domenica 31 marzo 2019

Stimoli

E' stato un susseguirsi di stimoli fisici e visivi.
Come una bambina in un negozio di giocattoli, avevo tanto da guardare e la sensazione che non bastassero due soli occhi per abbracciare ogni particolare. 
Non ero mai stata a Tivoli ma stamattina, a causa di un altro impegno saltato, ho convinto Fred a prendere e partire. Non ha avanzato obiezioni, ci siamo vestiti con calma e dopo poco più di un'ora stavamo imprecando per un parcheggio.
Scesi dalla macchina, però, è stato un tripudio di bellezza. Tivoli è una piccola perla di costruzioni antichissime accostate ad altre più moderne. Ci sono pezzi di storia un po' ovunque, ruderi immersi nella natura, alberi di ogni statura che arrossiscono di primavera.
Ma il vero incanto l'abbiamo vissuto entrando a Villa d'Este. 
Gli affreschi, i soffitti altissimi e finemente decorati, le immense finestre, i balconi di pietra e infine i giardini, le fontane, i fiori, la calma. Mi sentivo frastornata da quel senso di meraviglia, da quel clima perfetto, dalla pacatezza degli altri visitatori.
E allora stringevo il braccio di Fred, gli trasmettevo quella gioia incontenibile attraverso le dita, incapace di parlare se non per ripetergli quanto fossi felice di essere lì. Lui mi guardava, sorrideva, forse da solo non gli sarebbe mai venuto in mente di andare, ma gli piace farmi contenta e a volte ho la sensazione che gli importi di questo molto più che dei posti che visitiamo. Io mi comporto come una bambina affamata di sensazioni. Guardo, osservo, strabuzzo gli occhi, scatto foto da rivedere, praticamente scodinzolo. Lui è più adulto, più pacato, guarda ogni cosa prima di me per potermi far scoprire angoli che possano meravigliarmi. Ed in fondo credo che lui apprezzi questa mia zona infantile, che sopporti i miei eccessi o che ami anche quelli. 


Fisicamente ora mi sento regredita di almeno una settimana nel mio processo di guarigione.
Dovrei tenere la testa ferma oppure muoverla lentamente, ma c'era tanto da far lavorare gli occhi ed ho alzato e abbassato il collo in continuazione. Dopo un quarto d'ora ero già dolorante e soffrivo ma ho continuato fino alla fine, imperterrita, ed al momento ne sto pagando le conseguenze.
Avrei voluto vedere molto altro, magari Villa Adriana, ma avevo raschiato il fondo e non era il caso di proseguire. Ci sarà una nuova occasione. 

mercoledì 27 marzo 2019

Rose di Velluto

"Camminavo sola fra i rumori della gente
nel cielo di mattina mi perdevo nella mente 
ed i suoi movimenti
tra i miei ripensamenti
i dubbi, le incertezze, le inevitabili sconfitte
i sogni e le speranze che non trovano risposte
la vita è una ricerca 
e non è mai la stessa."
(Anna Oxa, 2001)

Fonte: giardinaggio.it

E' il testo di una vecchia canzone, mi è tornato in mente non so neanche bene come. Mi piace l'incipit, quel camminare sola tra i rumori della gente che mi è così familiare, così affine. Il cielo di mattina, i miei pensieri che galoppano a ritmi non sempre sostenibili. I dubbi, le paure, le insicurezze, la volontà di capire qualcosa di questo grande calderone di stimoli che è la vita.

Guardo la gente, guardo me stessa, e capisco che fondamentalmente siamo soli. Tutti quanti, nessuno escluso. Anche chi ha una bella famiglia, anche chi ha tante cose meravigliose di cui occuparsi, anche chi vive di passioni intense che non sfioriscono mai. 
Però siamo soli, è un dato di fatto. Soli dentro noi stessi, in quella zona nascosta che nessun altro conosce all'infuori di noi. Ed è un luogo che immagino fragile, di un rosso intenso, un po' come i petali di certe rose di velluto. E' lì da qualche parte, sappiamo che c'è anche se non si vede nelle radiografie. Non possiamo toccarlo, modificarlo, renderlo migliore se non ci piace. E' innato e cresce con noi, ci fa compagnia quando non sappiamo proprio dove sbattere la testa.

Avete mai guardato negli occhi quelle persone sempre allegre, sempre contente, sempre sorridenti, sempre foriere di una barzelletta che vi strappi un sorriso?
Guardatele quando pensano di non essere viste. Quando abbassano gli occhi, quando un pensiero gli attraversa la mente, quando si placano. 
Lì risiede la verità oltre l'apparenza. Quel senso di solitudine che ci abbraccia tutti, anche quando non ci pensiamo o non vogliamo ammetterlo. 

Ci circondiamo di oggetti, di persone, di animali, di bellezza. Portiamo nella nostra vita più cose possibili per non dover venire a patti con quella sensazione che se solo ci fermassimo un attimo, forse, ci travolgerebbe. Come un fiume in piena romperebbe gli argini e spazzerebbe via ogni cosa. 
E allora continuiamo a correre, un giorno dopo l'altro. Trafelati, stanchi, un po' folli, con gli occhi spiritati di chi ne ha viste troppe ma la cui sete non si plachi mai.
Nessuno ci conosce davvero e sappiamo di non conoscere sul serio nessuno. Viviamo trent'anni con la stessa persona che in fondo resta un'estranea che abbiamo conosciuto un po' meglio, con cui abbiamo condiviso il letto, il frigorifero, la lavatrice, i ricordi. Pezzi di vita che ci si ammantano addosso e restano incollati lì dove li mettiamo. Milioni di fotografie a ricordarci quello che abbiamo visto, mangiato, ciò che siamo stati. 
Milioni di immagini e nessuna che riporti la realtà così com'è. Nuda, cruda e spietata. 

lunedì 25 marzo 2019

In Paese

Ho camminato per le vie del mio paese arrivando fino al centro storico.
Da una parte c'era mio fratello, sotto il braccio avevo quello di Fred.
Faceva caldo, il sole era alto nel cielo e non c'era una sola nuvola ad oscurarne l'azzurro.
Tanta gente sulla piazza, seduta ai tavoli all'aperto dei bar. 
Bambini in bicicletta, adulti con le facce sorridenti e rilassate. 
Negozi nuovi o ristrutturati di recente, una passeggiata da ultimare ma già molto più bella che in passato. 

Fonte: Paesi Online

Io con la testa un po' confusa, l'andamento di chi non si sente sicuro di camminare da solo. Però felice di essere lì, felice di essere tra due dei miei uomini preferiti, ascoltare le loro voci, annusare quell'inizio di primavera.
Poi i dolci da mangiare tutti insieme, il sole preso in balcone e poi in giardino insieme alla mamma.
Mi ha abbracciata con sollievo e in quell'abbraccio ho avvertito la sua preoccupazione di questi giorni, la sensazione d'impotenza di chi vorrebbe esserci ma non può. 
E' stata una bella domenica, trascorsa con le persone che più amo, ad assaggiare quel primo tepore, a fotografare alberi da frutto in piena fioritura, ad osservare ogni cosa così da poterla poi portare via. Dietro gli occhi, dentro il cuore, sotto la pelle. 

Fisicamente sento di avere ancora molti limiti, mi basta volgere la testa per sentirmi mancare. 
Ho recuperato molto ma non tutto, però l'umore è buono e spero di vederlo migliorare di pari passo con il resto. 

sabato 23 marzo 2019

Spiraglio

Fonte: FirstOnline


E' stato come rinascere.
Venire fuori da un buco minuscolo urlando, abbagliata dalla luce e dai colori dopo settimane di buio. 
Ho provato un sollievo indescrivibile nel sentire finalmente le mie gambe rispondere - abbastanza - bene ai comandi. Distendersi nel modo giusto, allungarsi serene, toccare il suolo con passo deciso. 
E poi quella sensazione di gioia divampare come un fuoco al centro del torace quando ho raggiunto la strada con le mie scarpette fucsia.
Ho respirato a pieni polmoni ogni particella d'aria presente nel giro di metri e metri, come se non lo avessi fatto per troppo tempo, come se fossi stata sott'acqua in attesa di risalire in superficie. 
Ho avuto il sentore di stare per piangere, avvertito le lacrime pungere gli occhi ma poi fermarsi lì, troppo meravigliate anch'esse da tanta bellezza, da tutta quella gioia, da quel peregrinare un po' folle e un po' fantastico che poi a volte è la stessa cosa. 

E quindi il mare, la sua forza dirompente sulla riva, le sue onde che diventavano spuma, il suo colore verde azzurro, il suo odore, il suo richiamo. Il cielo velato di sottili strie bianche messe lì a comporre un disegno perfetto a cui non avrei cambiato un solo particolare. 

Camminavo veloce, quasi correvo, mi sembrava di andar dritta e anche se non lo ero andava bene così. Ero felice, felice, felice. Come un uccello che esce dalla sua gabbia dopo giorni di ingiustificata prigionia e non sa dove andare perché vuole vedere tutto, vedere ogni cosa, posare le ali su ogni insignificante dettaglio.
La primavera è esplosa in tutta la sua prodiga bellezza. Ho trovato fiori rosa, bianchi e gialli laddove si stavano preparando solo dei timidi germogli. L'erba è ricresciuta verde e rigogliosa, persino gli alberi sembrano più grandi, più forti, più belli.

E forse questa fuga non è stata utile al mio corpo, alla mia ripresa fisica, a questi sintomi tenuti a bada dai farmaci ma ancora presenti e ancora stressanti.
Ma è stata utile a me, a Sara. Alle mie gambe, alla mia schiena, ai miei riccioli che si spostavano al ritmo del vento, ai miei occhi entusiasti, al mio cuore bambino. 
Ora si, posso piangere. Di sollievo, di gioia. Piangere per quei momenti che ho assaporato fino in fondo e che forse hanno tenuto Fred col fiato sospeso fino al mio rientro a casa, ma che dovevano esserci e non potevano essere ancora rimandati. 

giovedì 21 marzo 2019

Giornata Mondiale della Poesia

"Fedeli al duro accordo
Non ci cerchiamo più

Così i bambini giocano 
a non ridere per primi
guardandosi negli occhi
e alcuni sono così bravi
che diventano tristi
per la vita intera".
(Michele Mari)


"Attraversare i tuoi occhi
è come entrare in un circo
di saltimbanchi,
pagliacci, 
tigri graffianti.

Tu spettacolo vibrante, 
io spettatore incantato
di serpenti attorcigliati
come le tue parole,
di animali chiusi in gabbia
come le tue paure."
(Lorenzo Pataro)


"E i bicchieri eran vuoti
la bottiglia in pezzi
il letto spalancato
e la porta sbarrata
E tutte le stelle di vetro
della felicità e della bellezza
risplendevano nella polvere
della stanza mal spazzata
Ed io ubriaco morto
ero un fuoco di vita
e tu ubriaca viva
nuda tra le mie braccia."
(Jacques Prevert)

Fonte: spytwins. com


"Bevo a una casa distrutta
alla mia vita sciagurata,
a solitudini vissute in due
e bevo anche a te:
all'inganno di labbra che tradirono, 
al morto gelo dei tuoi occhi,
ad un mondo crudele e rozzo,
ad un Dio che non ci ha salvato".
(Anna Achmatova)

martedì 19 marzo 2019

Il Quadro Svedese

Fonte: newliferadio. it

Ti ho conosciuto accanto ad un quadro svedese.
Eravamo in prima media da una settimana e non ci eravamo ancora mai rivolti la parola.
Quella mattina ci scambiammo solo un sorriso ma fu il primo di molti altri. 
E il tuo era aperto, spontaneo, di quelli che non puoi proprio dimenticare.
Ricordo i pomeriggi al telefono, i tuoi quaderni a casa mia e i miei a casa tua. Gli appunti che ci siamo passati, le risate, le confidenze. 
In seconda eri cambiato, cresciuto. Passavi più tempo con gli altri maschi e meno con me. Facevi lo sbruffone, ti stavi omologando.
Mi piaceva Cristiano come lo avevo conosciuto e invece in una sola estate eri diventato qualcos'altro. Non ti dissi mai quanto mi avevi delusa ma tu lo sapevi perché a volte mi venivi vicino e mi sorridevi al vecchio modo come a dire: " sono sempre lo stesso, è solo un rito di passaggio". 
E infatti pian piano trovasti una tua dimensione. 
Mi hai insegnato a giocare a Uno. Insieme cantavamo vecchie canzoni nell'atrio della scuola. Ti piaceva suonare il piano, eri anche bravo. 
Poi il liceo, quella classe enorme che in due anni quasi si dimezzò. 
E infine la malattia, una temporanea guarigione, poi la ricaduta.
Quelle e-mail colme di tanto e di niente. Di parole scritte con una leggerezza che in realtà pesava come un macigno dietro la schiena e sul cuore di entrambi. 
Per qualche mese ti abbiamo creduto salvo e invece te ne sei andato. 
Ti ho sognato tante volte in questi anni, soprattutto i primi tre. Ci divertivamo ma piangevo. Mi dicevi che stavi bene, di tornare ad essere serena. E invece non potevo smettere di pensare a te che avevi lasciato questa terra a soli 19 anni. 
E chissà, forse la vita ci avrebbe divisi lo stesso. Però mi sarebbe piaciuto saperti vivo, da qualche parte, magari con una moglie e con dei figli. Perché tu eri il tipo da moglie e figli ma non c'è stato modo di constatare quell'impressione che ho sempre avuto. 
Tante volte spero ancora di sognarti. Invece le ultime due volte in cui sei entrato nel mio sonno avevi il volto di Marco, che era il tuo migliore amico. Ed ho sempre voluto bene anche a lui, ma stanotte ho sognato di abbracciarlo e anche se guardavo la sua faccia sapevo che eri tu. Ti ho stretto forte, ho pianto, tu sei rimasto in silenzio.
Mi sono svegliata di soprassalto e non c'eri più. Addosso mi è rimasta la stessa sensazione di sempre, quella di averti rivisto per un tempo troppo breve ma così importante da travalicare la coscienza e la ragione. 

domenica 17 marzo 2019

Anzio

Le nuvole vestivano il cielo per intero.
Fitte, una coperta bianca e grigia che non lasciava più spazio di uno spiraglio al sole. 
A quell'ora non c'era molta gente in giro. Mi hai presa per mano, mi hai aiutata a scendere tra la sabbia. Non avevo le scarpe giuste e forse neanche lo spirito più adatto.
Ho scattato qualche foto, ho ripreso a camminare con te. Ad un ritmo strano, un po' ondeggiante, però c'eri tu a tenermi e mi sentivo al sicuro.
Arrivati al porto mi hai fatto notare una barca vintage, quasi tutta in legno. Il timone, le funi, la cabina. Non c'era nessuno, per un attimo ho provato la tentazione di salire e fingere che fosse nostra. Ma io non amo gli spazi stretti e tu mi avresti dissuasa dal commettere una sciocchezza simile. 
Allora abbiamo proseguito, siamo arrivati agli scogli. Rocce enormi, bellissime, probabilmente messe lì per trattenere la furia del mare.
Grazioso anche il paese, che però mi aspettavo più grande, più articolato, forse anche meno banale. Mi è sembrato che terminasse subito, che ci fosse poco da vedere e da meravigliarsi.
Mi sono anche stancata presto, gli occhi sembravano non reggere quella strana luce. Ho inforcato gli occhiali scuri, mi sono fermata più volte. 
C'erano tanti sportivi. Alcuni correvano, altri camminavano velocemente. Ho osservato il loro passo sicuro ed ho sperato intimamente, senza dirlo ad alta voce, di poterlo riavere presto anche io. 
Con lo sguardo ho salutato la cittadina, siamo andati via.
Solo in quel momento è uscito il sole e quindi la gente ha iniziato a riversarsi sul lungomare, cavallette ordinate che escono solo col tempo bello. 

Fonte: PaesiOnline

Ho tenuto gli occhi fissi sul mare fino all'ultimo istante. 
Non riuscivo a godermelo nel modo solito, forse perché non era il mio mare, o forse perché il corpo non reagiva bene come avrei voluto.
Ho inalato il suo odore, l'ho respirato a pieni polmoni. Ho osservato l'acqua spruzzare onde delicate a riva, ne ho contemplato il colore chiaro come si fa con i dipinti che poi dobbiamo lasciare alla mostra, affinché ne godano anche tutti gli altri. 
Ho ripreso anche a riascoltare musica. Non per tutto il giorno come facevo fino ad una settimana fa, ma a piccole dosi, come se dopo un tot mi infastidisse e bramassi il silenzio. 
Domani i nostri turni saranno sfalsati ed io mi chiedo se riuscirò a portare a termine ogni mio compito senza di te, senza l'aiuto silenzioso ma presente che mi hai fornito in questi giorni. Senza il tuo correre dappertutto al posto mio, senza il tuo metterti davanti ai clienti più molesti per preservarmi, senza il tuo sguardo capace di rassicurarmi. 

venerdì 15 marzo 2019

Capricci

Fonte:Curiosando708090


Forse mi sono sentita un po' abbandonata.
E' una forma di egoismo la mia, me ne rendo conto.
So che la mia famiglia si farebbe in quattro per me e so che è già capitato tante volte.
Eppure in questo momento di difficoltà, di mobilità ridotta, di testa immersa nella nebbia...mi sarebbe piaciuto poter contare sulla loro presenza.
Qui in casa mia.
Tra le mie cose, nei miei spazi. 
Avrei voluto vederli riempire le stanze. Ascoltare le loro voci. Averli fisicamente vicini.
Una carezza, un abbraccio, uno sguardo. 
Un pranzo da consumare insieme.

Non è successo, non sono venuti.
Si, hanno avuto le loro ragioni che conosco e in parte comprendo.
Eppure...
Eppure mi sono sentita un po' sola.
E se non avessi avuto Fred, il suo aiuto materiale, il suo braccio sotto il mio per aiutarmi a camminare dritta e non cadere...se non ci fosse stato lui, avrei dovuto fare affidamento sulle mie sole forze. 
Che non sono quelle di sempre e questo è un dato di fatto.

Sto meglio.
Non ancora in forma, però meglio. 
Alterno momenti più complicati ad altri in cui mi sento quasi bene. 
Ma in quei giorni terribili i miei genitori non c'erano e forse avrei voluto che ci fossero. Anche solo un'ora, anche solo un saluto, anche solo...qualunque cosa.
Però devo smetterla di fare la bambina capricciosa.
Non è successo niente.
Guarirò presto e non sentirò più il bisogno di altro se non di quello che ho già.

mercoledì 13 marzo 2019

Quello Strambo Luna Park

E' un po' come essere caduta dalla giostra.
Ti sei fatta male, però guardi gli altri bambini che sono ancora su, si divertono, giocano. E pensi che ti piacerebbe tanto stare di nuovo lì, senza pensieri. O forse con i pensieri di sempre, che erano certamente migliori di quelli attuali.
Quelli di una persona che se ne sta sull'asfalto, con le ginocchia sbucciate, le mani ricoperte di tagli, la terra in mezzo alle ferite. 
Continua anche la musica, incurante del tuo essere caduta.
E' diventata assordante, ricopre i passi degli adulti sul brecciolino, le risa degli altri bambini. E le luci, le luci rosse gialle blu che esplodono in mezzo a quel rumore, a quel vociare, a quel turbinio di vita che ora vedi dal basso, un po' stanca ed avvilita, invisibile. 

Fonte: cosedafareinsicilia. it


Ma non sei davvero invisibile.
Devi esporre quelle ferite. Ti vergogni ma non puoi celarle. 
Te ne staresti nascosta da qualche parte, in attesa di guarire, di poter risalire sulla giostra e fare di nuovo parte di quel tran tran che un po' è dovere e un po' piacere, ma di solito va bene così.
E invece cammini sbandando tra quelle masse informi di gente, fatichi a riconoscerne i volti, sono come sagome di un poligono. Si avvicinano e si allontano, quasi quasi gli spareresti solo per il gusto di veder cadere anche loro. Che invece se ne stanno dritte, figurine e figuranti di questo teatrino scomposto che non riconosci più.

Mi manca il mare.
Mi manca quel brivido di vita che mi faceva alzare già piena di energie e correre via.
Mi manca quell'odore, quel sapore di libertà che tenevo tra la bocca, sulla pelle, tra i capelli, tra i muscoli delle gambe. 
Mi manca il sorriso che scambiavo con i clienti, sia quello vero che quello posticcio.
Mi manca la me di sempre. Quella donna lì. 

lunedì 11 marzo 2019

Apnea

Fonte: centrometeoitaliano. it


Sono immersa in una nebbia.
Ho spesso freddo. 
La testa pesante, una sonnolenza che mi invade completamente.
Sono sospesa in questa vita che non è la mia, in questo malessere che mi rende così diversa da me stessa. 
C'è qualcosa che non va, qualcosa che il mio fisico mi sta comunicando.
Devo forse fermarmi, mettere da parte ogni cosa, sedermi su un gradino e non muovermi fin quando tutto quanto non sarà passato.
Ma non è così che vanno le cose, non è così che si può fare.
Non si può mettere in stand by la propria vita. Talvolta non si può neppure rallentare. 
Sono le 11:45 di questo lunedì mattina iniziato in modo strano. Ho fatto colazione, qualche faccenda in casa. E un'ora fa ero di nuovo sul letto, con gli occhi chiusi, incapace di tenerli aperti o di concentrarmi in qualunque cosa. Neanche la più banale, neppure la più stupida.
Tra poco più di due ore sarò in negozio.
Mi terrorizza l'idea di dover stare in mezzo alle persone. 
Il vociare convulso, le grida, i passi sul pavimento di marmo. 
Le briciole sui tavoli, le carte da sistemare, i numeri, il denaro tra le mani, i resti da contare.
Ce la farò? 
Posso davvero riuscire a fare tutto questo?
Posso ridere, comunicare, avere un aspetto gradevole?
Mi sembra tutto troppo grande, una montagna da scalare. Ed io piccola come una formica che teme di venire schiacciata in questa corsa.
E poi la gente non capisce, io lo so che non capisce. 
Se ridi ti chiedono perché sei tanto allegra. Se non riesci ad andare oltre il semplice dovere, allora stai mancando di qualcosa. 
Dio, non ce la posso fare.
E ho voglia di piangere perché per la prima volta nella mia vita ho davvero paura di entrare in negozio. Di dovermi muovere, di dover indossare la divisa, di dover ascoltare qualunque cosa quando invece vorrei semplicemente stare in una stanza buia a non pensare. 

Non chiedetemi nulla, ve ne prego.
Accettate questo sfogo per quello che è. Una voce che non riesce ad uscire dalla bocca.
E allora resta fissa su uno schermo bianco. 

domenica 10 marzo 2019

Nel Tunnel

Venerdì 8 Marzo:

Non è vero che per andare in giro annebbiati si debba necessariamente ubriacarsi o fare uso di strane sostanze.
Basta farsi venire un attacco di cervicale. Di quelli pieni, totalizzanti, che ti prostrano e un po' t'ammazzano ma tu fai finta di niente e vai avanti in quel moto ondoso che un po' ti ricorda il mare, un po' lo sciabordio delle barche a pelo sull'acqua. 
Cammini sulle uova, in equilibrio precario.
Ci sei, ce la fai, sei connesso?
Poggi le scarpe sull'asfalto ma senti che non hai l'aggrappo forte di sempre. Letteralmente sbandi, vedi le automobili pericolosamente vicine, hai i riflessi affossati, abbandonati da qualche parte.
Ti chiedi se non sia rischioso avere le cuffie alle orecchie quando già ti senti così distante dal mondo e da tutto ciò che ti succede intorno.
Ti rendi conto di non riuscire a camminare dritta e forse di apparire, agli altri, proprio ubriaca o drogata.


Fonte: wikimedia

Domenica 10 Marzo:

Se dovessi descrivere la giornata di ieri, lo farei con un solo aggettivo: delirante.
Non sono andata a camminare, sentivo già di non essere in forma.
Ma è stato dopo aver abbassato la testa nel lavabo per lavare i capelli che la questione è diventata preoccupante.

Ero sola in casa, con quell'acqua che scorreva, lo shampoo sulla testa, il corpo che dondolava, un fastidio sordo che mi faceva sentire come preda di allucinazioni. Ho continuato a lavare i capelli e poi faticosamente ad asciugarli, non potevo fare altro che terminare quello che avevo iniziato. E quando mi sono tirata su non potevo camminare. Ero come febbricitante, tutto si muoveva, mi muovevo anche io. Sentivo lo stomaco contrarsi e due secondi dopo stavo vomitando la colazione.
Ho asciugato i capelli seduta sul letto, senza riuscire a placare quella sensazione terribile. Ho vomitato ancora, di nuovo, svuotato completamente la pancia.
Muoversi non era possibile, ero in uno stato pietoso. Allo specchio il volto appariva cadaverico, bianco come il muro. E allora mi sono accasciata sul letto, impossibilitata a fare alcunché. Il corpo che continuava a stare male, ma che almeno non avrebbe corso pericoli così disteso.
Si muovevano le tende, le pareti, il soffitto, l'armadio, il lampadario. Io stessa mi muovevo pur stando ferma.

Non è cervicale, mi sono detta, questa è labirintite. Forte. 
Dalle dieci del mattino sono rimasta sdraiata fino alle 15:30. In uno stato comatoso, di trance. Avevo avvisato che non sarei andata a lavoro, non potevo muovermi. Non riuscivo neanche ad alzarmi per fare pipì o per bere. In poche ore mi sono disidratata, il mio viso si stava squamando.
Quando sono finalmente riuscita ad alzarmi senza troppi pericoli mi sono aggrappata ai mobili per non cadere.

Domani chiamo l'otorinolaringoiatra e prenoto una visita appena possibile.
Ora sto meglio. A letto, ma meglio. Non si muove nulla, riesco a distinguere anche ciò che sto scrivendo. 

lunedì 4 marzo 2019

Sospesi

Quante vite che si intrecciano alla mia, qui al bar.
Quanti volti, quante voci, quali abitudini.
Attimi lunghi ore o momenti velocissimi che si susseguono senza una logica apparente.
C'è un passero che tutti i pomeriggi si sporge sulla veranda e in assenza di avventori raccoglie con il becco ogni briciola caduta in terra. E' un aiutante silenzioso; lui non lo sa ma l'ho chiamato "Cip".

Fonte: Leganerd. com

Guardo fuori la vita vibrare e a tratti sento che la mia è ferma, qui dentro. Poi realizzo che è vita anche questa, pure importante in realtà. 
La vita è un susseguirsi di momenti che procedono l'uno dietro l'altro, in fila indiana, come caselle di importanza differente. Quante ne calpestiamo che sembrano non valere nulla. Tempo speso a guadagnarci da vivere, a tenere tutto in ordine, a parlare con gente di cui non ci importa nulla. 
E gli attimi importanti, quelli che hanno un peso, quelli che ricorderemo, quelli che ci emozionano... nell'arco di un'intera settimana a volte si contano sulle dita di una sola mano. Tanto che può sembrare uno spreco quel resto di tempo passato a fare cose che non valga la pena di imprimersi nella mente. 

Se ne parlava anche sul blog di Francesco, solo pochi giorni fa. 
L'ordinarietà della vita, il suo dispiegarsi in eventi assolutamente trascurabili. 
Eppure cosa saremmo, senza di essi?
Senza quel tempo speso da soli a riflettere, o quello vissuto dietro a mille inutili gesti.
I secondi passati ad allacciarci le scarpe.
A ricoprirci dopo un amplesso.
A spazzolare i capelli dopo averli lavati.
A contare gli spiccioli per il fornaio.
Ad aspettare il nostro turno all'ufficio postale.
A chiudere porta e finestre prima di andare a dormire. 
Ad aspettare che la pasta si cuocia. 

Quanto tempo denso di cose eppure, in fondo, di nulla.
Gesti apparentemente insignificanti che costituiscono la maggior parte del nostro vivere. 
Attimi tranquilli in cui non dobbiamo realmente impegnare noi stessi, come sospesi.
Anime rinchiuse in corpi che agiscono in automatico, senza spendersi.

sabato 2 marzo 2019

Horror Vacui

Fonte sconosciuta.


Horror vacui, paura del vuoto.
Che in questo momento si manifesta in una strana ansia generalizzata da pagina bianca. Sono giorni che entro su questo blog e cerco di scrivere qualcosa di sensato, e giorni in cui chiudo tutto senza scrivere alcunché. 
Sono state due settimane dure. Due settimane di malessere fisico, di stanchezza perenne, sonnolenza, debilitazione fisica. E in due settimane sono rimasta in casa un solo giorno, occupandomi nei restanti del lavoro e delle solite mille incombenze quotidiane, con la sensazione di correre dietro a qualcosa che mi stava sfuggendo di mano. 
Arrivavo trafelata alla sera e c'erano ancora doveri di cui preoccuparsi, come se le ore diurne non fossero bastate a togliermi dalle spalle tutti i pesi che vi avevo sapientemente adagiato.
E il momento migliore era quello della doccia. Bollente, profumata, in completo silenzio. Quelle gocce erano esattamente il conforto che stavo cercando, l'abbraccio a cui avevo anelato per interminabili momenti, il calore di cui avevo bisogno per arrivare a letto e addormentarmi subito. 
Chiudere gli occhi e quindi riversarsi in un oblio fatto di buio e di un sonno privo di sogni. Il cervello finalmente spento, le membra al riposo.
Un rifugio, un nascondiglio, qualche ora di assoluta perfezione prima di altro caos, di altre grida, del solito tran tran casa-lavoro.
La vita adulta è un guazzabuglio, avevano ragione i grandi quando dicevo di voler crescere per poter smettere di andare a scuola. C'è anche tanta bellezza nel crescere, fosse anche solo il poter vivere con maggiore consapevolezza. 
Ci sono giorni in cui la bilancia pende in negativo, altri in cui gli elementi positivi spiccano a dismisura, tanto da lasciarti pensare che tutto sommato ne valga la pena.
E si, io sono una di quelle persone che pensano che il gioco valga sempre la candela. Anche la fatica, il tormento, i dubbi, hanno una loro valenza. Quella di farti apprezzare la vita in quei momenti in cui si mostra più lieve, più bella, più incantevole nei suoi fulgidi colori. 
Sono stata male e anche oggi non mi sento poi così bene. La strada è lunga, in salita, lastricata da un senso di stanchezza fisica e mentale che ci vorrà del tempo prima di riassestare.
Accumuli sassi dietro la schiena e ti rendi conto che ci vorrà tanta pazienza prima di farli cadere tutti, prima di sentirti di nuovo libera. Con le ali di nuovo capaci di spiegarsi dopo essere state a lungo ferme, incatenate, immobilizzate. Le sentirò riscuotersi lentamente, come atrofizzate. Le piume un po' arruffate, le ossa scricchiolanti. Però pronte per ripartire, per librarsi nuovamente in volo.