venerdì 28 febbraio 2020

In Equilibrio


Fonte: cosmopolitan. com

In questo strano periodo c'è una sola cosa che non perdo mai di vista. 
Tutto il resto traballa, si allunga e si accorcia a piacimento, oscilla davanti ai miei occhi che talvolta mi sforzo di tenere chiusi per non farmi girar la testa.
E quella cosa è il corso di yoga.
Sono andata a lezione stando male, sono andata con la pioggia, col vento, col sole. Sono andata con i dolori mestruali intensi, con un accenno di febbre, con il raffreddore o col mal di gola.
Perché quei sessanta minuti di fatica due volte alla settimana in cui il mio corpo si flette e si gira e si stende e si innalza e poi prova a stare in equilibrio...quei sessanta minuti, dicevo, sento di non poterli proprio rimandare.
Su quel tappetino ci siamo solo noi. Le mie gambe, le mie braccia, i miei muscoli, il mio respiro, gli occhi che si aprono e si chiudono. Soprattutto c'è la concentrazione.
Ascolto la voce dell'insegnante come se fosse l'unica guida alla quale prestare ascolto. E quando tutto finisce, quando sono pronta per rivestirmi e tornare a casa, sento che quel tempo si è rivelato prezioso. 

Mi fa sorridere il fatto che la gente abbia una visione distorta di questa disciplina. Pensano che si vada a rilassarsi, a meditare, a riposarsi. In realtà è un lavoro di potenziamento muscolare tutt'altro che leggero. Si lavora con le gambe, con gli addominali, con le braccia. Si utilizzano pesi.
E quel lavorare mi piace, mi piace più di quanto potessi immaginare. Mi piacciono le sfide che l'insegnante ci pone, mi piace quell'asticella che sale sempre un po' più in alto.

Poi esco di lì, indosso gli occhiali da sole, le cuffiette, i miei stivaletti col tacco.
Torno a casa a piedi per continuare il mio allenamento, ma anche e soprattutto per porre una distanza tra quei sessanta minuti dedicati a me stessa e le incombenze che mi aspettano non appena questi finiscono. Mi piacciono anche quei quindici minuti che mi separano dal ritorno a casa, dalle faccende, dal bucato, dalle pulizie, dai pasti da preparare. Mi piacciono perché sono ancora miei e di nessun altro.

martedì 18 febbraio 2020

Luci Spente

Fonte: Toluna


Ho passato la mattinata a letto.
Mi sono ammalata un po', niente di grave; fra poco mi vesto e vado a lavoro.
Avrei voluto alzarmi alle sette e andare al mare, voluto avere la stessa grinta di sempre.
E invece mi sento un ammasso di ferro arrugginito che non si sposterebbe dal proprio giaciglio neppur trainato.
C'è il solito cane dei vicini che si lamenta tutto il tempo, il suo è un verso agonizzante che ormai mi disturba nel profondo. 
Di questa mattinata voglio conservare quel senso di ovattato oblio. Quello star con la testa sotto le coperte, protetta, scalfita da nulla. Le brutture fuori, i pensieri spostati al di là del cuscino, perduti presso un'altra stanza che non ho visitato. 

Mi sento un po' meglio.
C'è ancora quel dolore acuto nella parte sinistra della gola. 
Però è tornato il sole, lo vedo filtrare dalla finestra, potente e bellissimo.
E' ora di alzarsi, ora di vestirsi, ora di riprendere il solito tran tran.

sabato 15 febbraio 2020

Febbraio

Fonte: ilgiardinodegliilluminati. it


Febbraio atipico, di quelli che non avevo visto mai.
Sono uscita presto con le mie gambe, le mie cuffiette, i miei pensieri da sbattere sulla strada e calpestare con decisione. 
Avevo voglia di vederli perire, accartocciarsi su sé stessi come carta in mezzo al fuoco. Ardere fino ad incenerirsi, fino a diventare brandelli privi della loro originaria consistenza.
Non è stato possibile ma posso dire di averci provato. 
Ho avuto caldo, ho sudato. Non è ancora primavera ma non sembra neppure inverno. 
C'era tanta gente nei pressi della spiaggia, più di quella che solitamente abita il lungomare in questo periodo. I pescatori riuniti di fronte alle barche, vecchi e giovani insieme come a far parte di una sola generazione. L'uomo che pulisce le spiagge. Dunque i cani, i padroni, avventori a fare colazione nei bar. Non c'era nessuno a lavorare sulla nuova barca bianca. Era lì ferma, lucida, bellissima.

Chissà perché mentre camminavo mi è tornato in mente Subhan.
Solo poche ore prima lo avevo sentito chiamarmi fuori dal negozio. Aveva un sorriso contagioso, una carica vitale che mi ha spinto a sorridere a mia volta. Di un sorriso sincero, non costruito, spontaneo, tutto suo. 
E quegli occhi neri, infiniti, pozzi scuri e profondi. 
"Dove sei stato nei giorni scorsi? mi sei mancato".
"Stavo male, ora sono guarito".
Gli ho fatto una carezza. E mi è balzata in testa quella frase del Piccolo Principe:"Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò a essere felice".
Il padre mi ha visto sorridergli e carezzarlo, si è avvicinato col volto gentile, mi ha chiesto come va. Gli ho detto che va bene, che il piccolo Subhan mi era mancato. Non credo mi abbia capito. Il figlio parla bene l'italiano, il padre ha difficoltà. Ci siamo salutati, io sono rientrata in negozio. E poco dopo lui è trottorellato dentro a prendere le caramelle. Lo guardo e sorrido, è davvero un piccolo folletto.

giovedì 13 febbraio 2020

Panna Montata al Veleno

Fonte: ecodisavona. it


Giornate che si trascinano pesanti, nervose, tristi, difficili.
I problemi anziché dissolversi aumentano e temo da un momento all'altro un cedimento di Fred. 
Non dorme, non mangia, è stressato e anche in quei rari momenti in cui non è fisicamente a lavoro ci deve pensare.
Io stessa dormo pochissimo e ho perso la fame. Mangio per inerzia, per abitudine, un boccone dopo l'altro come se tutto fosse insapore, fastidiosamente insopportabile. Panna montata al veleno, come il verso di una canzone. E allora alla fine butto tutto, che tanto il senso di nausea non passa.

Ho gli occhi pesanti di chi non dorme, di chi vorrebbe che tutto tornasse com'era.
O di chi vorrebbe aver dato retta di più al proprio istinto. 
Quando ti accorgi della crudeltà e della tossicità di alcune persone te ne devi allontanare il prima possibile, non puoi aspettare che ti spargano addosso tutto il fiele di cui sono ricoperti. Ce l'hanno dappertutto, li abbiamo già visti utilizzarlo con chi gli stava accanto. 
Ed ora è addosso a noi, così denso, così pericoloso da farci montar dentro una rabbia ed uno sdegno che non passano, che avvelenano ogni nostro giorno ed ogni notte.
C'è chi mi chiede cos'ho ma non rispondo perché ancora una volta non c'è nulla da dire. Le parole non mi servono, forse davvero mi bastano quelle che incido qui sopra, come se fossero solo pietre da lanciare da qualche parte.

domenica 9 febbraio 2020

C'est La Vie

Fonte: cartacarbonefestival. it


Sono davanti a questo foglio bianco da venti minuti.
Che poi ad un certo punto sono diventati quaranta e non me ne sarei accorta se non avessi guardato l'orologio sul fondo.
Scrivo, cancello, riscrivo, ricancello.
Forse a volte le cose non vanno scritte, non vanno raccontate, non vanno tirate fuori.
Anche a mia madre non ho avuto voglia di dire alcunché. 
Ci sono delusioni che semplicemente si affossano sul fondo del corpo, che galleggiano nei tuoi liquidi e lì permangono. Le tirerai fuori, prima o poi, le espellerai come si fa con la pipì.
Però non le racconterai, non ne avrai voglia, non ne sentirai il bisogno.
Abbiamo sviscerato quanto c'era da sviscerare con Fred e con mio cognato. Il resto del mondo, tutto sommato, non ha bisogno di conoscerne i particolari.

Sono stata al mare ieri mattina. Faceva freddissimo ma lui se ne stava lì, azzurro in un modo assurdo, privo di una qualunque increspatura. Era lì per calmarmi, per dirmi che non servivano parole, che lui tacendo capiva tutto.
Ecco perché non posso avere un amico migliore di lui. Perché nessun essere umano mi abbraccerà mai intuendo ogni cosa senza che io l'abbia detta. 
Con le persone interviene la curiosità, il bisogno di sapere, di consigliare, di dire la propria.
Tutte cose che non mi servono, che mi infastidiscono, che mi indispongono, che mi fanno scappare.

E' andata così, semplicemente.
Poteva finire meglio. Con il rispetto, ad esempio.
Senza sotterfugi, senza falsità, senza ipocrisie, senza prese in giro.
Ma la gente si qualifica per quel che è e per le persone che ha intorno. 
Troveremo un altro dipendente, che magari non abbia una famiglia intorno così ingombrante e così tossica. Per ora c'è da stringere la cinghia, lavorare di più (e del resto è già così da un mese) ed incrociare le dita.
Emma...beh, Emma probabilmente non la rivedrò più. Il libro è stato chiuso, il capitolo strappato.

giovedì 6 febbraio 2020

Subhan

Ho fatto amicizia con un bambino pakistano, si chiama Subhan.
Gli ho chiesto se posso chiamarlo Sub perché non so aspirare l'acca. 
Ci ha pensato un istante guardandomi con quei suoi occhi vispi, scurissimi, poi ha acconsentito.
Parliamo di cose serie, sapete. Di caramelle per lo più. Le apprezza tutte, tranne quelle alla liquirizia. E ama il cioccolato, proprio come me.



Inizialmente mi stava antipatico. Sembrava un folletto, una mina vagante. Non stava fermo un attimo, guardava dappertutto, si inseriva tra la gente con una scioltezza disarmante, non sapevo che aspettarmi.
Poi però ho analizzato il tutto.
E' solo un bambino, mi sono detta.
Un bambino che la sera viene a vedere il padre lavorare, prendendo freddo insieme a lui.
E allora si coccola con i cappuccini molto zuccherati o con dolciumi di vario genere.
Mi ha raccontato che in classe c'è una ragazzina che si chiama Sara come me.
Gli ho sorriso.
E' in quel momento che siamo diventati amici io e Subhan.

domenica 2 febbraio 2020

Febbraio

Fonte: staticfanpage


Ho fotografato l'inverno, oggi.
Un solo scatto. 
Quasi rubato, di quelli che fai senza pensare, senza neanche verificare l'inquadratura. 
Ci hai visto qualcosa in quel pezzo di mondo, in quel dettaglio, in quella minuscola porzione di universo.
Qualcosa di cui non t'accorgi in quell'istante. Sai che c'è, sai di averlo notato, ma non l'hai ancora capito.
E lo sai che è uno scatto inutile, di quelli che non mostrerai.
Che lascerai a prender polvere in mezzo ad altri scatti più fortunati, quelli che ti sembrerà di poter rendere noti, che non dovranno essere spiegati.
E' solo natura sferzata dal freddo. Abbattuta dall'inverno.
Ma così bella, così poetica, così dignitosa nel suo stoicismo, nel suo resistere. 
Se ne stanno lì quelle foglie bucate, lì quelle spine dure. Dentro un bianco che avvolge, un bianco di nebbia o forse di nulla, come di cielo che si rattrappisca e fugga via, in attesa di tempi migliori. 
Forse ci ho visto me stessa lì in mezzo. Ero io che aspettavo.