martedì 28 maggio 2019

Silenzio, Please

Fonte: gennarocucciniello. it


Mi piace il silenzio, soprattutto a fine giornata.
Mi piace l'idea di un mondo che si spegne, di voci che si attenuano, della vita che a poco a poco si addormenta.
Ci sono momenti, come quello in cui scrivo, nei quali anche un minimo spostamento d'aria può recarmi fastidio, farmi irrigidire.
Le voci della tv, i cani dei vicini che abbaiano, una madre che urla dietro i figli, il rumore della lavastovoglie, persino questo ticchettio sui tasti.
Sono passate le ventidue da neanche trenta minuti e vorrei arrivare al sonno dopo aver sperimentato almeno un'ora di sana e profondissima quiete.
E invece vivo in una piccola casa nella quale la camera è accanto al salotto ed io che agogno questo dannato ma sacrosanto silenzio, devo ascoltare mio malgrado la tv a due passi da qui. Io che non la vedo mai sono costretta a subirne gli schiamazzi, come una sorta di legge del contrappasso che mi obblighi a soffrire la presenza di tutto ciò che più detesto.
E allora mi vedo in questo girone infernale a correre, trafelata stanca e sudata, inseguita da frastuoni a cui non ho la possibilità di sottrarmi.

Oggi in negozio sono entrate due donne con due bambine. Sono rimaste per una mezz'ora, forse poco di più. E per tutto il tempo non hanno fatto altro che gridare l'una contro l'altra, in una comunicazione forzata e fastidiosissima che mi ha scosso i nervi al punto di aver provato anche io il desiderio di urlare.
Di zittirle, di farle tacere, di far comprendere quanto maleducato sia imporre agli altri i propri rumori. 
Esiste un luogo dove io possa bere da questa coppa?
Un luogo dove possa far riposare il cervello, cancellare i suoni?
Ricordo che da bambina e da adolescente, quando gli adulti prendevano il caffè, io dovevo restare lì ad ascoltare quel sovrapporsi di chiacchiere anche se desideravo andare via. Starmene per conto mio, coltivare la calma, passare del tempo sola con me stessa. Ma tutte le volte in cui cercavo di sottrarmi a quella tortura venivo ripresa, sgridata, trattata come una figlia degenere e asociale. 
E allora c'erano altre grida, poi sguardi di biasimo. Ed infine la sensazione di non essere come gli altri che si annidava, che trovava terra fertile sulla quale prosperare.
Io dovevo apprezzare quelle voci convulse, quello spostamento di sedie, quel tintinnio di cucchiaini sulle tazze, persino la tv anche se non la guardava nessuno. Chissà perché un po' mi viene il magone nel ripensare a quella forzatura, a quanti anni ho dovuto presenziare a quei noiosissimi e quotidiani consessi anziché fuggire. Semplicemente fuggire, assentarmi, mettere in pausa la mente dopo ore di scuola e poco prima di altre ore passate sui libri. Quello era il mio tempo libero e non mi apparteneva. E la verità è che non mi appartiene neanche ora.

giovedì 23 maggio 2019

Allo Specchio


Rivoglio il mio corpo.
Lo rivoglio per intero.
Percepirlo in ogni sua terminazione nervosa, dentro ogni stilla di sangue, essere in ogni goccia di sudore. 
Mi studio nuda allo specchio e non noto i difetti. Non guardo neppure i pregi.
Osservo solo me stessa e mi dico che devo tornare.
Lo penso con una determinazione tale che vedo i miei occhi incendiarsi, fiammeggiare come fuochi d'artificio sul volto.
Distolgo lo sguardo per il timore di rompere lo specchio, di vederlo esplodere in mille schegge impazzite con la sola forza del pensiero.
Però il proposito mi rimane addosso, anche quando poi mi rivesto.
Chiudo la zip dei jeans, allaccio la camicetta rossa sul seno. 
Avverto dolorini sparsi laddove, solo pochi giorni fa, si combatteva una battaglia che sembrava non prevedere vincitori.
E invece eccomi qui, io che la guerra la voglio vincere a tutti i costi, sputare i nemici fuori dalla bocca e poi vederli estinguersi sotto i miei occhi. Si contorcono, grondano sangue, poi straziati periscono. E allora un ghigno soddisfatto mi esce di bocca, avverto il gusto della vendetta eruttare come lava vulcanica e scorrere furente nelle vene. 

Metto il rossetto, rosso anche lui.
Perché quando alzerò la mia coppa vorrò essere raggiante. Bella. Straordinariamente viva. 
E sto tornando signori miei, non ho più tempo né voglia di pazientare. 
Scoppia il sole su questo cielo azzurro e voglio avvertire la pelle bruciare. Ardermi addosso, sentire che è tutta mia e che sono ancora qui.

E mentre attendo tutto questo non faccio che gustare ogni piccolo passo in avanti. Lo assaporo come se fosse cioccolato fuso sulla mia lingua. Lo trattengo come si fa con quei piaceri che non si ha voglia di lasciare andare.
Poi sorrido ed esco, che la vita non si ferma mai. 


martedì 21 maggio 2019

Elena

E' un tempo strano, di quelli che fatichi a comprendere, di quelli che ti impegni e poi getti la spugna, che tanto non riesci a trovare il filo. 
Guardo il cielo e lo vedo cambiare repentinamente sotto i miei occhi. Nuvole scure si alternano a schiarite di breve durata, rapidi spiragli di luce che irradiano il cielo per istanti talmente effimeri che poi c'è da chiedersi se siano avvenuti davvero, o se si sia trattato solo di un'allucinazione. Un'illusione della mente. 

Fonte: youtube

Ho lo stomaco in subbuglio.
Ho parlato con la mia amica Elena questa mattina su Whatsapp. Ultimamente la disturbo spesso. 
Parliamo di tante cose, anche di niente a volte.
Vorrei averla qui, uscire insieme, guardarla negli occhi, avvertire la sua presenza fisica.
L'amicizia non si può forzare, inculcare, imprimere. Sono affezionata all'unica amica che ho qui ma lei non è Elena. Non abbiamo passato anni nella stessa classe, non abbiamo dormito sullo stesso letto a Madrid, non ci siamo raccontate pezzi di noi che di solito non esponiamo alla luce, non abbiamo inscenato tirate filosofiche per spiegare fenomeni intorno a noi. 
E' lo stesso discorso che intrapresi tempo fa, in un altro post che adesso non ricordo e che forse non ho voglia di cercare.
Le persone non sono intercambiabili.
Io non ho bisogno di una persona qualunque che riempia i miei vuoti affettivi. A me piace Elena ed è con lei che trascorrerei una parte del mio tempo libero. 
E' strano come nella mia vita abbia sempre dovuto stare lontana dalle persone che amo.
Prima otto lunghissimi anni lontana da Fred, a vederci una volta alla settimana tra mille sacrifici.
Poi lontana dalla mia famiglia e dalle mie amiche.
Va così, ci sono momenti in cui mi dispiace, altri in cui semplicemente alzo le spalle e penso ad altro.

Domani torna il sole. Ho voglia di sentirne il tepore sulla pelle, accanto al mare, osservarne i moti ondosi finché non arriva il momento di andare via.
Perché si, la fisioterapista mi ha dato l'ok per tornare a camminare. Ci vado un po' cauta per il momento, però non mollo. Tornerò come prima. O meglio di prima. 



domenica 19 maggio 2019

Un Velo di Mascara

Seduta sul letto mi arrivano le malinconiche note di una canzone che non conosco. E forse solo per questo mi torna alla mente il fatto che questa giornata si è svolta in maniera del tutto differente da come era stata pianificata.
In programma per questa domenica c'era la visita dei miei genitori, perché l'automobile mi dà problemi e non vado a trovarli da un mese. Loro non vengono a farmi visita da un anno, che a scriverlo un po' fa ridere e invece è alquanto triste per una famiglia unita come la nostra.
Avevo pulito casa, acceso una candela delicata, sistemato gli asciugamani puliti in bagno, preso qualche dolcetto per papà. La cucina splendeva, il letto era stato rifatto con perfezione geometrica, tutti i mobili erano stati spolverati neanche avessi dovuto accogliere una delegazione estera.
Pur stanca mi ero alzata presto, perché avrei voluto aprirgli la porta al meglio e non con i capelli arruffati e la faccia stropicciata per via del cuscino.


Sono partiti, in realtà. Solo che ad un certo punto hanno trovato un tempo da lupi e hanno fatto dietrofront. Grandine a secchiate, acqua a non finire, le ansie di mio padre, gli improperi di mio fratello. Telefonate di dispiacere, messaggi, strascichi di tristezza un po' di qua e un po' di là. 
Avevo le lacrime sugli occhi e se mi sono decisa a non farle scendere è stato solo per non rovinare il mascara appena steso. E anche questo fa un po' ridere e invece è soltanto triste. 

Allora Fred mi ha convinta a destarmi da quel torpore ed uscire.
Solo una passeggiata, l'acquisto di un regalo di compleanno, un paio di scarpe nuove per lui, un pranzo fuori, la spesa settimanale.
E son tutte banalità però mi sono distratta e non ho più pensato al fatto che stava uscendo il sole e mia madre sarebbe stata felice di vedere il mare.
Non ho più pensato neanche al senso di pesantezza sul petto, alla delusione, al rammarico, a quelle lacrime ricacciate indietro che avrebbero voluto disperdersi libere sul mio viso facendo dispetto al mascara, ai miei occhietti delicati e a quella boccuccia imbronciata.

E' andata così, anche stavolta. 
E non ci si può fare niente, anche se questi centoventi chilometri non sono poi tanti eppure sembrano essere diventati il triplo. 
Scarico qui anche queste scorie, così da non doverci tornare più. Come si diceva in un vecchio film che non ho mai avuto l'ardire di guardare, domani è un altro giorno.

mercoledì 15 maggio 2019

Il Mondo da un Oblò

Ho capito che le cose che più mi fanno vibrare sono quelle semplici.
Due chiacchiere con un'amica.
La mano di Fred nella mia.
Un dolce al cacao preparato in tempi record. 
Due passi sotto il sole.
Il profumo di una primavera strana nell'aria.
Lo sciabordio del mare sul bagnasciuga.

Non ho mai avuto bisogno di grandi cose. Di lunghi viaggi, di cibi elaborati, di locali sempre nuovi e sempre alla moda, di molta gente intorno. 
Mai sentita la necessità di vedere tutto, di sapere ogni cosa, di curiosare su ciascun aspetto della vita. Ho sempre pensato che gli attimi migliori fossero quelli in cui riuscivo a godere di ciò che avevo, che non voleva dire trincerarsi dentro una campana indifferente a ciò che c'era fuori, ma semplicemente voler stare bene in quell'involucro, apprezzarlo perché era mio.

Fonte: Aliexpress


Solo che adesso, dopo mesi di problemi che mi hanno costretta a starci fin troppo, sotto quella campana, sento la necessità di uscire. Di saggiare nuovamente l'aria al di fuori di essa, di vivere più profondamente di quanto abbia potuto fare negli ultimi tempi.
Però ho una scorza più fragile, mi sento vulnerabile come un fuscello che al vento rischi di spezzarsi in qualsiasi momento. Devo riacquistare la mia forza, la mia guaina protettiva, il mio coraggio e la mia incoscienza.
Rivoglio me, insomma.
Sono ormai stufa di dovermi continuamente preoccupare di come muovere il corpo e la testa, di entrare in automobile, di oltrepassare questo corto raggio di chilometri che sono diventati stretti come le sbarre di una prigione.
Sto facendo enormi progressi ma il terrore di tornare indietro è un cuscino che preme sul petto. Allora procedo a piccoli passi, in senso letterale, guardo il mondo da un oblò...e mi annoio un po'.

sabato 11 maggio 2019

La Regola dell'Amico

Max Pezzali si è sposato due giorni fa con la sua migliore amica, di fatto smentendo una delle canzoni che più si sono fatte amare un ventennio fa. L'ho saputo per caso leggendo la notizia su Facebook e sono metaforicamente caduta dalla sedia. 
Mi sono partite riflessioni antichissime, di quelle che ciascuno ha già partorito almeno una volta fornendosi una risposta che in molti casi dura imperterrita per una vita intera.
Volendo proprio ragionarci su, penso che il sentimento amoroso e quello d'amicizia in fondo si somiglino. E se non avvertissi tanto lo scoglio della mancata tensione sessuale nell'amicizia, forse potenzialmente potrei innamorarmi anche io di un amico. Solo che per me la mancata attrazione fisica è proprio la condizione senza la quale non potrei mai avere un amico di genere maschile.
Quindi cos'è che succede a chi sposa un amico? gli piaceva anche prima, lo ha scoperto strada facendo, ha abdicato il sesso in favore di altri aspetti?


Fonte: DiLei

Mi sono voltata indietro, ho pensato alla mia vita. Ed ho capito che non ho un vero amico uomo da quando avevo circa 20 anni. Che poi è l'età in cui mi sono fidanzata, ma è anche quella in cui sono diventata "abbastanza adulta" da smettere di condividere un'intimità emotiva profonda con gli amici che avevo prima.
Ci eravamo fisicamente separati dopo la maturità, inseguendo ciascuno la sua strada, e i rapporti si sono via via sfilacciati. Sono rimasti il ricordo, la sensazione d'affetto e poco altro. Alcuni di questi amici li sento tuttora ma sono cambiate le modalità di condivisione ed è il sentimento stesso ad essere mutato, credo irreversibilmente. 
Ho conosciuto nuove persone. Magari abbiamo scherzato, riso insieme, siamo stati tutti accanto ad uno stesso tavolo a mangiare e divertirci. Però la mia regola è sempre rimasta la stessa. Se sei mio amico non mi attrai, se mi attrai non sei mio amico. 
Lo scrivevo sul blog di Claudia proprio ieri: un cliente un paio di settimane fa ha tirato fuori una frase che mi ha fatto molto riflettere. Non si può mettere la paglia vicino il fuoco. Ed è un concetto che comprendo e rispetto, perché l'istinto è forse la parte di me che prediligo. E il mio istinto dice: se ti piace resta lontana che è meglio. Se non ti piace avvicinati pure.

L'amicizia uomo-donna esiste, a patto che non si pensi all'altra persona come ad un probabile partner sessuale e sono sicura che una moltitudine di gente riesca ad intrecciare rapporti simili senza neanche lasciarsi sfiorare da quel pensiero latente. 
Io non mi pongo il problema, mi sembra già complicatissimo riuscire ad ottenere un'amicizia femminile qui dove vivo, figurarsi maschile. Fantascienza. 

mercoledì 8 maggio 2019

Timidi Passi

Ho impiegato ore per decidere se andare o meno.
Mi sembrava di vitale importanza ponderare bene la mia mossa, proprio io che quando voglio fare una cosa non rifletto mai, lasciandomi guidare dall'istinto del momento e forse anche da una leggera incoscienza.
E invece mi sono addormentata con quel tarlo e con quel tarlo in testa mi sono svegliata. Ho sentito Fred che mi rimboccava le coperte prima di uscire, ho guardato la sveglia ed ero già lì a rimuginare.
Avrei fatto l'ennesimo passo falso? Mi sarei data della stupida solo poche ore dopo? 
Così ad un certo punto mi sono alzata, ho aperto la finestra, visto che c'era il sole. Ho fatto colazione lentamente ed ero ancora così incerta, così instabile in quel desiderio vivo e mai sopito, ma ormai calpestato dagli eventi.
Mi sono vestita e sono uscita, decisa a camminare lentamente, come non faccio mai. Senza neanche il contapassi, per evitare il rischio che sopraggiungesse la competitività. 
Ho passeggiato, che è una cosa del tutto diversa. 
Avevo la musica alle orecchie ma non la ascoltavo, così concentrata a voler percepire un qualunque campanello d'allarme del mio corpo. 
Una variazione anche minima, un accenno qualsiasi.

Fonte: Vulcano Chimico

E' stato strano.
Mancavano il brivido, l'adrenalina. Mancava la felicità di sentirmi libera.
C'erano invece la paura, tanti piccoli grandi timori che si sommavano uno ad uno fino a diventare troppo ingombranti. 
Il mare era bellissimo, c'era un uomo che a piedi scalzi lo saggiava con la stessa prudenza che avevo io nel muovermi.
Mi sono fermata più volte. Ho respirato. E poi sono ripartita e tornata a casa.

Ho fatto bene, ho fatto male?
Presumo che ne sarò pienamente cosciente nell'arco di poche ore. 
E lo so che forse da fuori sembravo la stessa di sempre. Quella ragazza coi riccioli al vento che cammina e non guarda altro che pezzi di natura sparsi.
Ma dentro ero e sono un'altra cosa. Un essere spaventato, che teme una ricaduta in ogni istante della sua vita. Un essere che arranca verso l'uscita seguendo a tentoni uno spiraglio di luce che arriva da chissà dove. 
Tengo a mente le parole della mia fisioterapista-capo, quando le ho raccontato delle vertigini e di come l'umidità del week end mi avesse riportato ad uno stato di malessere antecedente.
"Non è una ricaduta, è solo un piccolo passo indietro."

Solo un piccolo passo indietro. 
Lo posso recuperare. 

domenica 5 maggio 2019

Sotto la Doccia

Ballavo sotto la doccia.
Certo era stata una giornata umida ed impegnativa, però una volta lì nel box mi sembrava di aver superato il peggio. C'era quel tepore, la mia musica in diffusione, la prospettiva di una domenica libera.
Mi sono abbassata, devo aver esagerato. E' arrivata la vertigine. Ho battuto la testa sul cristallo.
E per cinque o dieci minuti, che mi son sembrate ore, non ho avuto altra percezione oltre quel malessere che mi investiva interamente.
Nuda, con la testa che girava insieme alle pareti, quelle gocce bollenti erano diventati spilli. Mi sono accovacciata al muro, ho avuto paura che durasse ore come era accaduto due mesi prima. 
Non so con quale forza, ad un certo punto, sono riuscita a chiamare Fred per farmi asciugare. Forse la vertigine stava passando, perché sono riuscita persino ad uscire senza rompermi qualcosa.
E quando mi ha raggiunto, spaventato, io non sapevo come spiegare. Avevo ancora gli occhi sbarrati dal terrore, non riuscivo a muovermi per la paura o per quella brutta sensazione.
Sentivo la sua voce, vedevo i suoi occhi. Mi ha asciugata come si fa con i bambini, tamponando bene il cerotto e poi passando a tutto il resto. E poi mi ha vestita, come se fossi sua figlia anziché la sua donna. E allora sono scoppiata a piangere e con un agglomerato di frasi sconnesse gli ho spiegato cosa era accaduto lì dentro.
Ha aperto la finestra, detto che l'avevo dimenticata chiusa e che faceva troppo caldo. C'era vapore ovunque, forse un abbassamento di pressione oltre il resto.
Ho lavato i denti e mi sono messa a letto. Un po' piangevo, un po' tornavo in me.
Si è sdraiato lì accanto finché non mi sono addormentata. Poi la doccia l'ha fatta anche lui e mi ha raggiunta di nuovo.
Non so perché lo racconto. Forse per poter rileggere, quando tutto questo sarà passato, quanto quest'uomo sta facendo per me. E quanto amore gli leggo negli occhi in quei momenti. Quando si ride ci sono tutti ma quando si piange resta solo chi ci ama.



Stavo meglio, mi stavo riprendendo. 
Sentirmi di nuovo così vulnerabile ha riportato a terra il mio umore. 
E stanotte, mentre dormivo, pensavo che quest'amara vicenda mi ha fatto capire chi sono le persone su questo mondo su cui possa fare davvero affidamento. 

Stavo meglio, è vero.
Riesco ormai a camminare dritta da tempo, i capogiri sono poco frequenti, le terapie stanno dando qualche buon risultato. Non avevo vertigini da quel dannato 9 marzo.
Ma è stata sufficiente una giornata umida e ventosissima per farmi cadere di nuovo - anche se tutto sommato è durato poco e oggi sono quasi apposto - e questa consapevolezza mi fa tutt'altro che ridere.
Mi sento come quando sono stata operata e dovevo stare attenta a non far scucire i punti. Devo far tutto con delicatezza e questo senso di fragilità, dentro di me, fa lo stesso rumore di un boato.

giovedì 2 maggio 2019

Mille Papaveri Rossi

Da quando devo stare attenta anche alla postura ottimale per dormire, il mio riposo è drasticamente peggiorato. Sono riusciti a togliermi anche il piacere di fare un bel sonno, che era una delle cose che avevo di più care. 
Quella impagabile capacità di girarmi tre o quattro volte nel letto e poi cadere in catalessi per sette, otto ore filate. L'oblio, i pensieri azzerati, lo schermo che si oscura, un sipario che cade lento sulla giornata in corso e che si riapre su uno scenario differente il mattino successivo.
Più cresciamo e più ci tolgono pezzi di dosso, come frammenti di pelle che non potranno più essere riattaccati. Piccole grandi libertà che vengono meno, a cui forse davamo un'importanza marginale, ma di cui poi siamo costretti a capire l'importanza quando le perdiamo.
Era bello potersi stendere a pancia in su, in giù, a quattro di spade, raggomitolarsi fino a diventare un gatto o semplicemente schiacciare la faccia sul cuscino e lasciarsi avvolgere. 
Invece adesso è tutto un dover stare come prescrizione richiede e andare contro la regola imposta significa effettivamente provare dolore, stare male nel mentre o il giorno dopo.
Allora sei obbligato a dormire sul fianco, con la schiena a riposo, il collo ben adagiato sul cuscino, il mento dritto, le gambe leggermente flesse. Mi stanco di star così dopo cinque minuti ma devo restarci per una notte intera con la sola liberà di poter cambiare fianco.

Fonte: investireoggi. it

C'è da dire che tutte queste attenzioni stanno dando i loro primi timidi frutti. 
Ma ho così paura di una nuova ricaduta che cammino lenta sulle uova, spaventata persino dalla mia ombra. 
E allora non voglio dire niente, neanche un cauto accenno. Ci saranno nuovi aggiornamenti più avanti, ma ora taccio perché è meglio così. 

E lo so che maggio è il mese delle rose, ma tanto a me piacciono solo quelle bianche. E allora per me maggio è il mese dei papaveri, di quelle splendide macchie rosse sui bordi delle strade, nei campi, in mezzo all'erba alta. Ed ho così voglia di andare a caccia di papaveri, di farne un mazzetto da portarmi a casa come facevo da bambina, che qualora dovessi riuscire a guarire sarà soprattutto per questo.
Per quella macchia rossa tra le mani, per il sorriso che saprà regalarmi, per quella voglia di correre e sparire per un paio d'ore al giorno che non mi abbandona mai.