martedì 31 dicembre 2019

Crow Pose



Sola nella stanza sono sul mio tappetino. 
Ho già fatto il saluto al sole e ritrovato un po' di concentrazione. 
Appoggio il cuscino, mi metto in Malasana per aprire le articolazioni. Poi alzo le gambe, distendo le mani a terra. Il pensiero di fallire per la centesima volta non mi sfiora neppure.
Ora sono in Chaturanga, fletto le ginocchia e le appoggio all'interno delle braccia. Il mio sguardo è sul cuscino a terra, non mi preoccupo di dove siano i piedi. 
E come per magia questi si alzano. 
Entrambi, per la prima volta. 
Li sento sollevarsi. Di poco ma sono su. 
Sento una gioia incontenibile arrivarmi agli occhi, cadere in gocce calde che forse sono lacrime oppure è sollievo. Odo un grido uscirmi dalla gola, esplodere in un "ce l'ho fatta". 
E provo ancora, provo di nuovo, lo faccio dieci-venti volte. Riuscendo sempre. 
Era il mio obiettivo. Era lì che mi guardava da mesi. Le cadute, i lividi, le braccia peste, le ginocchia bluastre. Ho finalmente costruito la posizione. Il terrore di cadere, che secondo la mia insegnante mi impediva di far sollevare i piedi sulle braccia, sta finalmente scemando.
Ci vorrà tempo per giungere alla perfezione perché una posizione complicata si raggiunge in mesi di prove, a volte in anni. Ma questo passo, il più importante, è stato compiuto.
Volevo finire l'anno facendo il Corvo ed ho fatto il Corvo. 

E lo so che avrei potuto o dovuto scrivere un post di bilancio, perché è così che si fa.
Ma non esiste bilancio che non mi faccia pensare al fatto che i limiti esistano soprattutto per essere superati. E che la nostra volontà, per quanto piccolo o grande sia un obiettivo, sia il motore per vincere ciascuna sfida. 

Sono stata male per mesi, ho seriamente pensato di non poter più tornare la stessa di sempre.
Però stamattina su quel tappetino non ero la me di marzo, aprile, maggio o giugno. Ero una nuova me. Una me più forte.
E allora che importanza può avere ripercorrere ciascun evento di questo 2019 se quello che realmente mi interessa è vivere il presente e preparare un nuovo anno all'insegna di ciò che mi ha fatto stare bene in quello vecchio? Questo è l'anno in cui una nuova passione si è affacciata alla mia porta e anziché sprangargliela per timore gliel'ho spalancata con convinzione. L'ho accolta, l'ho fatta crescere dentro di me, l'ho sentita mia anche se da me era sempre stata lontanissima, anche se non mi era mai appartenuta.
Ho 34 anni, potrei essere una donna centomila volte migliore di quello che sono, però tutto sommato mi piace quello che sento e quello che vedo. Mi piace quello che scopro di me, mi piace sentire che il percorso non finisce mai e che c'è sempre una zona inesplorata di cui meravigliarsi.

Dunque il mio augurio per voi che mi leggete è quello di scoprire un pezzo di voi stessi che forse c'è sempre stato ma che vi stupisca all'improvviso. Che vi faccia sorridere, vi faccia sentire vivi, che impegni le vostre giornate in modo pieno. 
Ma soprattutto vi auguro di essere felici, di cogliere i frutti migliori che la vita abbia da offrirvi e che questi vi nutrano e vi soddisfino nel profondo.
Buon 2020, con tutto il cuore.

sabato 28 dicembre 2019

La Cassetta di Mandarini


Fonte: milanotoday
Mio padre sulla scala raccoglieva i mandarini maturi e li disponeva in un piccolo secchio bianco. 
Io da basso osservavo che la scala non oscillasse ma un po' mi distraevo dietro il gatto, un po' guardavo l'orizzonte verde azzurro, un po' avvertivo l'aria fresca giungere sulle caviglie nude. 
Il sole ci catturava entrambi e l'aria profumava di quegli stessi agrumi che pazientemente stava raccogliendo. 
Quando il piccolo secchio si riempiva me lo porgeva e io andavo a svuotarlo dentro una cassetta di legno. Disponevo in fila i piccoli frutti arancioni preoccupandomi che fossero perfettamente allineati. In quel momento di assoluta complicità non esisteva altro che quel disporre mandarini nella cassetta, col gatto dello stesso colore che mi osservava attento, quasi volesse capire per che razza di gioco io mi stessi concentrando tanto.
E una volta finito quel lavoro osservare quelle file perfette e sorridere di tanta allegra bellezza, di quell'odore che mi era rimasto sulle mani, di quel fuoco arancio che mi si era adagiato negli occhi.

C'è sempre qualcosa in più in questi gesti semplici.
C'è amore, mi son detta.
Per mio padre lì accanto a cui avevo proposto il mio aiuto.
Per quei mandarini sotto le mani.
Per gli zii a cui sarebbero arrivati.
Amore per quella brezza fredda del mattino, per quelle piante rigogliose a delimitare confini rossastri, per il brecciolino sotto i piedi, per quel sole che pur senza scaldare ci teneva allegra compagnia. 

Questo amore mi apparterrà sempre, anche quando le cose cambieranno. Anche quando non avrò più la possibilità di sentirlo scaldarmi, come ora. 
Amore per ogni singolo componente di questo piccolo ecosistema fatto di tempi morti che in realtà sono vivissimi, di una natura che sembra trasformarsi un po' ogni giorno, delle creature che abitano questo luogo insieme a noi.
Mi sento fortunata perché pur nella mia distrazione sono in grado di percepirlo, di viverlo nella sua pienezza. Ne sono parte essenziale e in questo deserto di sensazioni, in questa incessante ricerca di emozioni complesse, in questo costante voler vivere sotto i riflettori, mi sento ancora capace di avvertire amore laddove sia davvero, nella semplicità di momenti apparentemente privi di alcun significato. 

martedì 24 dicembre 2019

Buon Natale!

Fonte: ilcapoluogo. it


E' la Vigilia di Natale.
Ma è anche l'ultimo giorno di lavoro prima di una doverosa pausa.
Doverosa perché siamo arrivati al limite. Di stress, di stanchezza, di impegni che si accavallano fino a rendere la pila dei doveri sempre più alta.
E allora ci si ferma, si ricaricano le pile. Ci si fa coccolare un po'.

E' una giornata splendida di sole, che mi vien voglia di mettere i tacchi e calpestare spensierata le vie del centro a cercar conoscenti cui fare gli auguri. Radiosa.
Invece sono in negozio, i conoscenti sono tutti qui dentro, sto distribuendo sorrisi come se fossero caramelle, altrettanto felice perché tra due ore se tutto andrà come deve andare, sarò fuori di qui. Libera per un po'. Libera di abbracciare chi voglio, di mangiare cioccolato, di annusare un po' di quell'aria familiare che in fondo merito come chiunque altro.

E allora auguri amici, a ciascuno di voi.
A voi che leggete i miei pensieri scossi, che riflettete insieme a me, che mi regalate il vostro tempo a piene mani.
Che sia un Natale sereno, gioioso, allegro. Un abbraccio.

domenica 15 dicembre 2019

Fotografie

Fonte: the-hurry. com


Poi un giorno ho iniziato a scattare fotografie.
Immortalare attimi.
Albe, tramonti, onde, vicoli, strade, persone, colori.
E col passare del tempo, senza che me accorgessi, ho cominciato a vedere le cose confinate da bordi trasparenti che le rendessero senza tempo, che gli attribuissero importanza.
E' come se improvvisamente io avessi iniziato a vedere ciò che prima guardavo soltanto. Quei tramonti, quelle albe, quelle onde, quei vicoli e quelle persone erano già lì ma gli camminavo accanto senza struggimento. Senza osservarli con occhio critico. Come quando si è in treno e si vedono passare paesaggi bellissimi che scorrono troppo in fretta per essere ammirati. 
Ora riesco a trovare un pizzico di poesia in tutti quei dettagli sui quali avevo sempre sorvolato, incurante.

La fotografia è il presente che diventa memoria, ricordo, un pezzo di vita tramandato nel futuro. 
Magari non sai scrivere, non sai dipingere, non sai guardare un film per intero senza annoiarti terribilmente, non hai voglia di cucinare nulla che ti impegni per troppo tempo. 
Però sai catturare quell'istante, sai renderlo tuo, sai giocare con la luce affinché ti regali un'emozione. E' questione di secondi, di istanti, di sensazioni sottopelle che ti offrono il desiderio di imprigionare quel momento. Sento che lo voglio, che dev'essere mio, che non posso lasciarmelo sfuggire. 
Improvvisamente quello scatto diventa essenziale. Le dita mi formicolano e non posso fare a meno di preparare l'inquadratura e sperare che l'immagine sia esattamente quella che il mio occhio percepisce. Con quell'intensità di colori, con quella vividezza, con quel pathos che vi avevo originariamente percepito.

E' come una meditazione, spiritualità spicciola, una manifestazione dell'ego. Comunicazione visiva ed emozionale. C'è sempre tanto di me nelle fotografie che scatto. C'è sempre una particella d'amore o d'ansia o di stress o di tristezza o di meraviglia ed incanto. Tante piccole istantanee che vanno a definire un puzzle di pezzi discordanti chiamati vita.

sabato 14 dicembre 2019

Bombe ad Orologeria

Fonte: PitturiAmo

Sembrava un ragazzo solitario, appena maggiorenne, sicuramente introverso.
A volte entrando non salutava e teneva costantemente lo sguardo basso.
Prendeva un caffè da portare via e a volte un pacchetto di sigarette per il padre.
Sembrava solo un po' timido, forse poco socievole, un poco strano a dirla tutta ma dall'apparenza mite.

E invece poi una mattina come le altre ti svegli e scopri che quel ragazzo, che viveva da settembre a pochi metri dal negozio, durante la notte ha ucciso la nonna acquisita.
Che le ha dato un pugno e poi l'ha strangolata. Per poi mettersi lì accanto ad aspettare il mattino.

Non hai visto i giornalisti di Studio Aperto che hanno intervistato i tuoi clienti.
Non hai visto le volanti dei Carabinieri entrare in villetta dopo l'allerta del padre. 
Ti senti solo stranamente turbata, come se quel tipo di morte che hai osservato tante volte in tv ora ti fosse arrivata troppo vicina da poterla davvero schivare. 

Non puoi fare a meno di pensare a quella donna colpita nel suo letto. Alle mani che le stringono la gola impedendole il respiro.
Immagini il ragazzo scorgerle negli occhi l'ultimo soffio di vita e riconoscere distintamente l'esatto momento in cui di vita non ce n'era più.
Sarà arrivata in quell'istante la consapevolezza? Oppure deve ancora piombargli addosso, deve ancora manifestarsi con tutto il suo carico di disperazione?
Ho come la sensazione che gli esseri umani siano solo un concentrato di emozioni, di equilibri sottilissimi pronti ad entrare in collisione in un momento qualunque e poi scoppiare.
Bombe ad orologeria, molecole disfatte di frustrazioni ed energie represse.

domenica 8 dicembre 2019

3 Grammi

Fonte: lachiavedisophia. com


Ci sono domeniche che scorrono vie leggiadre ed allegre come farfalle.
Ed altre che sono un turbinio di imperativi categorici ai quali non ti puoi sottrarre e che ti fanno arrivare, a fine giornata, quasi con la stessa acqua alla gola degli altri giorni. E allora apprezzi con ancor più trasporto il momento di fare la doccia e di lavare via lo stress, la stanchezza, magari anche il mal di gola.
Ti fai sciogliere insieme all'acqua bollente, chiudi gli occhi e ti lasci cullare. Senti il vapore avvolgerti, la fatica di un'intera settimana che sgorga via nello scarico insieme al sapone.
E quando esci e ti asciughi non ci pensi più. Alle corse, alla discussione, al sonno che di notte si disgregava prima della sveglia privandoti del tuo meritato riposo. 
Vuoi solo sentirti libera. 
A casa tua, tra le tue cose. In mezzo agli odori che conosci, su quel letto soffice che ti sa confortare, materno. Poche ore ma così essenziali, così dannatamente utili da voler succhiare da esse ogni stilla di rilassatezza possano regalarti. 
Non esci a guardare l'accensione dell'albero in piazza. La sola idea di mescolarti nuovamente tra la gente, completamente vestita, ti fa arricciare il naso.
Te ne resti lì, in quel limbo silenzioso, ascoltando solo il ticchettio delle tue dita sui tasti. Guardando solo le lettere che si addensano l'una sull'altra diventando qualcosa laddove prima non c'era nulla.
Pensieri scossi, agitati e venuti fuori. Pensieri volatili, eterei, piccolissimi, che pesano tre grammi appena come l'anima. Inconsistenti, inutili, gocce di nulla che si disperdono in quel già ridondante mondo che è la rete. Che non è mica necessario scrivere tutti di massimi sistemi, di politica, di merce da consumare, di problemi sociali. A volte si è contenti così, tirando fuori solo minuscoli attimi di vita.

domenica 1 dicembre 2019

Sulla Strada

Dopo pranzo ce ne siamo andate a passeggiare.
Mia madre ed io, noi due da sole.
Il sole era uscito improvvisamente dopo una mattinata grigia e fredda. I colori dell'autunno erano esplosi di nuovo, in tutto il loro devastante calore. 
Guardavo dappertutto per non rischiare di dimenticare qualcosa. 
Il rumore delle ghiande che dalle querce piombavano al suolo. Il fruscio degli arbusti accarezzati dal vento. Quell'esplosione di giallo e d'arancio ai bordi della carreggiata. Il ticchettio delle nostre scarpe sul brecciolino.


Era la vecchia strada che mi aveva vista passare infinite volte. Su cui mi ero sbucciata le ginocchia cadendo dalla bicicletta da bambina. Su cui avevo ascoltato o riferito confidenze alla mia migliore amica.
Anche l'asfalto sembrava lo stesso di allora. Crepato ai bordi, incrinato, sbiadito.
La vecchia fontana su cui mi ero seduta tante volte aveva l'immobilità di una tomba stanca. Il muschio sulle pareti, la pietra annerita, una desolante assenza di acqua.
Avrei potuto provare tristezza immergendomi nuovamente in quel quadro stanco e solitario, invece mi sentivo alleggerita. Mi sentivo bene perché quel quadro non m'appartiene più, perché è solo un ricordo sul quale soffermarsi di rado, un libro di fotogrammi passati da sfogliare di tanto in tanto, fatto di cose a cui vuoi ancora bene ma per cui non provi nostalgia.

Carlo si è fermato lungo la strada, vedendoci arrivare. E' sceso di corsa dall'auto, è venuto a salutarmi. Ed è rimasto a parlare per oltre mezz'ora, incessante, un fiume in piena. Inarrestabile. 
E allora te lo immagini di sera, in quella casa in mezzo agli alberi ingialliti dal tempo e dall'autunno, da solo, a guardare una televisione sempre più noiosa e stantia. A preparare pasti caldi da consumare in piedi tra la cucina e il salotto, con i peli irti sulle orecchie, le sopracciglia folte, i capelli che escono dal cappello senza alcuna logica.
E ti risuona quella parola, solitudine, che lui stesso ha pronunciato ancor prima di scendere da quell'automobile. E allora pazienti. Non scalpiti per andar via. Aspetti che abbia finito di raccontare, di buttar fuori un po' di quelle parole che aveva bisogno di pronunciare.
E pensi che la vita talvolta è beffarda. O forse lo è sempre, ma in alcuni casi lo è di più.