mercoledì 28 agosto 2019

Sottofondo

Fonte: imieianimali. it


Sono diversi i suoni in campagna.
Qui è tutto più lento, più attutito, più morbido.
Anche di notte c'è un silenzio irreale che avvolge ogni cosa, l'ammanta come un guanto e predispone al sonno. Poggi la testa sul cuscino e quasi ti sembra di essere lì fuori, distesa sotto un albero secolare o accarezzata dal vento. Nutri la sensazione dell'erba che ti solletica la pelle e vedi farfalle vorticarti intorno, lievi come zefiro di primavera.
Qui di giorno si avverte solo il frinire incessante delle cicale e, quando cala il buio, solo il verso un poco inquietante di civette, gufi ed altri uccelli notturni. 

Un tempo questi suoni erano casa mia. 
Li conoscevo come le mie tasche, erano il sottofondo ovattato di ogni mia giornata. 
E tornare qui, dove ho vissuto per tanti anni, è sempre come rientrare in una stanza nota. Conosci la disposizione dei mobili, gli odori che l'avvolgono. Puoi attraversarla al buio senza farti male, sporgendo solo un poco le braccia. 
Ma questa immobilità, questi rumori tenui che si confondono col silenzio, si finisce col dimenticarli. Ad un certo punto li scordi, persa tra rumori, singulti, viavai di auto, di cantieri e di autoambulanze e di tutte quelle cose che rispondono al nome di civiltà. 
Ma è davvero civile ciò che ci fa diventare parte di una massa insalubre e priva di senno?

Poi un giorno torni, ti ci ritrovi di nuovo dentro e capisci che ne avevi bisogno, che in quel mondo che si ferma c'è uno spirito di contemplazione che hai imparato proprio qui, tra queste colline, che è cresciuto insieme a te, che ti ha fatto da guida, che ti ha regalato un pezzo importante di sé. Ma anche di te. Potevi essere un guscio vuoto e invece hai respirato quest'aria che ti resterà sulle spalle per tutta la vita, come una brezza leggera d'estate o una sciarpa calda d'inverno.
E' un riparo, un rifugio, una protezione, una dimora invisibile agli occhi della gente nella quale puoi nasconderti quando bestie feroci t'inseguono e non sai dove andare. 
Tu sei questo, sei senz'altro questo. E puoi stare lontana, per un po', ma poi devi anche tornare a riprendertelo.  


venerdì 23 agosto 2019

Le Albe Rosse

Fonte: donatasalomoni. it


L'ultima alba a Gaeta mi ha accolta furente.
Nuvole scure si alternavano in cielo e oltre i monti si intravedevano fulmini. 
Sono uscita che era ancora quasi del tutto buio, fin quando un rossore diffuso ha preso possesso del cielo, rincorrendo quelle stesse nuvole, forse cercando di diradarle. 
Senza alcun dubbio affermo che le più belle sensazioni di questi giorni io le ho vissute proprio in quelle due ore. In quei cambiamenti di cielo, in quelle gambe che non ne volevano sapere di fermarsi, in quegli occhi rapiti, stupefatti, ammirati, ma già tristi per l'imminente distacco.
E più che una tristezza era forse una sorta di commozione. La gioia di aver trovato un luogo ospitale, bellissimo, desideroso di offrirmi riflessi, colori e sensazioni di cui avevo certamente bisogno. E quindi il dispiacere di doverlo lasciare.

Di Gaeta mi porterò nel cuore infinite emozioni.
L'umanità di Roberta e Mariella, le donne che si sono prese cure di noi come figli.
La frutta fresca che mi facevano trovare già sbucciata al mattino.
Le risate, le chiacchiere, la vicinanza di mio fratello.
Il centro storico, le viuzze tipiche, l'immensità della montagna spaccata, il nostro incessante girovagare serale alla ricerca di un posto in cui mangiare che non fosse già pieno.
E il relax, la sensazione di essere davvero libera da vincoli e dai problemi o dalle solite responsabilità. 

Ho scattato foto in ogni angolo che mi colpisse, come a voler catturare ricordi di ogni scorcio, di ogni fugace brillio del cielo o del mare, di ogni barchetta messa in acqua ad oscillare. 
E più di tutto ho scattato foto in quelle ore solitarie che ho amato come si amano poche cose nel mondo, le sole che ci arrivino dritte in quel pezzo di noi stessi che incontriamo ogni tanto, curiosi, mai del tutto paghi. 

mercoledì 21 agosto 2019

Gaeta

fonte: milleunadonna. it


19 Agosto, ore 16:15.

Gaeta mi ha accolto diffidente, come sempre mi appaiono distanti e lontanissime tutte le cose nuove che non ho veduto mai.
E allora a poco a poco cerco di ambientarmi, di mettere del mio dove non c'è niente che m'appartenga. Appoggio le mie cose in camera, che è proprio un bel posto. Un'orchidea mi osserva leggiadra dalla scrivania e il volto di John Lennon mi guarda da sopra lo specchio. C'è un buon profumo di agrumi che invade la stanza ed ogni cosa è nuova e ben tenuta, proprio come piace a me.

21 Agosto, ore 9:20.

Sono in spiaggia.
Anche qui mi sveglio prestissimo e raggiungo il lungomare ancor prima che il sole sia sorto. Godo dell'aurora, di quei colori dipinti tra il cielo, l'acqua e le imbarcazioni che oscillano pacate a ridosso del molo.
E quando poi, pigro, si tira su, sporgendosi dai monti come una divinità silenziosa, è lì che mi fermo e mi riempio.
Respiro la quiete. Accarezzo con gli occhi ogni riflesso sul mare e in quegli istanti di vivido incanto mi sento fortunata. Felice.
Non sono più solo una spettatrice: sono parte del tutto, personaggio sullo sfondo di uno spettacolo già ben collaudato.
Solo dopo arriva la gente. I cani, le canne da pesca, gli sportivi. E allora torno ad essere una donna qualsiasi: fino ad un momento prima ero un pezzo di quella natura silenziosa ma poi divento una persona come le altre.
Come le altre, certo, ma non ignara di quello che è appena caduto. Riprendo il mio percorso più piena, infinitamente più colma di qualcosa che non so neanche bene io cosa sia.

Gaeta non mi è più estranea. Ne calpesto le strade da tre giorni, si è fatta presto benvolere. Ci sono scorci che mi resteranno nel cuore, impressi nei miei scatti veloci, in quei fotogrammi che riguardo cosciente di quanto un giorno, tornata nella solita incessante frenesia, potranno mancarmi.
E non è vero che in vacanza si sta sempre bene. Si sta bene solo quando si è in un posto che ti lascia qualcosa, che ti accoglie come uno di famiglia, ti abbraccia e ti tiene con sé.
Ed io lo so che di tutti i momenti qui vissuti mi resteranno soprattutto le albe, sola con i gabbiani e i piccioni, in quella fissità momentanea nella quale mi rifugerò tutte le volte in cui avrò troppa gente intorno.
Quando sarò sommersa, io tornerò lì. In quel tratto di strada deserta, a ridosso del mare, in cui il sole m'è caduto addosso, travolgendomi. 

sabato 17 agosto 2019

Al Tramonto

Foto mia.


Quale fonte di stupore è il cielo.
Quale fonte di incredibili meraviglie è questo nostro mondo quando abbiamo il tempo ed il desiderio di osservarlo, di percepirlo anche al di là delle immagini che i nostri stessi occhi ci propongono dinnanzi.

Stavo cenando, mi sono voltata improvvisamente verso la finestra e vi ho scorto il riflesso di una piccola porzione di cielo. Nuvole rossastre che si rincorrevano come cavalli su una prateria.
Ho lasciato tutto e sono uscita in terrazzo.
E lì, in quel lembo di cielo che mi si stagliava a ridosso, ho visto il fuoco, la passione, la voluttà, la lussuria di un andirivieni di lingue che ne mordevano affamate il mantello. 
Era incanto, era esplosione, era un protrarsi di bellezza e di meraviglia e di cose incredibili che avevo difficoltà a contenere tutte insieme al di là dello sguardo. Come quando vivi emozioni così intense che un po' piangi, un po' ridi, un po' non ti capaciti di quello che ti stia accadendo.

Ho detto a Fred di uscire a guardare.
Ma lui è diverso, a lui questi spettacoli non fanno alcun effetto.
Non gli tolgono il fiato, non lo lasciano prostrato e confuso, non gli fanno vibrare l'anima. 
Mi esce sempre un sospiro rassegnato quando mi accorgo di quanto i suoi occhi siano diversi dai miei. E lo so che per amare qualcuno non c'è bisogno che ci somigli, ma davvero trovo complicato comprendere come si possa avere di fronte il mare e non innamorarsene. Poi guardare lo spettacolo di un tramonto ancor più suggestivo degli altri ed alzare le spalle.
A che punto della sua vita ha smesso di meravigliarsi come un bambino?
Quand'è che è diventato così adulto e disincantato?

Forse lo stupore non è per tutti. Forse è solo appannaggio di pochi.
Quello sbigottimento atterrito, quella vibrazione dell'anima, quello sguardo profondo ed intenso sulle cose. Chi può stabilire quale sia l'atteggiamento giusto, quello sensato, assennato, naturale?
Eppure a volte mi piacerebbe prenderlo per mano e sentire che lui comprende. Che di fronte ad un tale spettacolo lui sappia percepire le medesime sensazioni. 
Vorrei vedergli tremare gli occhi di meraviglia. Anche solo una volta, vederlo provare ciò che provo io. 

domenica 11 agosto 2019

Così Piccola, #4



Appena un paio di mesi fa scrivevo che l'Amore ci cade addosso senza poterlo prevedere, figuriamoci circoscrivere, analizzare, comprendere in ogni sua sfumatura.
Amore è quel sentimento che non descrivi, che forse neanche comprendi appieno, ma che un giorno ti blocca il respiro decidendo di cambiarti. 
E lo fa, innegabilmente. Magari eri un po' cinico, disinvolto, disinibito, ingrigito, spento. O anche solo una versione meno colorata di te stesso. Poi ti ritrovi a sorridere all'improvviso, sulla metropolitana o poco prima di addormentarti, in quel momento in cui un pensiero ti raggiunge e ti riempie. 
Forse sono farfalle svolazzanti. Oppure solo emozioni che si librano a livello dello stomaco. Leggere, eteree, inconsistenti. Ma così presenti ed invadenti che non puoi metterle da nessun'altra parte rispetto al luogo che loro stesse hanno scelto di abitare.

E così quando Emma è piombata nella mia vita, senza che avessi preso le giuste contromisure, insieme a lei m'ha raggiunto anche un sentimento così pieno e maturo e completo che a raccontarlo non ci credereste. Io stessa faccio fatica.
Solo che poi, ad un certo punto, mentre Emma cresceva e insieme a lei anche questo Amore purissimo, ho smesso di cercare una spiegazione.
Ho ascoltato le fantasiose interpretazioni altrui, gente che sa tutto e che sa assegnare un'etichetta ad ogni cosa. Gente che ti dice esattamente in che scatole dovresti metterle, quelle emozioni, che senso attribuire loro.
Solo che a me questa organizzazione certosina, quasi militaresca, non interessa.
Mi piace provare questo Amore indipendentemente dalle loro regole di vita. Mi piace pensare di poterle volere bene senza un perché, che se gliene appiccicassi uno, allora tutto perderebbe di magia.
E a 34 anni io non sono ancora disposta a perderla, la magia. 

Ieri Emma ha compiuto un anno.
Alcune persone che dovrebbero essere nella sua vita hanno deciso di non esserci. Ieri e sempre, quelle persone hanno scelto di escluderla.
Io invece ero lì. In piedi sui tacchi dopo altre ore in piedi a lavoro. Stanca, un po' spossata, ma felice e presente. Conscia dei cambiamenti che questa bambina ha apportato in me, senza accorgersene, senza volerlo, ma riuscendoci.
E quando è tra le mie braccia, quando il mondo diventa solo un contorno e le voci altrui si allontanano per poi scomparire, io so perfettamente che non ho bisogno di mettere noi due in una scatola tra altre scatole. Non ho bisogno di appiccicare una bella etichetta sul fronte che mi ricordi come quando e perché questo sentimento si è sviluppato. 
So che Emma è un Amore inatteso che avrei potuto non cogliere, ma che ho scelto di vivere come piace a me. Senza pensare a domani.

sabato 10 agosto 2019

Occhi Spiritati



E' entrato in negozio come una furia, senza maglietta. Indossava soltanto un paio di pantaloncini un po' calati. Lei gli stava dietro tremolante, arrabbiata, sfatta come una pasta scotta. 
Gli abbiamo detto di vestirsi se voleva restare dentro. E' uscito maledicendoci, prendendosela anche con lei, che l'ha calmato un po' e gli ha fatto indossare una maglietta. Due minuti dopo erano di nuovo in negozio.
Lei è venuta in cassa con i suoi occhioni azzurri tristi ed un carico di sentimenti spiacevoli che ho sfiorato appena, standole così vicina. Solo in quel momento ho compreso perché non l'avevo mai vista sorridere. 
A volte pensiamo che un volto appeso sia questione di carattere, quando invece è il risultato di giornate amarissime, di nottate prive di sonno, di sostanze che circolano sottopelle ad infestare un'anima. Di un'esistenza che diviene ora dopo ora sempre un poco più buia.

Hanno consumato l'aperitivo fuori ma ogni tanto rientravano. Lui non era tranquillo, neanche un po'.
Si dimenava come un elfo impazzito, sudava, imprecava, si arrabbiava con lei e con sua madre, che non era presente ma alla quale ha sparato invettive per tutto il tempo.
Ero nervosa, avrei voluto mandarlo via. 
Non ce lo volevo quel diciannovenne drogato che mi bussava continuamente sul vetro come se fossi un animale allo zoo per chiedere altre patatine. 

E' arrivata altra gente, si è unita a loro. Lui gridava spesso, in un paio di occasioni è andato via con la macchina, sgommando. Purtroppo tornava anche. 
Lei era sempre più tesa, ha preso la sua valigia per andarsene ma poi è tornata di nuovo. Non era passato neanche un minuto.
La sua resa non durava mai più di pochi istanti, come se di lui non potesse realmente liberarsi, come se le sue alzate di testa non potessero davvero portare ad una separazione di qualche tipo.
Come se dovesse restargli accanto nonostante le stesse bruciando la voglia di vivere. Come se non le avesse già tolto la spensieratezza dei vent'anni.
Si arrabbiava ed urlava, ma poi tornava da lui, incapace di allontanarsene. 

E' finita con un calice di vetro spaccato in terra, una ragazzetta in lacrime, lui che è andato via dicendo che quella madre a cui a quanto pare doveva dei soldi l'avrebbe ammazzata. La ragazza col volto assente, dispiaciuta, arrabbiata, distrutta. 
Ancora un minuto e avremmo chiamato i Carabinieri.
Gli altri ci hanno chiesto scusa, ma c'era poco da scusarsi, ormai. 

Durante il giorno ho ripensato spesso a lei. 
Perché a vent'anni ci si lega ad un tizio aggressivo e strafatto?
Perché si sta vicino a qualcuno di così palesemente sbagliato?
Come si può creare un legame così contaminato, sporcato, alla deriva?
Ho pensato che in casa abbia vissuto le stesse tragedie e che l'unica forma d'amore che conosca sia quella. Le urla, gli scatti d'ira, la violenza non troppo ben repressa, il rancore. 
E la droga, soprattutto la droga. 
Ci sono famiglie di sbandati ovunque. Famiglie in cui ci si tirano i piatti dalla mattina alla sera, in cui non è possibile comunicare civilmente, in cui la prima preoccupazione è quella di procurarsi il denaro per farsi ancora. In una spirale di vuoto che uccide lentamente, e che nel frattempo dissocia dalla realtà.

Ho avuto paura, perché negarlo?
Mi piacerebbe non dover mai toccare con mano le brutture del mondo, la sua sporcizia. 
Mi spaventa la violenza, sia quella verbale che quella fisica.
Mi spaventano queste mine vaganti che non sai mai se possano avere in tasca un coltello o se possano decidere di farti male perché così gli dice la testa. 

Quando abbiamo chiuso il negozio sono passati in auto lì davanti. Ancora insieme. Lei con gli stessi fanali azzurri assenti, lui con gli stessi occhi spiritati. 

mercoledì 7 agosto 2019

Calma e Sangue Freddo

Fonte: depositphotos. com


Di scrivere sono poco in vena. 
E quando non sono in vena sarebbe bene che non scrivessi affatto. 
E' la stanchezza, ormai giunta ad un livello molto più che disturbante. La sento in ogni parte di me, quasi che prenda origine dagli organi e poi si diffonda ovunque insieme al sangue. La sento sulle gambe, sul cuore, tra le scapole. La sento galleggiare tra i miei liquidi, nuotatrice instancabile che sa esattamente dove dirigersi e con quale velocità.

Ho bisogno di andare in ferie. Bisogno di staccare la spina, dormire, provare un po' di sano e riposante relax. Smettere di avere orari, scadenze, responsabilità.
Chiudere le porte a questi doveri asfissianti che premono da ogni parte e poi scalciano, gridano, si dimenano come diavoli tra le fiamme dell'inferno.

Sono uscita presto anche stamattina. Avevo ormai puntato la sveglia e dopo attimi di titubanza ho preso coraggio e mi sono alzata. Qualcosa non andava, me ne sono accorta subito.
Avevo sonno e per la strada mi sentivo come uno di quegli inservibili oggetti di design che guardi e non capisci.
Avevo il sole dietro le spalle, una palla rossastra che a poco a poco s'alzava dal suo giaciglio, molto più forte e vigorosa di quanto mi sentissi io. Ogni tanto mi giravo a guardarla, quella palla di fuoco, perché puoi essere stanco quanto vuoi ma un nuovo giorno che inizia merita sempre la massima considerazione.
Tra i passanti destavo la solita curiosità alla quale sono ormai abituata ma non mi sentivo del tutto presente, come se il mio corpo e la mia mente avessero ufficialmente preso congedo l'uno dall'altra. Erano solo due pezzi attaccati sulla stessa persona. Due pezzi incapaci di comunicare, di ascoltarsi, di interagire davvero.
Le gambe erano stanche e tremolanti. Sembravano le gambe di un'estranea.
E la mente era circondata da una nebbia, non potevo guardarvi attraverso neppure dotata di lenti speciali.

Allora dopo aver solcato la spiaggia con quell'andatura che non m'apparteneva mi sono seduta su una panchina e il mare l'ho guardato da lì. Era bello come sempre, anzi forse più degli altri giorni. Si faceva accarezzare con gli occhi, benediceva gli astanti col suo rumore di flutti, arrivava alle narici in una brezza leggera capace di quietare.
Dunque poi sono andata via, il mare m'aveva calmata un'altra volta. Non c'era bisogno che mi sforzassi ancora se non me la sentivo, m'aveva fatto capire che il meglio, la sua presenza, l'avevo già ottenuto.
Sono tornata a casa, ho fatto una doccia con gli occhi semichiusi, poi mi sono buttata nuda sul letto e ho chiuso gli occhi per un'ora e mezza. Non sono state sufficienti ma meglio che niente.