimi giorni.
Anche in questo quartiere è arrivato il virus, l'arma letale che falcerà indifferente l'intera economia del posto.
Sembrava lontano anni luce e invece eccolo qui, in mezzo a noi come un ospite indesiderato che non si possa mandar via a piacimento.
Un'intera famiglia contagiata, qualche scuola già chiusa, la caccia fragorosa e sfiancante a chiunque vi sia entrato in contatto.

E nel frattempo la gente impazzisce. C'è un mormorio che diventa rumore assordante.
Provo a spegnere il cervello, mi estranio, sono qui con il corpo ma la mia mente è via, via di qua. Non voglio sentire nulla, non voglio pensare, perché c'è troppo da pensare.
Che non è solo il virus. Sono i tanti cambiamenti che affronteremo nei prossimi mesi. 

Ore 22:47.
Sono finalmente a letto, i pensieri che avevo cercato di allontanare mi aleggiano ancora intorno.
Chiudo gli occhi e penso al mare. Penso di entrarvi, di gettarmi alle spalle il mondo intero. Penso di farmi abbracciare, consolare, stringere dalle sue dita che hanno la consistenza mutevole e schiumosa delle onde.
Domani, mi dico, ci vediamo domani.
Che non cambierà le cose, sarà tutto ancora così. Forse seguiranno ordinanze, forse dovremo fare un tampone anche noi, forse la gente si barricherà in casa e le strade avranno l'aspetto di un sabbioso e arido deserto.
Non cambierà le cose andare al mare, no. Però non posso evitare di farlo, di scappare via per un po', di fingere che sia tutto normale quando normale non è.