venerdì 28 giugno 2019

Frammenti

Fonte: ilgiardinodicasa. blogspot. com


Mi alzo prestissimo e fa già molto caldo. 
Mi vesto più in fretta che posso, faccio colazione ed esco.
Non tira un filo di vento.
"Non tira un filo di vento, non sento manco l'aria in faccia mentre cado giù".*
Ma no, questo è il testo di una canzone e non devo distrarmi.
Accendo la musica, guardo che le scarpe siano allacciate nel modo giusto.
"Alzo la musica al massimo, che non la musica al massimo rimango solo".**
E sono sulla strada. 
Non c'è un'anima in giro in tutto il quartiere, inizio ad incontrare qualcuno solo quando arrivo alla fine del cunicolo di viuzze. La strada qui è più ampia, vedo gente ancora un po' addormentata che sale in auto e va a lavoro. Passa il camion della nettezza urbana, sento il rumore del vetro che si infrange pesantemente nel contenitore. Vetro che cade ansimando su altri pezzi di vetro già distrutti. Schegge impazzite come armi silenti o bombe disinnescate. 
"Siamo frammenti di vetro in mezzo ai diamanti".***

Dunque mi torna in mente quella discussione, quando ci si chiedeva perché al giorno d'oggi le relazioni non vengano più ricucite ma si uccida tutto senza tentare mai di farle durare.
Ripenso alla mia risposta, al fatto che ormai viviamo nell'era del buttare e non in quella dell'aggiustare. 
Quando ero bambina nel mio paese c'era un uomo che metteva apposto i televisori, mentre adesso se non funzionano nel modo giusto li si butta e se ne compra uno nuovo. Più bello, più grande, più moderno. Quello vecchio viene dimenticato senza neanche provare a pensare quale sia l'ingranaggio che ha smesso di girare. Senza cerimonie di commiato andrà a colmare una catasta già piena di televisori e altre cose che abbiamo gettato via. Bambole, aspirapolveri, jeans strappati, magliette sporche, cucce di cani troppo cresciuti, carrozzine di bambini diventati grandi. 
Non ci sono più botteghe come quelle di Pasqualino. Non ci sono più televisori in attesa di essere riparati. Ricordo che ci voleva una settimana di sospensione, anche dieci giorni. Perché Pasqualino era uno solo e i televisori rotti erano tanti. E allora insieme all'arte dell'aggiustare si imparava anche quella della pazienza, delle cose che non si possono avere subito, del far passare il tempo senza gridare.
Erano tanti, dicevo. Stipati sulle mensole, vicini l'uno all'altro sugli scaffali. 
Accendeva la radio e si metteva lì a lavorare. Me lo ricordo ancora come se fosse ieri, come se fosse passato un solo giorno dall'ultima volta in cui sono entrata in quel piccolo negozio con due scalini ed il pavimento bianco puntinato di grigio che sembrava granito.
Non era un uomo che vivesse di fretta, lui. A volte non lo trovavi perché era andato a prendersi il caffè al bar e se gli chiedevi una tempistica alzava le spalle come a dire "chissà, può volerci tanto, anche poco. Bisogna aspettare." Era il papà di una mia amica, morto troppo giovane, giusto in tempo per non assistere all'era in cui gli elettrodomestici sono finiti a riempire discariche e non negozi come il suo. 
"E t'ho portato pure a cena fuori con i tuoi. Ma tanto tutto finisce prima o poi." ****

Fonte: Visit Tuscany

* Anastasio
** Daniele Silvestri
*** Mr Rain
**** Carl Brave x Franco 126.

domenica 23 giugno 2019

Tremolio



Guardo il cielo, mancano meno di un paio di ore al tramonto.
E' di un ipnotico azzurro chiaro, striato di nuvole bianche e di scie d'aeroplani che sfidano il chiarore dell'ultimo sole. Uno stormo di uccelli ne punteggia di nero una porzione ma bastano pochi attimi ed è sparito già, volato via oltre l'orizzonte visibile.

Ripenso alla giornata di oggi ed un sorriso quieto mi dipinge le labbra.
Dopo tanto tempo sono tornata a casa mia. Che tecnicamente non è più mia da sei anni, ma che emotivamente lo resterà per sempre. 
Ho temuto il viaggio, gli smottamenti, le apnee. Però ad esclusione di pochi momenti è andato tutto per il verso giusto.

Sono stata accolta dal giardino rigoglioso di mia madre. Dai suoi fiori splendidi, colorati, così pieni di vita da chiedersi cosa dica loro per farli venir su così. 
E poi dal suo sorriso, che solo in parte nascondeva l'apprensione, la gioia di vederci tutti di nuovo lì, il desiderio di concentrare in quella manciata di ore tutta la nostalgia che ha sempre di me. Poco prima che me ne andassi ha pronunciato una frase che mi ha profondamente intenerito e che a ripensarci ora un po' mi commuove. La sento entrare ed uscire dal cuore, come un ago impegnato a cucirlo per intero. Entra in un punto, esce nell'altro, finché non lo ha perforato tutto.
E poi mio padre e le sue battute sghembe. Quindi mio fratello, i cugini, gli zii e la sua consueta confusione al momento del caffè.

Cerco di prendere tutto, di tenerlo stretto in questo pugno fatto di carne bianca, di venule verdi e blu, di trasparenze, di unghie delicate. Lo trattengo spaventata che scappi via, come si farebbe con una farfalla se la si catturasse. 
Gli odori, le sensazioni, le voci, i colori intensi della mia terra, le persiane accostate a tener fuori la calura, le tende d'organza che oscillavano fino al pavimento. 
Trattengo anche la certezza che duri tutto sempre troppo poco.
Continuamente divisa a metà e costretta a sentirmi intera ovunque mi trovi, sebbene manchi sempre un pezzo. 

Il sole scende ancora un po', la luce diventa più fioca e vellutata ma i colori più fulgidi. Lo sfido fintanto che posso e quando distolgo lo sguardo ne sono accecata. 
Strizzo gli occhi, rivedo ogni singolo istante. Fotogrammi di una domenica d'inizio estate così simile a tante altre eppur così densa di nuovi significati. 
Una lacrima percorre solitaria il tragitto che congiunge l'occhio al mento, poi sprofonda e si dilegua. Sento le altre pungere e poi battere in ritirata. 

Sono piena e vuota nello stesso istante ed il pensiero è così destabilizzante da farmi tremare.

giovedì 20 giugno 2019

L'Arena

Solo pochi giorni fa il luogo in cui vivo è tornato alla ribalta per un fatto di cronaca piuttosto cruento.
Un'automobile carbonizzata, un uomo e una donna nell'abitacolo, una via pressoché isolata dove si sarebbe consumato l'omicidio. Non troppo lontano da casa mia, tant'è che la figlia della donna va a scuola nell'edificio in cui io stessa vado a votare.
Non conoscevo queste persone. Magari le avrò viste di sfuggita qualche volta, ignara del fatto che un giorno sarebbero morte in modo tanto atroce. 


Fonte: potereeconomico. com

So che i giornalisti stazionano da quel momento davanti alla Caserma dei Carabinieri. So che sono state fatte interviste ed intere puntate di approfondimento in prima serata.
La gente è morbosa e vuole conoscere ogni particolare ma per sua fortuna c'è sempre qualcuno pronto a soddisfare questa fame. Ho visto uccelli allargare la bocca e aspettare che passasse l'informato di turno per nutrirli a dovere, e poi sazi ed appagati andare via per poter imboccare, a loro volta, qualcun altro. Si riconoscono tra di loro come se facessero parte di una casta o di una setta: marchiati in qualche parte del loro corpo, tatuati in qualche posto bene in vista.
Sono tutti moderni Sherlock Holmes a cui basta aver guardato tre episodi di Quarto Grado per poter distinguere un'efferatezza dall'altra, individuare moventi e sventare alibi, inscenare processi di balcone in balcone, su facebook o nei bar.

Ho volutamente ignorato la vicenda. Le sono passata accanto con indifferenza perché non desideravo entrare in quella corrida dove vince chi ammazza prima il toro e ne sbandiera il sangue e gli occhi vacui per tutta l'arena.
Ho pensato alle due persone nell'automobile e a coloro che li stanno realmente piangendo. Pensato anche a quanto debba essere straniante, per una figlia adolescente, subire un dramma simile  e doverselo portare dentro per ciascun giorno della sua vita. Un fardello cui dedicare dolore in modo costante, senza poterne uscire, senza poterlo dissolvere.
Ci ho pensato e poi mi sono chiusa fuori, come se la vicenda fosse stata una porta da chiudere a doppia mandata così da non poterne sapere niente. Mi infastidisce l'idea di persone che scavano nelle vite altrui in modo tanto indelicato, incivile, privo di rispetto. 

A conti fatti quello che mi resta addosso, di questa triste storia, è la sensazione di aver veduto avvoltoi aggirarsi famelici sui cadaveri. Crogiolarsi in questa brutta faccenda, affondare il dito nel sangue, assaggiarlo, addirittura farselo piacere.
Come stupirsi che un tempo i romani trovassero accattivante lo spettacolo dei gladiatori al Colosseo? La morte esercita un qualche tipo di fascino sulle persone, le fa sentire più vive. E al tempo stesso le abbrutisce e le rende meno umane. Comparse sbiadite di un pessimo teatro di provincia. 

domenica 16 giugno 2019

6 Anni

Foto: quilondra. com

La vita è fatta di tanti istanti, uniti l'uno all'altro senza che vi sia necessariamente un filo conduttore a tenerli insieme. E di questi istanti, alcuni insignificanti, altri cruciali, noi ricordiamo gli elementi più disparati.
Di alcuni momenti, quelli essenziali, si ricordano gli odori, le parole, le sensazioni sulla pelle.
Di quel 15 giugno 2013 ricordo il pranzo con mio fratello, il sole cocente sul balcone, la percezione che tutto stesse per cambiare senza che ne avessi, però, piena coscienza.
Forse è andata così per ognuna delle mie giornate importanti: che io fossi presente a me stessa in modo obliquo, un'anima ed un corpo mai perfettamente allineati.
Il giorno dopo non mi sarei svegliata nello stesso letto di sempre. Non avrei ascoltato le solite grida della mia rumorosa famiglia, non sarei uscita in giardino né avrei mangiato con tutti loro. Ne ero consapevole ma non ci pensavo. Vestivo una dose di adrenalina mascherata da una tacita calma che non m'apparteneva.
Avevo atteso quel momento per giorni, mesi, anni. E finalmente stavo andando via. Fred sarebbe arrivato di lì a poche ore, avremmo caricato la sua automobile nera come un mulo e ci saremmo avviati verso casa nostra.
Ed ora sono qui, sono passati sei anni, e di quel sabato ricordo tanti minuscoli dettagli che forse non lascerò più. Non voglio che sbiadiscano, che perdano d'importanza, che vadano a finire in quel calderone di istanti dimenticabili di cui si può anche fare a meno.

Entrammo in questa casa alle otto di sera. Era vuota, la riempimmo un po' alla rinfusa, poi una doccia veloce ed una cena fuori.
Il giorno dopo ci saremmo svegliati insieme per la prima volta nella nostra casa. 
Quel 15 giugno di sei anni fa il sole sembrava voler bruciare tutto eppure addosso sentivo tutt'altro che quel calore asfissiante. 
Sentivo la mia vita che veniva troncata in un luogo e ricominciava in un altro.
Sentivo legami spezzarsi, abitudini interrompersi, voci allontanarsi. Percepivo nuovi fili da annodare, nuove emozioni da vivere, nuove sconosciute sensazioni che avrebbero fatto di me una donna adulta. Ed ora di questi sei anni sento sulle spalle tutto il percorso fatto, che non è stato privo di ostacoli né di rovinose cadute. Però sono contenta, perché ad oggi ancora sento di stare nel luogo e con l'uomo in cui e con cui volevo essere e forse questo è l'unico dettaglio di cui mi importi. 

venerdì 14 giugno 2019

Nel Vortice



L'inizio dell'estate mi piace sempre moltissimo ma mi fa ogni volta lo stesso effetto, quello di ingarbugliarmi i pensieri, di rendermi ancor più inaccessibile al genere di umano, di non capire mai totalmente quello che sto facendo, dove mi trovo e perché.
Un po' mi trascino lungo le giornate scandendo i momenti attraverso quello che devo fare, sentendoli solo parzialmente, come se non fossi del tutto presente. 
So che poi entrerò del tutto nella stagione riprendendomi tutto il vigore di una nuova vitalità, ma in questi primi giorni sento che devo assestarmi e allora tutto procede in modo caotico. 
Sono all'interno di un turbine, di un vortice, di una sorta di tromba d'aria. Non riesco ad aggrapparmi a nulla e allora mi lascio trainare, anche un po' sfinire, come un pezzo di carta che portato dal vento non riesca a toccare terra troppo a lungo.

lunedì 10 giugno 2019

Cielo Azzurro

In estate i momenti che preferisco sono quelli che anticipano l'inizio di una nuova giornata.
Mi alzo presto, apro la portafinestra ed esco in terrazzo.
Disseto i pochi fiori che mi tengono compagnia quest'anno, poi mi metto ad ascoltare il silenzio.
Che non è fitto, non è oblio.
E' un silenzio fatto di assenza di voci umane ma ci sono le automobili che sfrecciano lungo la strada principale o presso i dedali di viuzze del quartiere ed il cigolio di cancelli che si aprono e poi si chiudono.
Scruto il cielo, lo ammiro come se fosse un incantevole distesa di fiori di campo.
E' sempre lo stesso eppure diverso ogni giorno. A volte ci sono veli bianchi che lo attraversano, altre nuvole soffici di panna montana. Ma oggi era semplicemente azzurro e come ogni mattina ho pensato che fosse il cielo più bello che avessi mai osservato.

Fonte: rivistanatura. com

C'è un merlo che si sporge cauto sul davanzale dei vicini, forse per appurare che il grosso cane non sia nei paraggi.
Respiro, riempio gli occhi di verde e i polmoni di pace. Inalo aria che ha ancora il profumo della purezza. Ed intorno, anche tutto il resto è ancora puro, ancora estraneo ai movimenti convulsi di giornate senza fine.
Al mattino presto tutto è ancora meraviglioso ed intriso di nuove possibilità. Il giorno prima è andato per mai più ritornare e il giorno in atto è ancora in boccio: una rosa che deve ancora mostrarsi nei suoi petali più belli.

E allora il mondo mi sembra magico, il luogo migliore in cui vivere nonostante tutto quello che di solito accade sotto il suo cielo.
Ci sono ancora rondini che volano indisturbate di albero in albero e questo loro ecosistema quieto e luminosissimo mi sembra migliore di quello che si manifesta solo poche ore più tardi.

venerdì 7 giugno 2019

A Lezione di Yoga Vinyasa

La settimana scorsa ho iniziato un corso di yoga vinyasa.
Senza premeditazione, senza conoscere la disciplina, senza informarmi in merito prima di accettare. Ho solo chiesto alla mia fisioterapista se pensasse che sarei stata pronta e al suo via libera non ho esitato neanche un po'.
Pare che una parte del mio problema abbia avuto origine dal modo in cui respiro, soprattutto quando lavoro. Anziché espirare fino in fondo, trattengo l'aria al livello dello sterno. Solo quando Ornella ha iniziato a portare il mio respiro fino alla pancia, quasi trasportandolo con le mani, ho iniziato a sentirlo davvero. Ad andare meno in apnea e quindi a sforzare meno anche i muscoli del tratto cervicale.
E' incredibile come le situazioni stressanti della vita ci portino a manomettere il nostro corpo senza farcene realmente accorgere. Ce ne rendiamo davvero conto solo quando arriviamo allo stremo, quando questa nostra casa inizia a franare. Quando vediamo le fondamenta cedere, le porte scardinarsi, le finestre crepare, i pavimenti aprirsi.

Ora cerco di ricordarmi di respirare nel modo corretto, di rieducarmi ad una giusta respirazione. Sono cosciente che non sia il solo parametro di salvaguardia, ma trovo importante farlo.
E lo yoga vinyasa abbina la respirazione ad ogni movimento. Il corpo si flette, tende, si allunga e si rinforza. E al contempo questi profondi respiri ossigenano tessuti ed organi interni.

Fonte: atuttoyoga. it

Ho fatto solo due lezioni e mi sono piaciute; il momento finale, poi, è quello che preferisco.
Ci stendiamo, chiudiamo gli occhi, l'insegnante ci copre e poi ci invita a lasciare mentalmente il tappetino sul quale siamo adagiati per volare altrove. In quel luogo dove i problemi non esistono, dove ci sentiamo più leggeri, dove riusciamo a far fluire fuori le tensioni. Il posto in cui siamo felici.
Immagino sempre di sedermi con la schiena rivolta ad un muro scrostato che conosco, con le gambe sulla sabbia e lo sguardo rivolto al mare. Immagino di sentirne il rumore, di apprezzare completamente quella solitudine e di sentirla entrare fino in fondo dentro di me.
Avverto il corpo che si distende, i nervi che si sciolgono, una sorta di incontenibile benessere propagarsi a macchia d'olio sulla mia pelle.
E quando esco mi sento meglio di quando sono entrata, che forse è il vero motivo per il quale continuerò questo corso.

sabato 1 giugno 2019

Primo Giugno

Sono uscita quasi correndo.
Soffiava un vento sottile ma il sole era già alto e prometteva meraviglie. 
Nessuno in giro a quell'ora, solo sporadiche automobili. Le scuole chiuse, il torpore del sabato mattina nelle case di chi non lavora. 
Ho immaginato persone dentro quelle case. Persone che magari si stavano alzando in quel momento, che preparavano il caffè. Oppure che si giravano nel letto per poter dormire ancora. 


Fonte: Amazon

Quando sono arrivata sul lungomare non ho atteso di poter raggiungere l'acqua attraverso una via comoda. Ho tagliato per la prima spiaggia libera appena mi è finita sotto gli occhi. Come una bambina saltellavo sulla sabbia incurante della postura perfetta o di qualunque altro pensiero ragionevole. E a ridosso del mare ho iniziato finalmente a respirare a fondo, a riempire i polmoni di aria e di benessere e forse di una qualche forma di felicità che sono capace di trovare solo in quei momenti.
Sorridevo come un'ebete e magari i gabbiani o i pescatori mi avranno preso per matta, ma lì per lì non me ne sono curata. Mi sentivo sola col mare, con quel cielo finalmente terso, con il sole sulla faccia, con la mia musica di sottofondo, con quello sciabordio di onde che mi rimetteva al mondo.

Gli uccelli disegnavano volute nel cielo e poi planavano entusiasti a pelo d'acqua. Sembrava una danza e con un po' di irragionevole superbia ho pensato che stessero salutando me, che finalmente ero tornata, magari non ancora quella di sempre, però ero lì. In mezzo a loro. Parte di un habitat che mi appartiene e a cui appartengo.
Se ci ripenso adesso, a quei momenti di estasi e di gioia incontenibile, un po' mi salgono le lacrime agli occhi. Ma in quegli istanti ero solo una striscia di sabbia, una conchiglia variopinta anche se imperfetta, un'onda in mezzo a tante onde, un gabbiano tra i gabbiani, un minuscolo pesce che non sogna altri mari né tanto meno l'immensa vastità dell'oceano. Un minuscolo pesce appagato dalla sua porzione di acqua.
Ero un pezzo di quella natura e non avevo bisogno di altro.

Ho detestato il mio orologio che mi riportava a terra, alla necessità di rientrare, di tornare a casa. Avrei voluto toglierlo e lanciarlo via ma quel gesto infantile non avrebbe fermato il tempo. 
E allora ho respirato ancora, proprio come mi ha insegnato la fisioterapista, e ho sentito di poter amare al massimo quei momenti anche se non sarebbero durati in eterno e forse soprattutto per questo.