![]() |
Fonte: cosmopolitan. com |
In questo strano periodo c'è una sola cosa che non perdo mai di vista.
Tutto il resto traballa, si allunga e si accorcia a piacimento, oscilla davanti ai miei occhi che talvolta mi sforzo di tenere chiusi per non farmi girar la testa.
E quella cosa è il corso di yoga.
Sono andata a lezione stando male, sono andata con la pioggia, col vento, col sole. Sono andata con i dolori mestruali intensi, con un accenno di febbre, con il raffreddore o col mal di gola.
Perché quei sessanta minuti di fatica due volte alla settimana in cui il mio corpo si flette e si gira e si stende e si innalza e poi prova a stare in equilibrio...quei sessanta minuti, dicevo, sento di non poterli proprio rimandare.
Su quel tappetino ci siamo solo noi. Le mie gambe, le mie braccia, i miei muscoli, il mio respiro, gli occhi che si aprono e si chiudono. Soprattutto c'è la concentrazione.
Ascolto la voce dell'insegnante come se fosse l'unica guida alla quale prestare ascolto. E quando tutto finisce, quando sono pronta per rivestirmi e tornare a casa, sento che quel tempo si è rivelato prezioso.
Mi fa sorridere il fatto che la gente abbia una visione distorta di questa disciplina. Pensano che si vada a rilassarsi, a meditare, a riposarsi. In realtà è un lavoro di potenziamento muscolare tutt'altro che leggero. Si lavora con le gambe, con gli addominali, con le braccia. Si utilizzano pesi.
E quel lavorare mi piace, mi piace più di quanto potessi immaginare. Mi piacciono le sfide che l'insegnante ci pone, mi piace quell'asticella che sale sempre un po' più in alto.
Poi esco di lì, indosso gli occhiali da sole, le cuffiette, i miei stivaletti col tacco.
Torno a casa a piedi per continuare il mio allenamento, ma anche e soprattutto per porre una distanza tra quei sessanta minuti dedicati a me stessa e le incombenze che mi aspettano non appena questi finiscono. Mi piacciono anche quei quindici minuti che mi separano dal ritorno a casa, dalle faccende, dal bucato, dalle pulizie, dai pasti da preparare. Mi piacciono perché sono ancora miei e di nessun altro.