giovedì 31 ottobre 2019

Il Velo

Piove.
E' una serata particolarmente scura quella che chiude il mese di ottobre.
Non una sola stella a rischiarare il cielo.
Io me ne sto qui da sola, assorta, certamente stanca, ma cosciente del fatto che almeno domani avrò un po' di pace.
Il silenzio in cui ho racchiuso questa casa viene spezzato solo dallo scroscio della pioggia e dalle urla di qualcuno chissà dove. 

Fonte: i.pinimg. com


Non vedo Emma da molto, di sicuro più di un mese. E fu una pura casualità.
Prima che rinnovassimo il contratto a suo padre me la portavano quasi ogni giorno. Quando questo è stato rinnovato non l'hanno portata più.
Non è una strana coincidenza, hanno saputo farsi i loro calcoli.
Il contratto sarebbe stato rinnovato comunque ma hanno pensato che un piccolo incentivo avrebbe aiutato la causa. Oliare gli ingranaggi, non si dice così?
La verità è che forse non ci si dovrebbe affezionare mai in modo tanto violento.
Ci si approfitta di una debolezza solo quando c'è: non sarebbe accaduto se fosse stata assente. Se io avessi trattato Emma come una bambina qualunque, se non me ne fossi innamorata, se non mi fossero brillati gli occhi tenendola tra le braccia. 
Se non fossi stata creta tra le sue mani ora non mi sentirei come mi sento. Usata, calpestata nei miei sentimenti. Anche un po' vuota perché è così che ci si sente quando si perde qualcuno che si è amato troppo, più di quanto fosse sensato fare.
Si passa una vita a tenere a distanza le persone, a non consentire loro di avvicinarsi troppo.
Poi un bel giorno una bambina con gli occhi blu che non ti appartiene squarcia il velo e si insinua in quella tenerezza, in quell'angolo di dolcezza che avevi tenuto in serbo per gli esseri umani davvero speciali. Se ne impossessa, lo tiene tra le mani. E quando se ne va te lo lascia gualcito, un pezzo di stoffa che ha perduto di valore.

E fu così che mi sgretolarono il cuore.
Silenziosamente.
Fingendo che nulla stesse accadendo.
Ma la cosa peggiore è che io stessa ho contribuito a questa frantumazione.
Perché in quei mesi io sapevo. Ero cosciente di quello che stavano facendo. Cosciente delle trame di una famiglia intera. Il mio istinto aveva captato quelle vibrazioni e mi aveva avvertito. Ma ero così tremendamente felice di quel contatto che ho lasciato da parte tutto il resto. Ho scrollato le spalle ed ho permesso a quel veloce affezionarsi di non lasciarmi scampo.
Ho pensato che ne valesse la pena. Che un'ora, un giorno, una settimana o qualche mese di quell'affetto sarebbe valso il dispiacere che ne sarebbe scaturito dopo.

Non è successo niente, sono ancora tutta intera.
E' solo un'altra ferita che un giorno diverrà una cicatrice in mezzo ad altre cicatrici e come esperienza insegna potrò passarci le mani senza più provare lo stesso tipo di dolore, senza sporcarmi le dita di sangue, senza trasalire.


domenica 27 ottobre 2019

I Giorni Come Questo

Fonte: amoyoga. it


Mi piacciono i giorni come questo.
Quelli in cui io e te siamo da soli.
E sorridenti.
E rilassati.
E non pensiamo al lavoro.
Non pensiamo a niente, probabilmente.
E facciamo ogni cosa senza correre.
Poi ci gustiamo il sole.
E le cose buone da mangiare.
E guardiamo gli animali in fattoria.
E ridiamo delle mie sciocchezze o della tua faccia.
E io mi perdo nei tuoi occhi verdi.
Che tu dici essere marroni.
E non ti fidi mai.
E poi guardiamo anche il mare.
E stiamo stretti ed abbracciati.
E non ci manca niente.
Proprio niente.

giovedì 24 ottobre 2019

2011

Fonte: i. pinimg. com


Scrivo su questo blog dal 2011.
2011. Me ne sono accorta per caso guardando giù, verso l'archivio.
Ho strabuzzato gli occhi, incerta.
Dove è andato a cacciarsi tutto quel tempo?
Che persona ero, otto anni fa?
Ma la verità è che non ho alcuna voglia di scoprirlo, di rileggermi, di ri-vedermi.
Non mi piace volgere lo sguardo, osservare la strada percorsa, indulgere in malinconie e sentimentalismi. Perché a dire il vero sto meglio oggi. Che non è un giorno perfetto, è solo un giorno qualunque.
Che non ho la vita migliore del mondo, è solo una vita come tante altre.
Però il presente, l'attimo, l'istante, il momento, mi interessano più di quello che ho già attraversato. La sola strada che mi interessi è quella che sto calpestando.

Per un attimo ho compreso chi lascia un blog e ne apre un altro, prendendo le distanze dal precedente.
Come se non fosse esistito, come se quelle parole, quel nero su bianco, non servissero più.
Come se chiudere una porta servisse metaforicamente ad aprire un portone.
Come se ci fosse realmente bisogno di un divario, di un capitolo che viene sospinto via in favore di un altro.
Come se il passato ci appartenesse solo fino ad un certo punto, solo fino al momento in cui lo vediamo allontanarsi. Fisicamente, emotivamente.

No, per il momento non desidero chiudere questo blog ed aprirne uno nuovo con un nome differente, che mi rappresenti di più.
I miei vecchi Pensieri Scossi, anche e soprattutto quelli così remoti da sembrar partoriti da un'altra persona, meritano di esistere insieme a tutto il resto. Ci sono maglioni che non metti da anni ma che lasci in fondo all'armadio per pigrizia di buttarli via. 
Io quelle pagine non le aprirò più. Non sono curiosa e soprattutto proverei imbarazzo. Quasi mi sembrerebbe di aver messo in piazza parti di me che ora vorrei aver lasciato, piuttosto, dentro qualche vecchio scatolone in soffitta.
Che poi è quello che sto facendo anche adesso, che faccio continuamente. 
Le mie foto, le didascalie, le poesie che leggo, le canzoni che ascolto. E queste parole.
Tutto ciò mi appartiene, l'ho portato fuori di me quando forse sarebbe stato più saggio lasciarlo dentro.
Eppure è questo che diventa un blog dopo tanti anni in cui lo coltivi: uno spazio insostituibile, una parte della tua esistenza, un pezzo di te a cui non sai e non vuoi rinunciare. Una piccola oasi in cui puoi lasciare frammenti di te stesso che neppur volendo potrebbero costituire l'insieme, ma che tutto sommato decidi di lanciare via come monetine dentro una fontana. 
Io scrivo per separarmene. Ora lo so.
Per mettere via. Che è la stessa cosa di riporre. Custodire cose che non servono più.

martedì 22 ottobre 2019

Ottobre

Fonte: menevojoanna. it


Questo mese di ottobre mi sta piacendo, ha il sapore di maggio.
E lo so che i colori son diversi, che la natura stessa appare al contrario rispetto a cinque mesi fa, però quest'aria mite e questo cielo terso non somigliano all'autunno cupo e grigio che ho sempre temuto e che conosco.
Tutto è ancora così bello, se si trascurano i moscerini e le zanzare, da permettermi ancora di sognare. Di vivere il mare con la profondità che mi piace, di tingermi gli occhi di quell'incanto stupefatto di cui non mi stanco mai.
E allora cammino, m'impregno di quelle sensazioni, mi faccio travolgere, in quegli istanti sola con le mie gambe e con la mia distesa d'acqua ogni equilibrio torna al suo posto.

Appartengono ad una donna di mezza età, ora lo so.
Anche se pure stavolta ne ho intravisto solo i capelli, mi è tornato alla mente un ricordo d'inizio settembre, di lei che si sporgeva dalla balaustra e guardava giù.
I nostri occhi non si sono mai incrociati. Lei persa nelle sue mattine solitarie seduta in balcone, in quei cinque minuti di quiete a consumare un'altra sigaretta. Io concentrata nei miei spazi, entro i quali non faccio entrare alcun essere umano, pur riempendomi di cose e di sensazioni che mi lasciano tutt'altro che disabitata.
Divento una dimora entro la quale volano gabbiani, camminano piccioni, si scalda la sabbia, si rischiara il cielo, corre il mare sulla battigia.
E tutto questo, fondamentalmente, mi basta.
Tiene fuori le scorie, il vociare, il traffico, le folle. 
Tiene fuori tutto e restiamo solo noi. Il mare ed io.

venerdì 18 ottobre 2019

Le Macchie Addosso

Ho lividi ovunque, in ogni ordine di posto.
Sulla schiena, sugli avambracci, sui gomiti, sulle gambe.
Sono diventata come una di quelle ballerine che a furia di allenarsi si dipingono il corpo di macchie bluastre, quasi fiere di averne. 
Io non amo i miei lividi, preferirei che sparissero un attimo dopo la loro comparsa.
Ma nonostante tutto continuo a provare le posizioni yoga che non mi riescono bene al primo colpo. Lo faccio perché mi piace, perché mi fa sentire bene, perché allenarmi mi consente di arrivare a lezione più consapevole delle mie potenzialità.

Fonte: gaia. com


Questa disciplina, a cui mi sono approcciata quasi per caso e per curiosità, mi piace sul serio.
La nostra versione è molto dinamica e non ci si annoia mai. Scopriamo di volta in volta muscoli che neppure sapevamo di avere ed è come se ogni parte del nostro corpo reagisse agli stimoli, venisse coinvolta. 
So che dovrei dare la giusta importanza anche al resto: la respirazione, la spiritualità, la calma, la ricerca della pace interiore. Solo che al momento, per quanto questi argomenti possano suscitare la mia curiosità, mi rendo conto di seguire il corso con una spinta diversa, quella di fare bene alle mie gambe, alle mie braccia, ai miei addominali, a quei disturbi al collo che mi hanno portata fin lì.

E allora a volte, anche mentre sto cucinando o pulendo, stendo improvvisamente una coperta a terra, vi appoggio la schiena, faccio leva sulle gambe e mi alzo in verticale. Premo su quei lividi già presenti, stringo i denti fingendo che non facciano male, e mi sento felice di quella comunione di intenti tra un muscolo e l'altro. 
In quegli istanti penso solo al mio corpo, che è forse la parte di me che ho più trascurato fino a qualche anno fa ma che ormai sento in modo tanto forsennato da non poter proprio fingere che di lui non mi importi.
E' il mio. Non è perfetto, non ho mai preteso che lo fosse, ma posso amarlo di un amore "matto e disperatissimo", che è forse l'unico tipo d'amore che io sia davvero in grado di comprendere.

domenica 6 ottobre 2019

La Zona Vecchia

Fonte: stickersmurali. com



Ho passeggiato da sola per le vie del mio vecchio paese.
La piazza era gremita di gente ed ho visto tante facce sconosciute stiparsi davanti alla Chiesa o presso i tavolini esterni dei bar. Estranei che un tempo non c'erano, come se negli ultimi sei anni ci fosse stato un rinnovamento, come se tanti fossero andati via ed altri fossero venuti ad occupare i posti lasciati vacanti.
Anche il mio posto, dunque. Quello che mi apparteneva e che non vorrei indietro.

Ai piedi indossavo un bel paio di tacchi che ticchettavano ritmicamente sui sampietrini.
C'erano tante voci belle ed allegre intorno, ma io ascoltavo me stessa, quel ticchettio sull'asfalto, quel procedere in fondo incurante di ciò che avveniva al di là del mio corpo.
Un tempo quelle strade le percorrevo più volte al giorno, ma adesso sono solo una turista portata in prestito per qualche ora, una figura qualunque di cui si perde il ricordo non appena se ne va.
Ho raggiunto la zona più antica, laddove le case si attaccano l'una all'altra formando un labirinto in cui solo i conoscitori sembrano poter entrare ed uscire indenni. 
Ho ricordato altri momenti, altre età, altre persone. Li ho visti passarmi davanti, attori inconsistenti di una vita fa. Fantasmi privi di corpo ma ancora grondanti di sangue e di anima.
Ho rivisto Carl, Elena, Monica, Sara, Simona, Daniela. Mi sono rivista bambina e poi adolescente entrare nella vecchia biblioteca ed uscirne carica di libri da leggere a casa. C'era un silenzio che solo l'abbaio dei cani interrompeva, di tanto in tanto, senza scalfire neanche un po' quelle memorie venute a farmi compagnia.

Sono dunque tornata sui miei passi e poco dopo mi sono ricongiunta a Fred.
Abbiamo comprato una torta per i miei genitori e dopo una decina di minuti eravamo con loro.
Ho preso in braccio il gatto, l'ho fatto con la spavalderia di chi non si aspetta un rifiuto. Ma era anche un'urgenza, un bisogno, una necessità.
Doveva starmi addosso, tra le braccia, sentivo di dover ottenere quella tenerezza, quello sguardo furbo di occhietti gialli, quel calore che tanto mi era mancato nei giorni di separazione.
E solo dopo averlo avuto mi sono sentita un po' placata, seppur mai abbastanza, seppur mai per intero. Un pensiero fugace mi ha attraversato la mente per il tempo di un lampo : è per questo che la gente fa figli, per assicurarsi un po' di calore sul cuore. Quella sensazione di affetto che un po' fa piangere, un po' ti sorride, un po' ti riempie pezzi che non sapevi d'aver vuoti. 

mercoledì 2 ottobre 2019

Prigioni di Vetro

Fonte incerta.


Ho chiuso la finestra.
Fuori la pioggia rincorre il vento sbattendo sui vetri. 
Sul filo ci sono un paio di miei abiti. Li vedo oscillare pericolosamente e tenersi a fatica, con una determinazione che un po' gli invidio.
Oggi mi sento allo stesso modo. Schiaffeggiata dal vento ma obbligata a restare in piedi, perché proprio non si può cadere giù alla prima difficoltà.

E allora mi dico che è solo una giornata no.
Che questa pioggia violenta non mi aiuta.
Che andare a lavorare con questo umore peggiorerà le cose molto prima che arrivi sera, ma che non ci sono alternative plausibili oltre indossare un sorriso di circostanza e cercare di tirarsene fuori.

Anche la lezione di yoga è stato un fiasco.
Il primo vero fiasco da quando ho iniziato a praticarlo.
Ed Ester, la mia insegnante, è così recettiva che si è accorta ancora prima che iniziassimo che qualcosa non andava, che ero insofferente.
E dunque, caricata anche del suo sguardo più vigile del solito, ho trascorso quell'ora di esercizi sempre più complicati in modalità spenta, con un'indolenza che non avevo ancora incontrato durante questo percorso. Conscia di aver sprecato un'occasione, quella di liberare un po' di tossine, contraendo la mia mente sul pensiero di quel dolore che si affacciava nuovamente a ridosso di una scapola agguantando il collo.

Indosso di nuovo il cappio.
Che dovrebbe tenermi calda e invece mi fa sentire prigioniera.