martedì 31 dicembre 2019

Crow Pose



Sola nella stanza sono sul mio tappetino. 
Ho già fatto il saluto al sole e ritrovato un po' di concentrazione. 
Appoggio il cuscino, mi metto in Malasana per aprire le articolazioni. Poi alzo le gambe, distendo le mani a terra. Il pensiero di fallire per la centesima volta non mi sfiora neppure.
Ora sono in Chaturanga, fletto le ginocchia e le appoggio all'interno delle braccia. Il mio sguardo è sul cuscino a terra, non mi preoccupo di dove siano i piedi. 
E come per magia questi si alzano. 
Entrambi, per la prima volta. 
Li sento sollevarsi. Di poco ma sono su. 
Sento una gioia incontenibile arrivarmi agli occhi, cadere in gocce calde che forse sono lacrime oppure è sollievo. Odo un grido uscirmi dalla gola, esplodere in un "ce l'ho fatta". 
E provo ancora, provo di nuovo, lo faccio dieci-venti volte. Riuscendo sempre. 
Era il mio obiettivo. Era lì che mi guardava da mesi. Le cadute, i lividi, le braccia peste, le ginocchia bluastre. Ho finalmente costruito la posizione. Il terrore di cadere, che secondo la mia insegnante mi impediva di far sollevare i piedi sulle braccia, sta finalmente scemando.
Ci vorrà tempo per giungere alla perfezione perché una posizione complicata si raggiunge in mesi di prove, a volte in anni. Ma questo passo, il più importante, è stato compiuto.
Volevo finire l'anno facendo il Corvo ed ho fatto il Corvo. 

E lo so che avrei potuto o dovuto scrivere un post di bilancio, perché è così che si fa.
Ma non esiste bilancio che non mi faccia pensare al fatto che i limiti esistano soprattutto per essere superati. E che la nostra volontà, per quanto piccolo o grande sia un obiettivo, sia il motore per vincere ciascuna sfida. 

Sono stata male per mesi, ho seriamente pensato di non poter più tornare la stessa di sempre.
Però stamattina su quel tappetino non ero la me di marzo, aprile, maggio o giugno. Ero una nuova me. Una me più forte.
E allora che importanza può avere ripercorrere ciascun evento di questo 2019 se quello che realmente mi interessa è vivere il presente e preparare un nuovo anno all'insegna di ciò che mi ha fatto stare bene in quello vecchio? Questo è l'anno in cui una nuova passione si è affacciata alla mia porta e anziché sprangargliela per timore gliel'ho spalancata con convinzione. L'ho accolta, l'ho fatta crescere dentro di me, l'ho sentita mia anche se da me era sempre stata lontanissima, anche se non mi era mai appartenuta.
Ho 34 anni, potrei essere una donna centomila volte migliore di quello che sono, però tutto sommato mi piace quello che sento e quello che vedo. Mi piace quello che scopro di me, mi piace sentire che il percorso non finisce mai e che c'è sempre una zona inesplorata di cui meravigliarsi.

Dunque il mio augurio per voi che mi leggete è quello di scoprire un pezzo di voi stessi che forse c'è sempre stato ma che vi stupisca all'improvviso. Che vi faccia sorridere, vi faccia sentire vivi, che impegni le vostre giornate in modo pieno. 
Ma soprattutto vi auguro di essere felici, di cogliere i frutti migliori che la vita abbia da offrirvi e che questi vi nutrano e vi soddisfino nel profondo.
Buon 2020, con tutto il cuore.

sabato 28 dicembre 2019

La Cassetta di Mandarini


Fonte: milanotoday
Mio padre sulla scala raccoglieva i mandarini maturi e li disponeva in un piccolo secchio bianco. 
Io da basso osservavo che la scala non oscillasse ma un po' mi distraevo dietro il gatto, un po' guardavo l'orizzonte verde azzurro, un po' avvertivo l'aria fresca giungere sulle caviglie nude. 
Il sole ci catturava entrambi e l'aria profumava di quegli stessi agrumi che pazientemente stava raccogliendo. 
Quando il piccolo secchio si riempiva me lo porgeva e io andavo a svuotarlo dentro una cassetta di legno. Disponevo in fila i piccoli frutti arancioni preoccupandomi che fossero perfettamente allineati. In quel momento di assoluta complicità non esisteva altro che quel disporre mandarini nella cassetta, col gatto dello stesso colore che mi osservava attento, quasi volesse capire per che razza di gioco io mi stessi concentrando tanto.
E una volta finito quel lavoro osservare quelle file perfette e sorridere di tanta allegra bellezza, di quell'odore che mi era rimasto sulle mani, di quel fuoco arancio che mi si era adagiato negli occhi.

C'è sempre qualcosa in più in questi gesti semplici.
C'è amore, mi son detta.
Per mio padre lì accanto a cui avevo proposto il mio aiuto.
Per quei mandarini sotto le mani.
Per gli zii a cui sarebbero arrivati.
Amore per quella brezza fredda del mattino, per quelle piante rigogliose a delimitare confini rossastri, per il brecciolino sotto i piedi, per quel sole che pur senza scaldare ci teneva allegra compagnia. 

Questo amore mi apparterrà sempre, anche quando le cose cambieranno. Anche quando non avrò più la possibilità di sentirlo scaldarmi, come ora. 
Amore per ogni singolo componente di questo piccolo ecosistema fatto di tempi morti che in realtà sono vivissimi, di una natura che sembra trasformarsi un po' ogni giorno, delle creature che abitano questo luogo insieme a noi.
Mi sento fortunata perché pur nella mia distrazione sono in grado di percepirlo, di viverlo nella sua pienezza. Ne sono parte essenziale e in questo deserto di sensazioni, in questa incessante ricerca di emozioni complesse, in questo costante voler vivere sotto i riflettori, mi sento ancora capace di avvertire amore laddove sia davvero, nella semplicità di momenti apparentemente privi di alcun significato. 

martedì 24 dicembre 2019

Buon Natale!

Fonte: ilcapoluogo. it


E' la Vigilia di Natale.
Ma è anche l'ultimo giorno di lavoro prima di una doverosa pausa.
Doverosa perché siamo arrivati al limite. Di stress, di stanchezza, di impegni che si accavallano fino a rendere la pila dei doveri sempre più alta.
E allora ci si ferma, si ricaricano le pile. Ci si fa coccolare un po'.

E' una giornata splendida di sole, che mi vien voglia di mettere i tacchi e calpestare spensierata le vie del centro a cercar conoscenti cui fare gli auguri. Radiosa.
Invece sono in negozio, i conoscenti sono tutti qui dentro, sto distribuendo sorrisi come se fossero caramelle, altrettanto felice perché tra due ore se tutto andrà come deve andare, sarò fuori di qui. Libera per un po'. Libera di abbracciare chi voglio, di mangiare cioccolato, di annusare un po' di quell'aria familiare che in fondo merito come chiunque altro.

E allora auguri amici, a ciascuno di voi.
A voi che leggete i miei pensieri scossi, che riflettete insieme a me, che mi regalate il vostro tempo a piene mani.
Che sia un Natale sereno, gioioso, allegro. Un abbraccio.

domenica 15 dicembre 2019

Fotografie

Fonte: the-hurry. com


Poi un giorno ho iniziato a scattare fotografie.
Immortalare attimi.
Albe, tramonti, onde, vicoli, strade, persone, colori.
E col passare del tempo, senza che me accorgessi, ho cominciato a vedere le cose confinate da bordi trasparenti che le rendessero senza tempo, che gli attribuissero importanza.
E' come se improvvisamente io avessi iniziato a vedere ciò che prima guardavo soltanto. Quei tramonti, quelle albe, quelle onde, quei vicoli e quelle persone erano già lì ma gli camminavo accanto senza struggimento. Senza osservarli con occhio critico. Come quando si è in treno e si vedono passare paesaggi bellissimi che scorrono troppo in fretta per essere ammirati. 
Ora riesco a trovare un pizzico di poesia in tutti quei dettagli sui quali avevo sempre sorvolato, incurante.

La fotografia è il presente che diventa memoria, ricordo, un pezzo di vita tramandato nel futuro. 
Magari non sai scrivere, non sai dipingere, non sai guardare un film per intero senza annoiarti terribilmente, non hai voglia di cucinare nulla che ti impegni per troppo tempo. 
Però sai catturare quell'istante, sai renderlo tuo, sai giocare con la luce affinché ti regali un'emozione. E' questione di secondi, di istanti, di sensazioni sottopelle che ti offrono il desiderio di imprigionare quel momento. Sento che lo voglio, che dev'essere mio, che non posso lasciarmelo sfuggire. 
Improvvisamente quello scatto diventa essenziale. Le dita mi formicolano e non posso fare a meno di preparare l'inquadratura e sperare che l'immagine sia esattamente quella che il mio occhio percepisce. Con quell'intensità di colori, con quella vividezza, con quel pathos che vi avevo originariamente percepito.

E' come una meditazione, spiritualità spicciola, una manifestazione dell'ego. Comunicazione visiva ed emozionale. C'è sempre tanto di me nelle fotografie che scatto. C'è sempre una particella d'amore o d'ansia o di stress o di tristezza o di meraviglia ed incanto. Tante piccole istantanee che vanno a definire un puzzle di pezzi discordanti chiamati vita.

sabato 14 dicembre 2019

Bombe ad Orologeria

Fonte: PitturiAmo

Sembrava un ragazzo solitario, appena maggiorenne, sicuramente introverso.
A volte entrando non salutava e teneva costantemente lo sguardo basso.
Prendeva un caffè da portare via e a volte un pacchetto di sigarette per il padre.
Sembrava solo un po' timido, forse poco socievole, un poco strano a dirla tutta ma dall'apparenza mite.

E invece poi una mattina come le altre ti svegli e scopri che quel ragazzo, che viveva da settembre a pochi metri dal negozio, durante la notte ha ucciso la nonna acquisita.
Che le ha dato un pugno e poi l'ha strangolata. Per poi mettersi lì accanto ad aspettare il mattino.

Non hai visto i giornalisti di Studio Aperto che hanno intervistato i tuoi clienti.
Non hai visto le volanti dei Carabinieri entrare in villetta dopo l'allerta del padre. 
Ti senti solo stranamente turbata, come se quel tipo di morte che hai osservato tante volte in tv ora ti fosse arrivata troppo vicina da poterla davvero schivare. 

Non puoi fare a meno di pensare a quella donna colpita nel suo letto. Alle mani che le stringono la gola impedendole il respiro.
Immagini il ragazzo scorgerle negli occhi l'ultimo soffio di vita e riconoscere distintamente l'esatto momento in cui di vita non ce n'era più.
Sarà arrivata in quell'istante la consapevolezza? Oppure deve ancora piombargli addosso, deve ancora manifestarsi con tutto il suo carico di disperazione?
Ho come la sensazione che gli esseri umani siano solo un concentrato di emozioni, di equilibri sottilissimi pronti ad entrare in collisione in un momento qualunque e poi scoppiare.
Bombe ad orologeria, molecole disfatte di frustrazioni ed energie represse.

domenica 8 dicembre 2019

3 Grammi

Fonte: lachiavedisophia. com


Ci sono domeniche che scorrono vie leggiadre ed allegre come farfalle.
Ed altre che sono un turbinio di imperativi categorici ai quali non ti puoi sottrarre e che ti fanno arrivare, a fine giornata, quasi con la stessa acqua alla gola degli altri giorni. E allora apprezzi con ancor più trasporto il momento di fare la doccia e di lavare via lo stress, la stanchezza, magari anche il mal di gola.
Ti fai sciogliere insieme all'acqua bollente, chiudi gli occhi e ti lasci cullare. Senti il vapore avvolgerti, la fatica di un'intera settimana che sgorga via nello scarico insieme al sapone.
E quando esci e ti asciughi non ci pensi più. Alle corse, alla discussione, al sonno che di notte si disgregava prima della sveglia privandoti del tuo meritato riposo. 
Vuoi solo sentirti libera. 
A casa tua, tra le tue cose. In mezzo agli odori che conosci, su quel letto soffice che ti sa confortare, materno. Poche ore ma così essenziali, così dannatamente utili da voler succhiare da esse ogni stilla di rilassatezza possano regalarti. 
Non esci a guardare l'accensione dell'albero in piazza. La sola idea di mescolarti nuovamente tra la gente, completamente vestita, ti fa arricciare il naso.
Te ne resti lì, in quel limbo silenzioso, ascoltando solo il ticchettio delle tue dita sui tasti. Guardando solo le lettere che si addensano l'una sull'altra diventando qualcosa laddove prima non c'era nulla.
Pensieri scossi, agitati e venuti fuori. Pensieri volatili, eterei, piccolissimi, che pesano tre grammi appena come l'anima. Inconsistenti, inutili, gocce di nulla che si disperdono in quel già ridondante mondo che è la rete. Che non è mica necessario scrivere tutti di massimi sistemi, di politica, di merce da consumare, di problemi sociali. A volte si è contenti così, tirando fuori solo minuscoli attimi di vita.

domenica 1 dicembre 2019

Sulla Strada

Dopo pranzo ce ne siamo andate a passeggiare.
Mia madre ed io, noi due da sole.
Il sole era uscito improvvisamente dopo una mattinata grigia e fredda. I colori dell'autunno erano esplosi di nuovo, in tutto il loro devastante calore. 
Guardavo dappertutto per non rischiare di dimenticare qualcosa. 
Il rumore delle ghiande che dalle querce piombavano al suolo. Il fruscio degli arbusti accarezzati dal vento. Quell'esplosione di giallo e d'arancio ai bordi della carreggiata. Il ticchettio delle nostre scarpe sul brecciolino.


Era la vecchia strada che mi aveva vista passare infinite volte. Su cui mi ero sbucciata le ginocchia cadendo dalla bicicletta da bambina. Su cui avevo ascoltato o riferito confidenze alla mia migliore amica.
Anche l'asfalto sembrava lo stesso di allora. Crepato ai bordi, incrinato, sbiadito.
La vecchia fontana su cui mi ero seduta tante volte aveva l'immobilità di una tomba stanca. Il muschio sulle pareti, la pietra annerita, una desolante assenza di acqua.
Avrei potuto provare tristezza immergendomi nuovamente in quel quadro stanco e solitario, invece mi sentivo alleggerita. Mi sentivo bene perché quel quadro non m'appartiene più, perché è solo un ricordo sul quale soffermarsi di rado, un libro di fotogrammi passati da sfogliare di tanto in tanto, fatto di cose a cui vuoi ancora bene ma per cui non provi nostalgia.

Carlo si è fermato lungo la strada, vedendoci arrivare. E' sceso di corsa dall'auto, è venuto a salutarmi. Ed è rimasto a parlare per oltre mezz'ora, incessante, un fiume in piena. Inarrestabile. 
E allora te lo immagini di sera, in quella casa in mezzo agli alberi ingialliti dal tempo e dall'autunno, da solo, a guardare una televisione sempre più noiosa e stantia. A preparare pasti caldi da consumare in piedi tra la cucina e il salotto, con i peli irti sulle orecchie, le sopracciglia folte, i capelli che escono dal cappello senza alcuna logica.
E ti risuona quella parola, solitudine, che lui stesso ha pronunciato ancor prima di scendere da quell'automobile. E allora pazienti. Non scalpiti per andar via. Aspetti che abbia finito di raccontare, di buttar fuori un po' di quelle parole che aveva bisogno di pronunciare.
E pensi che la vita talvolta è beffarda. O forse lo è sempre, ma in alcuni casi lo è di più. 

mercoledì 27 novembre 2019

Cielo Nero

Fonte: inchiostroverde. it



Osservo la pioggia abbattersi sull'asfalto scuro.
E' nero come pece, buio nella stessa sfumatura impenetrabile del cielo.
Sfrecciano automobili di cui si distinguono appena i fari e osservo anche loro come se fossero spettacoli attraenti, attori di un palcoscenico per il quale abbia pagato il biglietto.
E invece è solo un modo come un altro di far passare il tempo, di mandare avanti questo pomeriggio lavorativo spento. 
Le stesse facce, le stesse voci grondanti frustrazione o allegria o un mondo intero di cose a cui non presto più ascolto. Forse è questo che succede quando fai questo lavoro per tanto tempo. Smetti di ascoltare. Senti ma non presti attenzione. 
Lasci l'involucro a disposizione delle persone. Accendi un sorriso che conoscono già. E nel mentre è tutto un intreccio di pensieri che nulla hanno a che fare con tutto questo.
Sono completamente presente solo quando sto effettivamente lavorando. Allora lì mi concentro al punto da isolarmi da tutto ciò che non sia l'azione che sto compiendo.
E' il chiacchiericcio infinito il malanno da cui mi escludo, quello che tengo fuori, distante. Da cui rendermi inaccessibile.
Detesto quei discorsi sempre uguali, quelle lamentele sterili e puerili, quei commenti stantii già espressi nello stesso identico modo altri milioni di volte.
E allora rimane la pioggia. L'asfalto nero. Il cielo buio e impenetrabile.

lunedì 18 novembre 2019

L'Uragano



Sono state settimane intense, scandite dal ritmo dalla pioggia.
A volte sottile, fredda, indifferente.
Altre tagliente, gelida, incessante.
Poi il tornado, i tetti scoperchiati, le scuole ridotte a rottami di cemento, gli alberi caduti sui cancelli, le vetrate spaccate dalla furia del vento.
E senti che tutto ti tocca ma non abbastanza, come se ti fossi dichiaratamente tirata fuori, come se fossi una spettatrice esterna che il rumore dell'uragano lo ascolta alla tv.
E invece eri lì, guardavi con un'affilata tachicardia il livello dell'acqua che saliva, pensando solo al fatto che se Fred era al sicuro, allora tutto il resto poteva passare in secondo piano.
Avrebbe smesso di piovere. Le lamiere avrebbero cessato di volare da ogni parte, fermandosi laddove non avrebbero più fatto danni. 

E chissà perché quando ti senti in pericolo pensi soprattutto a chi ami.
Mamma e papà sono al sicuro? Tuo fratello è al riparo?
E dunque il distacco, la voglia di essere altrove. Con la mente, con il corpo, con le emozioni.
Semplicemente altrove.
Ti immagini ai piedi di un ruscello di montagna. Hai un cane lupo accanto, guarda il panorama insieme a te. E' lo stesso pensiero che partorisci nell'ultima sequenza yoga, nel momento tanto atteso dello Shavasana. Quando sei lì ma sei da un'altra parte, quando la tua vera essenza è pronta per volare via. I pensieri scivolano fuori, la tua anima libra per pochi istanti, la senti tremare, vibrare, poi riconnettersi col tuo corpo per intero.

E allora torni con i piedi per terra. 
Piove ancora, ma smetterà. 

sabato 9 novembre 2019

Suggestioni

Fonte: alcolibrianonimi. it


E' una casa come molte altre, forse di quelle chiuse l'inverno ed aperte solo in estate quando è tempo di mare. Credo di esserci passata di fronte infinite volte senza averla mai guardata per davvero.
Oggi il cancello era aperto, ho sbirciato dentro e scattato una foto.
Non so cosa mi abbia attirato tanto. Forse il tavolo in pietra appoggiato alla parete. Forse il portone di legno verde scrostato dal tempo e dalla salsedine. Forse quelle due timide sedie accatastate che potrebbero volar via al primo soffio di vento.
O forse qualche ricordo lontanissimo, una sorta di deja vu.

Mi sono vista lì dentro, ospite di qualcuno che non conosco neppure.
Mi sono vista entrare da quel portone. Ho immaginato un vecchio pavimento fatto di piastrelle  bianche e nere disposte a scacchiera. Ho immaginato divani e mobili coperti, una credenza di legno da cui si intravedono bicchieri impolverati. E di fronte una porta finestra aperta. Un affaccio sul mare. Una giornata di pioggia. Il lampadario che trema e si spegne. Un tuono che spezza il respiro. Il mio corpo che sussulta.  

giovedì 31 ottobre 2019

Il Velo

Piove.
E' una serata particolarmente scura quella che chiude il mese di ottobre.
Non una sola stella a rischiarare il cielo.
Io me ne sto qui da sola, assorta, certamente stanca, ma cosciente del fatto che almeno domani avrò un po' di pace.
Il silenzio in cui ho racchiuso questa casa viene spezzato solo dallo scroscio della pioggia e dalle urla di qualcuno chissà dove. 

Fonte: i.pinimg. com


Non vedo Emma da molto, di sicuro più di un mese. E fu una pura casualità.
Prima che rinnovassimo il contratto a suo padre me la portavano quasi ogni giorno. Quando questo è stato rinnovato non l'hanno portata più.
Non è una strana coincidenza, hanno saputo farsi i loro calcoli.
Il contratto sarebbe stato rinnovato comunque ma hanno pensato che un piccolo incentivo avrebbe aiutato la causa. Oliare gli ingranaggi, non si dice così?
La verità è che forse non ci si dovrebbe affezionare mai in modo tanto violento.
Ci si approfitta di una debolezza solo quando c'è: non sarebbe accaduto se fosse stata assente. Se io avessi trattato Emma come una bambina qualunque, se non me ne fossi innamorata, se non mi fossero brillati gli occhi tenendola tra le braccia. 
Se non fossi stata creta tra le sue mani ora non mi sentirei come mi sento. Usata, calpestata nei miei sentimenti. Anche un po' vuota perché è così che ci si sente quando si perde qualcuno che si è amato troppo, più di quanto fosse sensato fare.
Si passa una vita a tenere a distanza le persone, a non consentire loro di avvicinarsi troppo.
Poi un bel giorno una bambina con gli occhi blu che non ti appartiene squarcia il velo e si insinua in quella tenerezza, in quell'angolo di dolcezza che avevi tenuto in serbo per gli esseri umani davvero speciali. Se ne impossessa, lo tiene tra le mani. E quando se ne va te lo lascia gualcito, un pezzo di stoffa che ha perduto di valore.

E fu così che mi sgretolarono il cuore.
Silenziosamente.
Fingendo che nulla stesse accadendo.
Ma la cosa peggiore è che io stessa ho contribuito a questa frantumazione.
Perché in quei mesi io sapevo. Ero cosciente di quello che stavano facendo. Cosciente delle trame di una famiglia intera. Il mio istinto aveva captato quelle vibrazioni e mi aveva avvertito. Ma ero così tremendamente felice di quel contatto che ho lasciato da parte tutto il resto. Ho scrollato le spalle ed ho permesso a quel veloce affezionarsi di non lasciarmi scampo.
Ho pensato che ne valesse la pena. Che un'ora, un giorno, una settimana o qualche mese di quell'affetto sarebbe valso il dispiacere che ne sarebbe scaturito dopo.

Non è successo niente, sono ancora tutta intera.
E' solo un'altra ferita che un giorno diverrà una cicatrice in mezzo ad altre cicatrici e come esperienza insegna potrò passarci le mani senza più provare lo stesso tipo di dolore, senza sporcarmi le dita di sangue, senza trasalire.


domenica 27 ottobre 2019

I Giorni Come Questo

Fonte: amoyoga. it


Mi piacciono i giorni come questo.
Quelli in cui io e te siamo da soli.
E sorridenti.
E rilassati.
E non pensiamo al lavoro.
Non pensiamo a niente, probabilmente.
E facciamo ogni cosa senza correre.
Poi ci gustiamo il sole.
E le cose buone da mangiare.
E guardiamo gli animali in fattoria.
E ridiamo delle mie sciocchezze o della tua faccia.
E io mi perdo nei tuoi occhi verdi.
Che tu dici essere marroni.
E non ti fidi mai.
E poi guardiamo anche il mare.
E stiamo stretti ed abbracciati.
E non ci manca niente.
Proprio niente.

giovedì 24 ottobre 2019

2011

Fonte: i. pinimg. com


Scrivo su questo blog dal 2011.
2011. Me ne sono accorta per caso guardando giù, verso l'archivio.
Ho strabuzzato gli occhi, incerta.
Dove è andato a cacciarsi tutto quel tempo?
Che persona ero, otto anni fa?
Ma la verità è che non ho alcuna voglia di scoprirlo, di rileggermi, di ri-vedermi.
Non mi piace volgere lo sguardo, osservare la strada percorsa, indulgere in malinconie e sentimentalismi. Perché a dire il vero sto meglio oggi. Che non è un giorno perfetto, è solo un giorno qualunque.
Che non ho la vita migliore del mondo, è solo una vita come tante altre.
Però il presente, l'attimo, l'istante, il momento, mi interessano più di quello che ho già attraversato. La sola strada che mi interessi è quella che sto calpestando.

Per un attimo ho compreso chi lascia un blog e ne apre un altro, prendendo le distanze dal precedente.
Come se non fosse esistito, come se quelle parole, quel nero su bianco, non servissero più.
Come se chiudere una porta servisse metaforicamente ad aprire un portone.
Come se ci fosse realmente bisogno di un divario, di un capitolo che viene sospinto via in favore di un altro.
Come se il passato ci appartenesse solo fino ad un certo punto, solo fino al momento in cui lo vediamo allontanarsi. Fisicamente, emotivamente.

No, per il momento non desidero chiudere questo blog ed aprirne uno nuovo con un nome differente, che mi rappresenti di più.
I miei vecchi Pensieri Scossi, anche e soprattutto quelli così remoti da sembrar partoriti da un'altra persona, meritano di esistere insieme a tutto il resto. Ci sono maglioni che non metti da anni ma che lasci in fondo all'armadio per pigrizia di buttarli via. 
Io quelle pagine non le aprirò più. Non sono curiosa e soprattutto proverei imbarazzo. Quasi mi sembrerebbe di aver messo in piazza parti di me che ora vorrei aver lasciato, piuttosto, dentro qualche vecchio scatolone in soffitta.
Che poi è quello che sto facendo anche adesso, che faccio continuamente. 
Le mie foto, le didascalie, le poesie che leggo, le canzoni che ascolto. E queste parole.
Tutto ciò mi appartiene, l'ho portato fuori di me quando forse sarebbe stato più saggio lasciarlo dentro.
Eppure è questo che diventa un blog dopo tanti anni in cui lo coltivi: uno spazio insostituibile, una parte della tua esistenza, un pezzo di te a cui non sai e non vuoi rinunciare. Una piccola oasi in cui puoi lasciare frammenti di te stesso che neppur volendo potrebbero costituire l'insieme, ma che tutto sommato decidi di lanciare via come monetine dentro una fontana. 
Io scrivo per separarmene. Ora lo so.
Per mettere via. Che è la stessa cosa di riporre. Custodire cose che non servono più.

martedì 22 ottobre 2019

Ottobre

Fonte: menevojoanna. it


Questo mese di ottobre mi sta piacendo, ha il sapore di maggio.
E lo so che i colori son diversi, che la natura stessa appare al contrario rispetto a cinque mesi fa, però quest'aria mite e questo cielo terso non somigliano all'autunno cupo e grigio che ho sempre temuto e che conosco.
Tutto è ancora così bello, se si trascurano i moscerini e le zanzare, da permettermi ancora di sognare. Di vivere il mare con la profondità che mi piace, di tingermi gli occhi di quell'incanto stupefatto di cui non mi stanco mai.
E allora cammino, m'impregno di quelle sensazioni, mi faccio travolgere, in quegli istanti sola con le mie gambe e con la mia distesa d'acqua ogni equilibrio torna al suo posto.

Appartengono ad una donna di mezza età, ora lo so.
Anche se pure stavolta ne ho intravisto solo i capelli, mi è tornato alla mente un ricordo d'inizio settembre, di lei che si sporgeva dalla balaustra e guardava giù.
I nostri occhi non si sono mai incrociati. Lei persa nelle sue mattine solitarie seduta in balcone, in quei cinque minuti di quiete a consumare un'altra sigaretta. Io concentrata nei miei spazi, entro i quali non faccio entrare alcun essere umano, pur riempendomi di cose e di sensazioni che mi lasciano tutt'altro che disabitata.
Divento una dimora entro la quale volano gabbiani, camminano piccioni, si scalda la sabbia, si rischiara il cielo, corre il mare sulla battigia.
E tutto questo, fondamentalmente, mi basta.
Tiene fuori le scorie, il vociare, il traffico, le folle. 
Tiene fuori tutto e restiamo solo noi. Il mare ed io.

venerdì 18 ottobre 2019

Le Macchie Addosso

Ho lividi ovunque, in ogni ordine di posto.
Sulla schiena, sugli avambracci, sui gomiti, sulle gambe.
Sono diventata come una di quelle ballerine che a furia di allenarsi si dipingono il corpo di macchie bluastre, quasi fiere di averne. 
Io non amo i miei lividi, preferirei che sparissero un attimo dopo la loro comparsa.
Ma nonostante tutto continuo a provare le posizioni yoga che non mi riescono bene al primo colpo. Lo faccio perché mi piace, perché mi fa sentire bene, perché allenarmi mi consente di arrivare a lezione più consapevole delle mie potenzialità.

Fonte: gaia. com


Questa disciplina, a cui mi sono approcciata quasi per caso e per curiosità, mi piace sul serio.
La nostra versione è molto dinamica e non ci si annoia mai. Scopriamo di volta in volta muscoli che neppure sapevamo di avere ed è come se ogni parte del nostro corpo reagisse agli stimoli, venisse coinvolta. 
So che dovrei dare la giusta importanza anche al resto: la respirazione, la spiritualità, la calma, la ricerca della pace interiore. Solo che al momento, per quanto questi argomenti possano suscitare la mia curiosità, mi rendo conto di seguire il corso con una spinta diversa, quella di fare bene alle mie gambe, alle mie braccia, ai miei addominali, a quei disturbi al collo che mi hanno portata fin lì.

E allora a volte, anche mentre sto cucinando o pulendo, stendo improvvisamente una coperta a terra, vi appoggio la schiena, faccio leva sulle gambe e mi alzo in verticale. Premo su quei lividi già presenti, stringo i denti fingendo che non facciano male, e mi sento felice di quella comunione di intenti tra un muscolo e l'altro. 
In quegli istanti penso solo al mio corpo, che è forse la parte di me che ho più trascurato fino a qualche anno fa ma che ormai sento in modo tanto forsennato da non poter proprio fingere che di lui non mi importi.
E' il mio. Non è perfetto, non ho mai preteso che lo fosse, ma posso amarlo di un amore "matto e disperatissimo", che è forse l'unico tipo d'amore che io sia davvero in grado di comprendere.

domenica 6 ottobre 2019

La Zona Vecchia

Fonte: stickersmurali. com



Ho passeggiato da sola per le vie del mio vecchio paese.
La piazza era gremita di gente ed ho visto tante facce sconosciute stiparsi davanti alla Chiesa o presso i tavolini esterni dei bar. Estranei che un tempo non c'erano, come se negli ultimi sei anni ci fosse stato un rinnovamento, come se tanti fossero andati via ed altri fossero venuti ad occupare i posti lasciati vacanti.
Anche il mio posto, dunque. Quello che mi apparteneva e che non vorrei indietro.

Ai piedi indossavo un bel paio di tacchi che ticchettavano ritmicamente sui sampietrini.
C'erano tante voci belle ed allegre intorno, ma io ascoltavo me stessa, quel ticchettio sull'asfalto, quel procedere in fondo incurante di ciò che avveniva al di là del mio corpo.
Un tempo quelle strade le percorrevo più volte al giorno, ma adesso sono solo una turista portata in prestito per qualche ora, una figura qualunque di cui si perde il ricordo non appena se ne va.
Ho raggiunto la zona più antica, laddove le case si attaccano l'una all'altra formando un labirinto in cui solo i conoscitori sembrano poter entrare ed uscire indenni. 
Ho ricordato altri momenti, altre età, altre persone. Li ho visti passarmi davanti, attori inconsistenti di una vita fa. Fantasmi privi di corpo ma ancora grondanti di sangue e di anima.
Ho rivisto Carl, Elena, Monica, Sara, Simona, Daniela. Mi sono rivista bambina e poi adolescente entrare nella vecchia biblioteca ed uscirne carica di libri da leggere a casa. C'era un silenzio che solo l'abbaio dei cani interrompeva, di tanto in tanto, senza scalfire neanche un po' quelle memorie venute a farmi compagnia.

Sono dunque tornata sui miei passi e poco dopo mi sono ricongiunta a Fred.
Abbiamo comprato una torta per i miei genitori e dopo una decina di minuti eravamo con loro.
Ho preso in braccio il gatto, l'ho fatto con la spavalderia di chi non si aspetta un rifiuto. Ma era anche un'urgenza, un bisogno, una necessità.
Doveva starmi addosso, tra le braccia, sentivo di dover ottenere quella tenerezza, quello sguardo furbo di occhietti gialli, quel calore che tanto mi era mancato nei giorni di separazione.
E solo dopo averlo avuto mi sono sentita un po' placata, seppur mai abbastanza, seppur mai per intero. Un pensiero fugace mi ha attraversato la mente per il tempo di un lampo : è per questo che la gente fa figli, per assicurarsi un po' di calore sul cuore. Quella sensazione di affetto che un po' fa piangere, un po' ti sorride, un po' ti riempie pezzi che non sapevi d'aver vuoti. 

mercoledì 2 ottobre 2019

Prigioni di Vetro

Fonte incerta.


Ho chiuso la finestra.
Fuori la pioggia rincorre il vento sbattendo sui vetri. 
Sul filo ci sono un paio di miei abiti. Li vedo oscillare pericolosamente e tenersi a fatica, con una determinazione che un po' gli invidio.
Oggi mi sento allo stesso modo. Schiaffeggiata dal vento ma obbligata a restare in piedi, perché proprio non si può cadere giù alla prima difficoltà.

E allora mi dico che è solo una giornata no.
Che questa pioggia violenta non mi aiuta.
Che andare a lavorare con questo umore peggiorerà le cose molto prima che arrivi sera, ma che non ci sono alternative plausibili oltre indossare un sorriso di circostanza e cercare di tirarsene fuori.

Anche la lezione di yoga è stato un fiasco.
Il primo vero fiasco da quando ho iniziato a praticarlo.
Ed Ester, la mia insegnante, è così recettiva che si è accorta ancora prima che iniziassimo che qualcosa non andava, che ero insofferente.
E dunque, caricata anche del suo sguardo più vigile del solito, ho trascorso quell'ora di esercizi sempre più complicati in modalità spenta, con un'indolenza che non avevo ancora incontrato durante questo percorso. Conscia di aver sprecato un'occasione, quella di liberare un po' di tossine, contraendo la mia mente sul pensiero di quel dolore che si affacciava nuovamente a ridosso di una scapola agguantando il collo.

Indosso di nuovo il cappio.
Che dovrebbe tenermi calda e invece mi fa sentire prigioniera. 

venerdì 27 settembre 2019

Vicoli

Fonte: pinterest


Mi piacciono i vicoli.
Mi piace quella sensazione di perdersi, di non sapere dove portino. 
Mi piace la vita che gli si respira addosso e attraverso.
I panni stesi ad asciugare, gli odori di sughi che permeano l'aria, il rumore di altri passi oltre i miei.
Mi piace immortalarli nella loro mutevolezza, conscia che se tornassi due giorni dopo, ad un orario differente, potrei osservare uno scenario del tutto diverso. 

E mi piacciono le strade che li intersecano, che mi ricordano una me bambina, a respirare altri vicoli, in una Napoli assolata d'agosto dove le voci e le grida e l'allegria e anche un qualche tipo di ira usciva da quelle case e mi raggiungeva. Impregnandomi, tatuandomisi addosso, finendomi sottopelle al punto di non poterle scordare più. 
E chissà perché certe sensazioni ti restano dentro e non ti lasciano mai ed altre, invece, sono così eteree da perdersi subito.

Sono questi i viaggi che mi piace fare. Attraverso le vite altrui, a ridosso delle loro case, a percorrere quelle viuzze strette, a fotografare dettagli che forse hanno un senso per me sola. 
Che forse non sono viaggi ma percorsi. Ed io non sono una turista ma una bambina curiosa che annusa, osserva, sorride, respira in profondità e accumula ricordi di piccole cose che invece hanno un valore immenso. 

domenica 22 settembre 2019

Pensieri Scombinati

Fonte: lakinzica. it


Quando mi sono svegliata pioveva.
Ero di nuovo in quella posizione scomposta che assumo di notte senza rendermene conto e per la quale i miei fisioterapisti mi tirerebbero le orecchie. La schiena curva, il ginocchio destro che si solleva fin quasi alla spalla, la testa sul cuscino.
Fred non era accanto a me, sentivo l'acqua scrosciare in doccia, mescolandosi al rumore della pioggia. Mi sono tirata su controvoglia e se ieri sera sembrava ancora estate, la mattina aveva portato con sé un sapore vagamente autunnale che un po' faceva rumore sul cuore.
Dov'erano finiti i colori? e quel tepore, persino quell'afa, dov'erano?
Una sola notte può bastare a spazzare via una stagione?
Ho messo una camicia bianca e degli stivaletti con il tacco. Le prime maniche lunghe, le prime scarpe chiuse, mi son detta. Però magari è una cosa provvisoria, una sorta di prova generale, un guazzabuglio, un errore, un fraintendimento. 

Non pioveva da quattro mesi e l'aroma della terra che assorbiva quelle lacrime tardive mi è arrivato alle narici riportandomi addosso memorie di altri luoghi, di un'altra terra, di un'altra pioggia, di un'altra vita. E forse non esiste porta temporale più vivida di un odore.
E' tutto finito, ho pensato. I piedi scalzi sulle piastrelle fresche, i panni stesi ad asciugare al vento caldo del mattino, i braccialetti che tintinnano sui polsi nudi, le maniche corte, i sandali aperti. 
E allo stesso tempo mi sono detta che non era vero. Che già domani sarebbe cambiata ogni cosa, che questa era sul serio solo una domenica di prova, giusto per rientrare nell'ottica, per non arrivarci impreparati. 

E poi la pioggia fitta sull'autostrada, la musica dalle cuffie che ne cancellava il rumore ma non la vista. Che era nitida, che quasi pungeva, che mi lasciava intendere che avrei potuto distogliere l'udito ma non gli occhi. 
Ma nonostante questi pensieri di fine estate, che mi colgono ogni anno allo stesso modo come se in fondo io non sapessi né potessi cambiare mai, sentirmi serena. Rientrata a casa ho avuto la sensazione che fosse lì per me, per accogliermi, per farmi sentire protetta. E che quello che poteva accadere fuori non avrebbe scalfito il dentro. 

lunedì 16 settembre 2019

Ci Sono

Fonte: lifegate. it


Non è che avessi in mente di sparire, è solo capitato.
I giorni si sono sommati l'uno all'altro e alla fine son diventati più di dieci senza lasciassi due righe su queste mie pagine tanto amate.
Succede che la vita a volte ti travolge e non ti dà il tempo di riacciuffare i pensieri, figuriamoci metterli per iscritto.
Ho ripreso il lavoro da circa tre settimane e con esso anche il solito andirivieni di impegni, di orari che si incastrano, di sonno che arriva quando invece dovrei essere ben sveglia. E quindi il vociare, i rumori ben noti, le scalette di doveri a cui dedicarsi senza possibilità di fuggir via. 

A conti fatti non sto facendo nulla di strano, di particolare, di coinvolgente.
La mattina raggiungo il mare ma non ho le gambe giuste, come se non riuscissi a mantenere lo sprint di quando esco. Inoltre ho un dolore sul tallone che un po' mi impensierisce.
Le temperature salgono e scendono a loro piacimento e il mio dannatissimo collo ricomincia a darmi fastidio, al punto che in certi momenti mi tornano alla mente le problematiche affrontate nei mesi scorsi e mi sale un po' di sconforto nel pensare che molto probabilmente non me ne libererò mai. Saranno sempre in agguato, pronte a tornar su, pronte a riprendere possesso di me. Le vertigini, i capogiri, quella sensazione ormai nota di non esser più padrona del proprio corpo. Ne ho il terrore: proprio perché le ho vissute nel modo più intenso in cui potessi viverle, ora temo persino le loro pallide ombre.
Sono spettri che mi inseguono, che strisciano sui muri per non farsi scorgere, che si avvicinano e si allontanano senza seguire schemi, ma che restano lì con me a ricordarmi che non sono più infallibile. 

Però mercoledì mattina riprenderò il mio corso di yoga dinamico e non c'è cosa che, in questo momento, mi renda più felice.
In quell'ora con la mia insegnante e le altre allieve mi sento bene. Sento che il mio corpo apprezza lo sforzo e ancor di più i momenti in cui si ricongiunge ad un benessere troppo a lungo agognato. 
Avevo bisogno di un'attività che coinvolgesse sia il corpo che la mente, necessità di intraprendere un percorso in cui interno ed esterno potessero lavorare insieme come parti indissolubili di una perfetta catena di montaggio. A dire il vero sono l'allieva più entusiasta e mi sembra così strano che non so se stupirmene o compiacermi, tuttavia accolgo l'entusiasmo come un'adorabile brezza e lo respiro fino in fondo, perché così si fa.

giovedì 5 settembre 2019

Spartiacque

Fonte: quellosbagliato. com


Settembre è diverso, ha l'anima dello spartiacque. 
Di là del guado trovi l'estate, la calura eccessiva, la gente ad ogni angolo, la musica di sera, i fuochi d'artificio. Al di qua intravedi già un timido frescolino nelle ore notturne, le piante che iniziano a cambiar forma e colore, una lenta ma efficacissima ripresa delle attività.
Il 31 agosto la spiaggia ancora pullulava di vita e il giorno dopo non c'era più una sola anima in più rispetto alle poche solite irriducibili. Ripartiti i turisti l'alba diventa appannaggio di quelli come me, gente che il mare lo deve vedere al mattino presto, con la luce soffusa, con poca vita umana intorno.
Il mare torna ad essere meditazione, solitudine, riflessione pacata. 

E ogni anno l'effetto che mi fa questo ritorno coatto alla calma ha il sapore di un cibo dolceamaro. Quasi mi mancano quegli estranei che si stendevano sotto gli ombrelloni o che passeggiavano ancora un poco assopiti sul bagnasciuga. Quasi mi mancano quelle canne da pesca montate ad aspettare che un pesce qualunque passasse di là. Provavo fastidio per quella colonizzazione, per quel prendersi il posto che era sempre stato solo mio.
Provavo fastidio eppure mi stavo abituando, solo pochi giorni fa mi ero sentita pronta per la condivisione, per quello spartir di spazi che recepivo come un prestito momentaneo. 
E allora quasi ti dispiace, ad un certo punto, vedertelo restituire per intero, quasi che ne avessero avuto abbastanza.
Te lo riprendi felice ma senti che qualcosa si son portati via, forse l'estate stessa.

Che poi settembre, qui, è ancora bello. Probabilmente lo è anche di più. 
L'umidità cala, i colori si attutiscono, le vibrazioni della natura assumono sembianze più quiete, meno violente nella loro emotività.
Eppure so che settembre è un avamposto, il mese dell'avanscoperta. Avanza lento portandosi dietro i suoi soldati e tu cominci a tremare perché sai cosa troverai appena sarà finito.
Allora come un uccello non ancora pronto per la migrazione te ne stai dritto a guardar l'orizzonte, assorto, come in una muta attesa.

mercoledì 28 agosto 2019

Sottofondo

Fonte: imieianimali. it


Sono diversi i suoni in campagna.
Qui è tutto più lento, più attutito, più morbido.
Anche di notte c'è un silenzio irreale che avvolge ogni cosa, l'ammanta come un guanto e predispone al sonno. Poggi la testa sul cuscino e quasi ti sembra di essere lì fuori, distesa sotto un albero secolare o accarezzata dal vento. Nutri la sensazione dell'erba che ti solletica la pelle e vedi farfalle vorticarti intorno, lievi come zefiro di primavera.
Qui di giorno si avverte solo il frinire incessante delle cicale e, quando cala il buio, solo il verso un poco inquietante di civette, gufi ed altri uccelli notturni. 

Un tempo questi suoni erano casa mia. 
Li conoscevo come le mie tasche, erano il sottofondo ovattato di ogni mia giornata. 
E tornare qui, dove ho vissuto per tanti anni, è sempre come rientrare in una stanza nota. Conosci la disposizione dei mobili, gli odori che l'avvolgono. Puoi attraversarla al buio senza farti male, sporgendo solo un poco le braccia. 
Ma questa immobilità, questi rumori tenui che si confondono col silenzio, si finisce col dimenticarli. Ad un certo punto li scordi, persa tra rumori, singulti, viavai di auto, di cantieri e di autoambulanze e di tutte quelle cose che rispondono al nome di civiltà. 
Ma è davvero civile ciò che ci fa diventare parte di una massa insalubre e priva di senno?

Poi un giorno torni, ti ci ritrovi di nuovo dentro e capisci che ne avevi bisogno, che in quel mondo che si ferma c'è uno spirito di contemplazione che hai imparato proprio qui, tra queste colline, che è cresciuto insieme a te, che ti ha fatto da guida, che ti ha regalato un pezzo importante di sé. Ma anche di te. Potevi essere un guscio vuoto e invece hai respirato quest'aria che ti resterà sulle spalle per tutta la vita, come una brezza leggera d'estate o una sciarpa calda d'inverno.
E' un riparo, un rifugio, una protezione, una dimora invisibile agli occhi della gente nella quale puoi nasconderti quando bestie feroci t'inseguono e non sai dove andare. 
Tu sei questo, sei senz'altro questo. E puoi stare lontana, per un po', ma poi devi anche tornare a riprendertelo.  


venerdì 23 agosto 2019

Le Albe Rosse

Fonte: donatasalomoni. it


L'ultima alba a Gaeta mi ha accolta furente.
Nuvole scure si alternavano in cielo e oltre i monti si intravedevano fulmini. 
Sono uscita che era ancora quasi del tutto buio, fin quando un rossore diffuso ha preso possesso del cielo, rincorrendo quelle stesse nuvole, forse cercando di diradarle. 
Senza alcun dubbio affermo che le più belle sensazioni di questi giorni io le ho vissute proprio in quelle due ore. In quei cambiamenti di cielo, in quelle gambe che non ne volevano sapere di fermarsi, in quegli occhi rapiti, stupefatti, ammirati, ma già tristi per l'imminente distacco.
E più che una tristezza era forse una sorta di commozione. La gioia di aver trovato un luogo ospitale, bellissimo, desideroso di offrirmi riflessi, colori e sensazioni di cui avevo certamente bisogno. E quindi il dispiacere di doverlo lasciare.

Di Gaeta mi porterò nel cuore infinite emozioni.
L'umanità di Roberta e Mariella, le donne che si sono prese cure di noi come figli.
La frutta fresca che mi facevano trovare già sbucciata al mattino.
Le risate, le chiacchiere, la vicinanza di mio fratello.
Il centro storico, le viuzze tipiche, l'immensità della montagna spaccata, il nostro incessante girovagare serale alla ricerca di un posto in cui mangiare che non fosse già pieno.
E il relax, la sensazione di essere davvero libera da vincoli e dai problemi o dalle solite responsabilità. 

Ho scattato foto in ogni angolo che mi colpisse, come a voler catturare ricordi di ogni scorcio, di ogni fugace brillio del cielo o del mare, di ogni barchetta messa in acqua ad oscillare. 
E più di tutto ho scattato foto in quelle ore solitarie che ho amato come si amano poche cose nel mondo, le sole che ci arrivino dritte in quel pezzo di noi stessi che incontriamo ogni tanto, curiosi, mai del tutto paghi. 

mercoledì 21 agosto 2019

Gaeta

fonte: milleunadonna. it


19 Agosto, ore 16:15.

Gaeta mi ha accolto diffidente, come sempre mi appaiono distanti e lontanissime tutte le cose nuove che non ho veduto mai.
E allora a poco a poco cerco di ambientarmi, di mettere del mio dove non c'è niente che m'appartenga. Appoggio le mie cose in camera, che è proprio un bel posto. Un'orchidea mi osserva leggiadra dalla scrivania e il volto di John Lennon mi guarda da sopra lo specchio. C'è un buon profumo di agrumi che invade la stanza ed ogni cosa è nuova e ben tenuta, proprio come piace a me.

21 Agosto, ore 9:20.

Sono in spiaggia.
Anche qui mi sveglio prestissimo e raggiungo il lungomare ancor prima che il sole sia sorto. Godo dell'aurora, di quei colori dipinti tra il cielo, l'acqua e le imbarcazioni che oscillano pacate a ridosso del molo.
E quando poi, pigro, si tira su, sporgendosi dai monti come una divinità silenziosa, è lì che mi fermo e mi riempio.
Respiro la quiete. Accarezzo con gli occhi ogni riflesso sul mare e in quegli istanti di vivido incanto mi sento fortunata. Felice.
Non sono più solo una spettatrice: sono parte del tutto, personaggio sullo sfondo di uno spettacolo già ben collaudato.
Solo dopo arriva la gente. I cani, le canne da pesca, gli sportivi. E allora torno ad essere una donna qualsiasi: fino ad un momento prima ero un pezzo di quella natura silenziosa ma poi divento una persona come le altre.
Come le altre, certo, ma non ignara di quello che è appena caduto. Riprendo il mio percorso più piena, infinitamente più colma di qualcosa che non so neanche bene io cosa sia.

Gaeta non mi è più estranea. Ne calpesto le strade da tre giorni, si è fatta presto benvolere. Ci sono scorci che mi resteranno nel cuore, impressi nei miei scatti veloci, in quei fotogrammi che riguardo cosciente di quanto un giorno, tornata nella solita incessante frenesia, potranno mancarmi.
E non è vero che in vacanza si sta sempre bene. Si sta bene solo quando si è in un posto che ti lascia qualcosa, che ti accoglie come uno di famiglia, ti abbraccia e ti tiene con sé.
Ed io lo so che di tutti i momenti qui vissuti mi resteranno soprattutto le albe, sola con i gabbiani e i piccioni, in quella fissità momentanea nella quale mi rifugerò tutte le volte in cui avrò troppa gente intorno.
Quando sarò sommersa, io tornerò lì. In quel tratto di strada deserta, a ridosso del mare, in cui il sole m'è caduto addosso, travolgendomi. 

sabato 17 agosto 2019

Al Tramonto

Foto mia.


Quale fonte di stupore è il cielo.
Quale fonte di incredibili meraviglie è questo nostro mondo quando abbiamo il tempo ed il desiderio di osservarlo, di percepirlo anche al di là delle immagini che i nostri stessi occhi ci propongono dinnanzi.

Stavo cenando, mi sono voltata improvvisamente verso la finestra e vi ho scorto il riflesso di una piccola porzione di cielo. Nuvole rossastre che si rincorrevano come cavalli su una prateria.
Ho lasciato tutto e sono uscita in terrazzo.
E lì, in quel lembo di cielo che mi si stagliava a ridosso, ho visto il fuoco, la passione, la voluttà, la lussuria di un andirivieni di lingue che ne mordevano affamate il mantello. 
Era incanto, era esplosione, era un protrarsi di bellezza e di meraviglia e di cose incredibili che avevo difficoltà a contenere tutte insieme al di là dello sguardo. Come quando vivi emozioni così intense che un po' piangi, un po' ridi, un po' non ti capaciti di quello che ti stia accadendo.

Ho detto a Fred di uscire a guardare.
Ma lui è diverso, a lui questi spettacoli non fanno alcun effetto.
Non gli tolgono il fiato, non lo lasciano prostrato e confuso, non gli fanno vibrare l'anima. 
Mi esce sempre un sospiro rassegnato quando mi accorgo di quanto i suoi occhi siano diversi dai miei. E lo so che per amare qualcuno non c'è bisogno che ci somigli, ma davvero trovo complicato comprendere come si possa avere di fronte il mare e non innamorarsene. Poi guardare lo spettacolo di un tramonto ancor più suggestivo degli altri ed alzare le spalle.
A che punto della sua vita ha smesso di meravigliarsi come un bambino?
Quand'è che è diventato così adulto e disincantato?

Forse lo stupore non è per tutti. Forse è solo appannaggio di pochi.
Quello sbigottimento atterrito, quella vibrazione dell'anima, quello sguardo profondo ed intenso sulle cose. Chi può stabilire quale sia l'atteggiamento giusto, quello sensato, assennato, naturale?
Eppure a volte mi piacerebbe prenderlo per mano e sentire che lui comprende. Che di fronte ad un tale spettacolo lui sappia percepire le medesime sensazioni. 
Vorrei vedergli tremare gli occhi di meraviglia. Anche solo una volta, vederlo provare ciò che provo io. 

domenica 11 agosto 2019

Così Piccola, #4



Appena un paio di mesi fa scrivevo che l'Amore ci cade addosso senza poterlo prevedere, figuriamoci circoscrivere, analizzare, comprendere in ogni sua sfumatura.
Amore è quel sentimento che non descrivi, che forse neanche comprendi appieno, ma che un giorno ti blocca il respiro decidendo di cambiarti. 
E lo fa, innegabilmente. Magari eri un po' cinico, disinvolto, disinibito, ingrigito, spento. O anche solo una versione meno colorata di te stesso. Poi ti ritrovi a sorridere all'improvviso, sulla metropolitana o poco prima di addormentarti, in quel momento in cui un pensiero ti raggiunge e ti riempie. 
Forse sono farfalle svolazzanti. Oppure solo emozioni che si librano a livello dello stomaco. Leggere, eteree, inconsistenti. Ma così presenti ed invadenti che non puoi metterle da nessun'altra parte rispetto al luogo che loro stesse hanno scelto di abitare.

E così quando Emma è piombata nella mia vita, senza che avessi preso le giuste contromisure, insieme a lei m'ha raggiunto anche un sentimento così pieno e maturo e completo che a raccontarlo non ci credereste. Io stessa faccio fatica.
Solo che poi, ad un certo punto, mentre Emma cresceva e insieme a lei anche questo Amore purissimo, ho smesso di cercare una spiegazione.
Ho ascoltato le fantasiose interpretazioni altrui, gente che sa tutto e che sa assegnare un'etichetta ad ogni cosa. Gente che ti dice esattamente in che scatole dovresti metterle, quelle emozioni, che senso attribuire loro.
Solo che a me questa organizzazione certosina, quasi militaresca, non interessa.
Mi piace provare questo Amore indipendentemente dalle loro regole di vita. Mi piace pensare di poterle volere bene senza un perché, che se gliene appiccicassi uno, allora tutto perderebbe di magia.
E a 34 anni io non sono ancora disposta a perderla, la magia. 

Ieri Emma ha compiuto un anno.
Alcune persone che dovrebbero essere nella sua vita hanno deciso di non esserci. Ieri e sempre, quelle persone hanno scelto di escluderla.
Io invece ero lì. In piedi sui tacchi dopo altre ore in piedi a lavoro. Stanca, un po' spossata, ma felice e presente. Conscia dei cambiamenti che questa bambina ha apportato in me, senza accorgersene, senza volerlo, ma riuscendoci.
E quando è tra le mie braccia, quando il mondo diventa solo un contorno e le voci altrui si allontanano per poi scomparire, io so perfettamente che non ho bisogno di mettere noi due in una scatola tra altre scatole. Non ho bisogno di appiccicare una bella etichetta sul fronte che mi ricordi come quando e perché questo sentimento si è sviluppato. 
So che Emma è un Amore inatteso che avrei potuto non cogliere, ma che ho scelto di vivere come piace a me. Senza pensare a domani.

sabato 10 agosto 2019

Occhi Spiritati



E' entrato in negozio come una furia, senza maglietta. Indossava soltanto un paio di pantaloncini un po' calati. Lei gli stava dietro tremolante, arrabbiata, sfatta come una pasta scotta. 
Gli abbiamo detto di vestirsi se voleva restare dentro. E' uscito maledicendoci, prendendosela anche con lei, che l'ha calmato un po' e gli ha fatto indossare una maglietta. Due minuti dopo erano di nuovo in negozio.
Lei è venuta in cassa con i suoi occhioni azzurri tristi ed un carico di sentimenti spiacevoli che ho sfiorato appena, standole così vicina. Solo in quel momento ho compreso perché non l'avevo mai vista sorridere. 
A volte pensiamo che un volto appeso sia questione di carattere, quando invece è il risultato di giornate amarissime, di nottate prive di sonno, di sostanze che circolano sottopelle ad infestare un'anima. Di un'esistenza che diviene ora dopo ora sempre un poco più buia.

Hanno consumato l'aperitivo fuori ma ogni tanto rientravano. Lui non era tranquillo, neanche un po'.
Si dimenava come un elfo impazzito, sudava, imprecava, si arrabbiava con lei e con sua madre, che non era presente ma alla quale ha sparato invettive per tutto il tempo.
Ero nervosa, avrei voluto mandarlo via. 
Non ce lo volevo quel diciannovenne drogato che mi bussava continuamente sul vetro come se fossi un animale allo zoo per chiedere altre patatine. 

E' arrivata altra gente, si è unita a loro. Lui gridava spesso, in un paio di occasioni è andato via con la macchina, sgommando. Purtroppo tornava anche. 
Lei era sempre più tesa, ha preso la sua valigia per andarsene ma poi è tornata di nuovo. Non era passato neanche un minuto.
La sua resa non durava mai più di pochi istanti, come se di lui non potesse realmente liberarsi, come se le sue alzate di testa non potessero davvero portare ad una separazione di qualche tipo.
Come se dovesse restargli accanto nonostante le stesse bruciando la voglia di vivere. Come se non le avesse già tolto la spensieratezza dei vent'anni.
Si arrabbiava ed urlava, ma poi tornava da lui, incapace di allontanarsene. 

E' finita con un calice di vetro spaccato in terra, una ragazzetta in lacrime, lui che è andato via dicendo che quella madre a cui a quanto pare doveva dei soldi l'avrebbe ammazzata. La ragazza col volto assente, dispiaciuta, arrabbiata, distrutta. 
Ancora un minuto e avremmo chiamato i Carabinieri.
Gli altri ci hanno chiesto scusa, ma c'era poco da scusarsi, ormai. 

Durante il giorno ho ripensato spesso a lei. 
Perché a vent'anni ci si lega ad un tizio aggressivo e strafatto?
Perché si sta vicino a qualcuno di così palesemente sbagliato?
Come si può creare un legame così contaminato, sporcato, alla deriva?
Ho pensato che in casa abbia vissuto le stesse tragedie e che l'unica forma d'amore che conosca sia quella. Le urla, gli scatti d'ira, la violenza non troppo ben repressa, il rancore. 
E la droga, soprattutto la droga. 
Ci sono famiglie di sbandati ovunque. Famiglie in cui ci si tirano i piatti dalla mattina alla sera, in cui non è possibile comunicare civilmente, in cui la prima preoccupazione è quella di procurarsi il denaro per farsi ancora. In una spirale di vuoto che uccide lentamente, e che nel frattempo dissocia dalla realtà.

Ho avuto paura, perché negarlo?
Mi piacerebbe non dover mai toccare con mano le brutture del mondo, la sua sporcizia. 
Mi spaventa la violenza, sia quella verbale che quella fisica.
Mi spaventano queste mine vaganti che non sai mai se possano avere in tasca un coltello o se possano decidere di farti male perché così gli dice la testa. 

Quando abbiamo chiuso il negozio sono passati in auto lì davanti. Ancora insieme. Lei con gli stessi fanali azzurri assenti, lui con gli stessi occhi spiritati. 

mercoledì 7 agosto 2019

Calma e Sangue Freddo

Fonte: depositphotos. com


Di scrivere sono poco in vena. 
E quando non sono in vena sarebbe bene che non scrivessi affatto. 
E' la stanchezza, ormai giunta ad un livello molto più che disturbante. La sento in ogni parte di me, quasi che prenda origine dagli organi e poi si diffonda ovunque insieme al sangue. La sento sulle gambe, sul cuore, tra le scapole. La sento galleggiare tra i miei liquidi, nuotatrice instancabile che sa esattamente dove dirigersi e con quale velocità.

Ho bisogno di andare in ferie. Bisogno di staccare la spina, dormire, provare un po' di sano e riposante relax. Smettere di avere orari, scadenze, responsabilità.
Chiudere le porte a questi doveri asfissianti che premono da ogni parte e poi scalciano, gridano, si dimenano come diavoli tra le fiamme dell'inferno.

Sono uscita presto anche stamattina. Avevo ormai puntato la sveglia e dopo attimi di titubanza ho preso coraggio e mi sono alzata. Qualcosa non andava, me ne sono accorta subito.
Avevo sonno e per la strada mi sentivo come uno di quegli inservibili oggetti di design che guardi e non capisci.
Avevo il sole dietro le spalle, una palla rossastra che a poco a poco s'alzava dal suo giaciglio, molto più forte e vigorosa di quanto mi sentissi io. Ogni tanto mi giravo a guardarla, quella palla di fuoco, perché puoi essere stanco quanto vuoi ma un nuovo giorno che inizia merita sempre la massima considerazione.
Tra i passanti destavo la solita curiosità alla quale sono ormai abituata ma non mi sentivo del tutto presente, come se il mio corpo e la mia mente avessero ufficialmente preso congedo l'uno dall'altra. Erano solo due pezzi attaccati sulla stessa persona. Due pezzi incapaci di comunicare, di ascoltarsi, di interagire davvero.
Le gambe erano stanche e tremolanti. Sembravano le gambe di un'estranea.
E la mente era circondata da una nebbia, non potevo guardarvi attraverso neppure dotata di lenti speciali.

Allora dopo aver solcato la spiaggia con quell'andatura che non m'apparteneva mi sono seduta su una panchina e il mare l'ho guardato da lì. Era bello come sempre, anzi forse più degli altri giorni. Si faceva accarezzare con gli occhi, benediceva gli astanti col suo rumore di flutti, arrivava alle narici in una brezza leggera capace di quietare.
Dunque poi sono andata via, il mare m'aveva calmata un'altra volta. Non c'era bisogno che mi sforzassi ancora se non me la sentivo, m'aveva fatto capire che il meglio, la sua presenza, l'avevo già ottenuto.
Sono tornata a casa, ho fatto una doccia con gli occhi semichiusi, poi mi sono buttata nuda sul letto e ho chiuso gli occhi per un'ora e mezza. Non sono state sufficienti ma meglio che niente.


mercoledì 31 luglio 2019

Filo Spinato

Fonte: lightbox


Il tempo cambia ogni cosa. 
O forse siamo noi a cambiare con il passare del tempo, senza che lui c'entri alcunché. 
Ad un tratto iniziamo ad erigere corazze, barriere. A metter su scudi, barricate, protezioni. Filo spinato che circondi ogni metro del nostro giardino privato, siepi altissime che oscurino lo sguardo a chiunque gli passi accanto. 
Invitiamo sempre meno persone ad entrarvi, in quel giardino. Ci accontentiamo di mostrare qualche rosa al di là di esso, come una facciata, come una parete esposta al sole. 
Ci isoliamo, diventiamo una persona qualunque in un mondo pieno di persone qualsiasi con le quali intratterremo rapporti di ogni tipo senza che si sfiori una reale e profondissima intimità.
Restiamo in superficie. Portiamo fuori dal giardino piccole parti di noi stessi, frammenti infinitesimali, schegge di vetro capaci di riflettere un po' di verità ed un po' di illusione.

Ne siamo consapevoli?
Quando lo facciamo, ne abbiamo piena coscienza?
O il tutto avviene segretamente, per dare un senso all'esistenza dell'inconscio? E' lui che opera mentre noi siamo distratti altrove?

Io ho cominciato da tanti anni. Mi vien da dire che ho iniziato giovanissima, come se nascondermi agli occhi dei più fosse parte del mio carattere, un dettaglio già scritto sui filamenti di Dna come il colore degli occhi e quello dei capelli.
Più crescevo e più mi rendevo conto di volermi proteggere. Non perché mi vergognassi di quei fiori che non sempre curavo nel modo giusto, all'interno del mio giardino. Ma proprio perché ci tenevo troppo. Erano miei, belli o brutti che fossero, erano le mie coltivazioni. 
Miei e di nessun altro, gli unici possedimenti che non desideravo condividere. 
Sapevo di poter offrire altro. La mia amicizia disincantata, le mie spalle su cui piangere, la mia allegria, anche il mio caratteraccio.
Ma quei fiori no, quei fiori li hanno visti proprio in pochi.
Fred.
Daniela.

E quando Daniela ha scelto di uscire dal giardino, salutandomi appena, ho capito che quella porta doveva essere chiusa e mai più riaperta. 
Le avevo dato tutto e non era stato sufficiente. D'un tratto non ero più abbastanza. 
La convinzione maturò improvvisamente, come quei fulmini potentissimi che arrivano subito dopo il tuono. Si può fermare un fulmine? Gli si può impedire di cadere al suolo? 
Non doveva esserci un solo spiraglio. Dall'esterno non doveva arrivare neanche più un flebile alito di vento. 
Alzai una barricata, un'altra oltre quelle che c'erano già. Giorno dopo giorno posi un mattone dopo l'altro finché non divenne invalicabile. 
Che guardassero Sara dall'esterno. Che la giudicassero attraverso i suoi limiti, le sue schegge appuntite, i mille difetti. Che vedessero il suo sorriso sul lavoro o quei pochi fotogrammi che era in vena di mostrare. 
Che osservassero la siepe, il filo spinato, le rose adagiate poco oltre. Andava bene così, va ancora bene così.

E non lo scrivo perché tutto questo mi dia un dolore. Lo scrivo perché un post di Claudia mi ha fatto riflettere, appena ieri, e oggi da quel giardino ho voluto portar fuori un fiore.
Porto fuori fiori continuamente. Ma non permetto a nessuno di entrare e cogliere da sé.