lunedì 27 gennaio 2020

In Due

"Penso che se dimagrissi cinque chili sarei più bella".
"E' impossibile".
"Dimagrire cinque chili?"
"No. Essere più bella di come sei."

Fonte: risvegliopopolare. it


Mi giro verso di lui, completamente spiazzata.
E non so perché ancora mi stupisco, dopo quattordici anni e mezzo, della purezza dei suoi sentimenti, del modo in cui i suoi occhi mi guardano.
Lui che mi guardava così anche quando ero solo una rosa ricoperta di spine, anche quando ne avevo pure sopra i petali, lungo tutta la superficie del mio stelo, persino sulle foglie. 
Ero un diamante grezzo del cui brillare s'avvedeva solo lui. 
E ancora oggi, in mezzo a tanti occhi che mi scrutano ogni giorno al di là di un bancone di marmo verde, gli unici che spicchino per sincerità sono sempre i suoi. Gli unici il cui sguardo si poggi leggero, aggraziato, innamorato. L'unico che abbia attraversato il deserto, e le ripide salite, e dunque il ghiaccio, la neve, il vento gelido.
Mi piacerebbe potermi guardare attraverso i suoi occhi, anche solo per un istante. Capire cosa vede in me di tanto speciale, di unico. E allo stesso tempo mi piacerebbe prestargli quell'ammasso di carne rossastra che ho in mezzo al petto e fargli sentire quell'intenso vibrare che lo possiede quando mi sta accanto. O quando anche solo penso a lui.
Poi mi dico che no, non avrebbe senso prestarsi gli organi. Che certi sentimenti vanno vissuti ad occhi chiusi, senza dover capire, senza indagare la potenza di ciò che prova l'altro. Che è bello così, ognuno col proprio sentire, ciascuno con il rimestio delle proprie emozioni. 

martedì 21 gennaio 2020

Stupore

Fonte: nicolettacinotti. net


Me ne stavo lì rapita e stupefatta, ancora un po' intorpidita dal sonno, ma colma di un'energia potente che sentivo salire dal suolo, entrarmi nelle scarpe, poi prendere possesso delle gambe, del bacino, sfiorare l'ombelico e dunque salire ancora.
Arrivarmi al petto, comprimerlo, schiacciarlo, infine liberarlo. Tagliare le costole della gabbia toracica e districare il cuore. I polmoni. 
Dunque respirare. Respirare profondamente, come si fa solo quando ci si ferma, quando si è soli, quando il mare ti urla addosso con tutta la sua stupefacente bellezza.

Mi sono sentita fortunata.
Perché a quell'ora, quando altri erano imbottigliati nel traffico di città o guardavano grigi edifici d'immane tristezza, io ero sola col mare. Con la brezza. Con la sabbia. Con i gabbiani. Col sole che usciva timido dietro nuvole che lo avvolgevano come nebbia.
Eravamo noi, solo noi, quello spettacolo di incomparabile beatitudine che mi scartavetrava la pelle ed io. Io che non potevo fare a meno di esserci con tutta me stessa, con ogni fibra del mio corpo, con ogni cellula periferica. 
E certo c'erano un paio di signore con i cani, c'erano i pescatori a ricucire le reti. Ma erano figure sullo sfondo, anonime creature che non aggiungevano né toglievano nulla a quel senso di perfezione che sentivo vibrare fin dentro i capillari.
Avrei voluto poter restare lì, magari sedermi ad osservare, studiare ogni onda come un attento ricercatore che voglia capirne il moto senza catturarlo, senza spiegarlo ad altri. Mi sono sentita come Plasson che dipingeva il mare con il mare. 


"L’uomo non si volta neppure. Continua a fissare il mare. Silenzio. Di tanto in tanto intinge il pennello in una tazza di rame e abbozza sulla tela pochi tratti leggeri. Le setole del pennello lasciano dietro di sé l’ombra di una pallidissima oscurità che il vento immediatamente asciuga riportando a galla il bianco di prima. Acqua. Nella tazza di rame c’è solo acqua. E sulla tela, niente. Niente che si possa vedere […] «acqua di mare, quest’uomo dipinge il mare con il mare» – ed è un pensiero che dà i brividi." (OceanoMare, Alessandro Baricco).



giovedì 16 gennaio 2020

Il Sole di Gennaio

Fonte: freepik. com



Ore 12:30. 
C'è il sole dunque non scrivo.
Il sole mi assorbe completamente, come se fosse il mio caricabatterie e al tempo stesso mi togliesse lo spazio per ogni introspezione. 
Quando c'è il sole devo pensare a vivere il più possibile, non ho tempo di guardarmi dentro, di cercar parole, di riflettere. Sembra che tutto vada più veloce. Le mie poche ore in casa, le lezioni di yoga, il mare, il lavoro. E' un andirivieni di gesti quotidiani, uno scorrer di vita che non posso fermare. 

Ricordo lo scorso gennaio che non passava mai, che arrancava stanco ed infinito. E invece questo calpesta rapido i suoi giorni ed io son lì che guardo oppure che mi faccio calpestare insieme a loro. 
Sento di aver poco tempo per me stessa e quello che ho mi sfugge tra le mani senza che riesca ad afferrarlo mai, velocista indefesso che non so capire. 
Sto leggendo un po' la sera e forse quelli sono gli unici momenti in cui mi siedo a curar l'anima.

Ore 15:25.
C'è un uomo sui quarant'anni qui, sta giocando da mezz'ora. Aspetta un amico, dice.
Poi arriva, è lo stesso tizio di trent'anni più grande con cui l'ho visto altre volte. E se ne stanno così, per un sacco di tempo, a farsi confidenze come se avessero la stessa età o fossero l'uno il figlio dell'altro. Li guardo rapita, stupita di quanto possa esser semplice eppure speciale intrecciare rapporti umani che abbiano valore anche tra persone così dannatamente diverse.
Sorrido insieme a loro, non riesco a fare a meno di entrare nel loro piccolo mondo, di coltivare l'idea di potermi quantomeno far contaminare, come se bastasse accarezzare una rosa per esser rosa a mia volta.
Ho abbandonato l'idea di tessere una vera amicizia qui dove abito ora. Sento le mie amiche storiche, loro si, fisicamente lontane ma vicine. Vedo ogni tanto l'unica amica che ho qui ma con cui non riesco a trovare l'affinità che vorrei e se un tempo mi sarei sforzata per trovarla, quell'affinità, ora preferisco lasciare che le cose vadano semplicemente come devono andare. L'amicizia è anche una fortuna, un po' come l'amore. Ed è una fortuna da innaffiare generosamente quando si pensa che possa valerne la pena. E beh, ora come ora, sento che non ne vale la pena, che non esiste un altro essere umano come me in questa parte di pianeta. Tuttavia ci penso solo il minimo sindacale, come uno di quei pensieri periferici che ti ritrovi davanti ogni tanto e a cui avevi smesso di dare importanza.
Perché la verità è che non trovo alcun senso nel concentrarsi su ciò che non si ha quando si può porre l'attenzione su ciò che, invece, si possiede.

venerdì 10 gennaio 2020

Sull'Asfalto

Fonte: poesiaurbana


Ho visto un uomo fingere di non conoscere la fidanzata che era appena stata investita da un autobus. E non so se è stato più terrificante vedere lei per terra, nel buio della sera, con tutta quella gente attorno o lui che passeggiava nervoso senza neppure avvicinarsi.

:"Sara sei molto bella".
:"Grazie, anche tu lo sei."
:"Sono depressa, ho litigato col mio fidanzato. Un anno fa rimasi anche incinta ma non c'è fiducia, sto tanto male".
:"...."
:"Sto invecchiando, ho 32 anni."
:"Io ne ho 34 Giulia. Non siamo vecchie. Una donna a quest'età è nel pieno della sua bellezza. Se stai male con lui vattene, puoi avere chi vuoi, puoi anche stare da sola."
:"Gli uomini sono tutti uguali".
:"No, non sono tutti uguali, te lo assicuro."

Giulia è a terra, sull'asfalto nero.
I passeggeri dell'autobus sono scesi e si accalcano intorno al suo corpo. Qualcuno urla, qualcun altro è al cellulare. Fred è in negozio che chiama il 112. Io la guardo, non si muove. E' la stessa donna che poco prima mi toccava le mani e mi metteva in soggezione ma adesso sembra solo un corpo informe.
Il cuore mi schizza in gola, sento un tremore percuotermi tutta, sento freddo e caldo insieme. Il suo ragazzo mi raggiunge, mi dice che è pazza, che fa sempre così, che si ubriaca e dice in giro che ha litigato con lui. Io gli dico di correre da lei, di guardare come sta. 
Ma non lo fa in quel momento né in quelli successivi. 
Giulia rinviene, parla, ripete che ha litigato con il fidanzato, che è depressa.
Arriva l'ambulanza e dopo un tempo che mi sembra infinito la porta via. Arrivano altre ambulanze. La via si riempie di gente, di carabinieri, di paramedici. E' il delirio.

Giulia gli uomini non sono tutti uguali. 
Non sono tutti come colui che ti ha abbandonata sulla strada, ferita, sbronza, incazzata e più vulnerabile che mai. Lo stesso uomo con cui avrai litigato, certo. Ma con cui avrai anche fatto l'amore, gli avrai preparato da mangiare, rifatto il letto, stirato le camicie. E se anche tu fossi stata la peggiore delle donne, lui, almeno in quel momento, avrebbe dovuto essere con te. Perché non esiste ragione valida per lasciare una donna che un tempo si credeva di amare per terra come un vecchio straccio, sotto gli occhi estranei di gente che se ne è preoccupata più di quanto ha fatto lui. Quando starai meglio, perché certamente starai meglio, vattene da casa sua e non tornarci più.

lunedì 6 gennaio 2020

I Pezzi Addosso

Fonte: borgando. it


Il centro storico era semideserto, si avvertiva solo il vibrante ticchettio dei miei stivaletti sui sampietrini. Una donna ci ha gridato buon anno fermandosi un po' con noi. Un anziano signore ci ha salutati con un sorriso. Mi son detta che dovrebbe essere sempre così, salutarsi tra sconosciuti, tra persone che non si rivedranno mai. Sentirsi parte di un solo universo, cittadini dello stesso mondo, privi di barriere o di convenzioni sociali. Davvero bisogna conoscersi per esser cortesi? quand'è che siamo diventati così chiusi, così ottusi, così incredibilmente barricati in noi stessi?

Mi sono fermata a fissare gli studi d'arte. Dipinti di nudo, di paesaggi, nature morte. Un'intera via dedicata alla pittura, dove artisti sconosciuti possono ammirarsi l'un l'altro e farsi ammirare dai passanti, colorare Corso Garibaldi con la loro presenza, con i loro pezzi di mondo racchiusi dentro tele immense o piccolissime. Tripudi di colore, di vita, frastuoni silenziosi, musiche evanescenti.
I negozi erano tutti chiusi e in quella fissità, quasi in quella stanchezza di vie troppo simili l'una all'altra, c'era un silenzio assordante, quasi fosse una città fantasma, un luogo da cui tutti erano fuggiti per ritrovarsi da basso, sul lungomare. 
E la vita era tutta lì. Lì c'era il sole, c'era l'acqua azzurroverde di una mattinata incredibilmente serena. C'erano i cavalli sulla sabbia, i ciottoli colorati, le verande aperte, i chioschi abbattuti che verranno ricostruiti a maggio. 

Abbiamo camminato tanto, abbiamo camminato a lungo. Salite, discese, quindi pianure, poi asfalto, dunque i sassi e la sabbia. Con gli occhiali da sole calati lungo la faccia, le sciarpe a coprirci dal vento, le mani intrecciate.
Si pensava al presente e il presente era tutto lì, in quella cittadina che avevo visto innumerevoli volte da bambina e che ora, da adulta, sembrava qualcosa che avessi abbandonato il giorno prima, come se il ricordo ci avesse tenute vicine, cresciute distanti ma in qualche modo ancora parte l'una dell'altra. Una volta ho letto che quando veniamo a contatto con qualcosa - o con qualcuno - e poi da questo qualcosa - o qualcuno - ci separiamo, pezzi di esso ci restano incollati addosso. E in quel momento mi è sembrato che davvero qualcosa fosse rimasto addosso a quel luogo, di me bambina, e che qualcosa fosse rimasto di quel luogo addosso a me.