martedì 27 novembre 2018

Tempo Delirante

Fonte: tapibend. altervista. org


Queste giornate si susseguono piene e stancanti e talvolta arrivo a sera pensando a quante cose ancora dovrei fare, trafelata, forse incapace di gestirle tutte. 
Il periodo pre-natalizio mi sfianca e già da anni, ormai, so di aver perduto quella trepidazione infantile e sognante che mi accompagnava un tempo al 25 dicembre. Sento di non riuscire a star dietro a tutto, che poi questo tutto è una scaletta probabilmente autoimposta alla quale non so sottrarmi. 
Il lavoro, la casa, la famiglia, il bucato che non si asciuga mai, i pasti da preparare, i regali da comprare, gli addobbi da mettere su. Mi sento continuamente in ritardo e mi accorgo di non riuscire a trovare il tempo necessario per quelle cose che, invece, mi piacerebbe fare. 
Tra due giorni uscirà al cinema un film che ho atteso per mesi e tecnicamente non so quando e se potrò vederlo. Durante la settimana è un corri corri perpetuo; la domenica mi sento divisa tra un piacere divenuto quasi un dovere e un bisogno di riposo che non riesco a placare. 
E' arrivato il periodo dell'anno in cui mi stanco di più e al quale accompagno dosi di stress che non sempre sono capace di arginare e tenere a bada. 
Ancora una volta mi sento completamente libera solo quando cammino. Quando nonostante l'umidità del mattino esco felice ad affrontare il mondo. Ma poi torno a casa, faccio la doccia e mi rigetto in quel caos di doveri che un po' mi schiacciano e un po' mi fanno sentire come inseguita da un branco di lupi inferociti.
E poi il lavoro, i soliti discorsi, le solite domande assillanti circa la mia vita privata, l'impossibilità di rispondere per le rime pur sentendo continuamente invasa quella sfera intima di cui ciascuno di noi non vorrebbe dover tenere conto ad anima viva. 


domenica 25 novembre 2018

#NoAllaViolenzaSulleDonne

Avevo quattordici o forse quindici anni.
Era quello il momento in cui iniziavo a scoprire il mondo, ad esplorarlo con occhi diversi da quelli dell'infanzia. 
Quel sabato pomeriggio indossai la mia prima minigonna. Me l'aveva regalata la mia cugina di Milano e lei si che era alla moda. Mica come me che mettevo sempre roba un po' bruttina che mi faceva somigliare ad un fagotto.  
Mi piaceva quella minigonna, mi faceva sentire adulta anche se ero poco più di una bambina mora con i riccioli. 
Presi un gelato con la mia migliore amica, guardai i negozi sulla piazza. Ero felice.

Fonte: toluna. com

Finito il giro mi fermò un uomo. 
Mi guardava come gli uomini che conoscevo non mi avevano guardato mai. Ero abituata agli sguardi protettivi di mio padre, a quelli giocosi degli zii, agli occhi birbanti dei miei compagni di scuola. Ma non avevo mai avuto a che fare con uno sguardo lascivo.
Mi chiese di potermi accompagnare a casa. Sorrideva in modo strano e teneva gli occhi fissi sulle mie gambe nude. Dissi di no, ovviamente.

Tornata a casa tolsi la gonna e la gettai via, preda di un turbamento che conobbi quel giorno ma con cui ho avuto a che fare tante altre volte, in seguito. Mia madre mi chiese perché stessi buttando via qualcosa che mi piaceva tanto ma io provai vergogna per quel senso di smarrimento e non le raccontai nulla. 
Non credevo fosse colpa di quel tipo, credevo fosse colpa mia e di quella gonna che avevo osato indossare. 

Quella non fu solo la mia prima minigonna, fu anche l'ultima. 
E ancora oggi, a 33 anni, ogni volta che desidero indossare qualcosa che mi piace penso :" meglio di no, meglio se lo metto quando sono accompagnata, meglio infilare i pantaloni". 
Ci sono tante forme di violenza. Far sentire una donna in boccio un pezzo di carne è una di queste. Quindi oggi, 25 novembre, anche io dico #noallaviolenzasulledonne.


sabato 24 novembre 2018

Una Mongolfiera

Ti senti un palloncino. Vedi la pancia dilatarsi come se avesse una vita propria. E poi il dolore che ti prende proprio lì, a ridosso dell'utero. Lo senti che ti schiaccia, che prende possesso di qualunque pensiero razionale. Ad un certo punto non avverti altro, del tuo corpo, che non siano quelle vibrazioni di sofferenza. 
Ogni mese aspetti il ciclo con trepidazione, poi quando arriva trascorri due giorni con la voglia di stare piegata in due per il dolore e l'impossibilità di farlo.
Devi uscire e piove.
Devi affrontare la gente che se ne frega di tutto e che pretende il massimo dell'efficienza anche quando entra senza salutare.
Devi dipingerti l'ennesimo sorriso sulle labbra anche se aprirle, quelle labbra, ti genera una frustrazione incredibile. 
Siamo donne e siamo destinate a soffrire, è quello che ci dicono fin da bambine. 
Partorirai con dolore. E anche se non vuoi partorire, un po' di quel dolore ti verrà fatto provare tutti i mesi, che non sia mai ti venga precluso. E guai a lamentarti, che tanto tra qualche giorno torni come nuova e poi pensa a chi sta peggio.
Ma vaffanculo.

Fonte: Firenze Today


domenica 18 novembre 2018

Momenti

Doveva e poteva essere una bella domenica.
Quando ci siamo svegliati faceva freddo però splendeva un bel sole ed ho affrontato le basse temperature con una sciarpa blu ed un cappottino corto. 
In autostrada abbiamo ascoltato musica per tutto il tempo e arrivati in prossimità della casa natia siamo stati accolti da un tripudio di colori autunnali che ci hanno invaso gli occhi. 

Fonte: illibraio. it

Con mamma ho preparato la pizza. Fianco a fianco, come un tempo. Raccontandoci piccoli aneddoti, profumandoci i vestiti di odori casalinghi, ricordando i tempi in cui lo facevamo almeno una volta ogni dieci giorni. E' stata una piccola grande festa, io e lei in quella cucina che ci aveva visto ripetere quegli stessi gesti almeno un centinaio di altre volte. Tanto bello come solo le cose semplici sanno esserlo.

Però poi c'è stata una lite, la prima a cui abbia assistito tra mio padre, mio fratello e mia cugina. 
Mio padre e mio fratello litigano sempre ma non capita mai di litigare con i miei zii o con i miei cugini perché si è sempre andati molto d'accordo. La nostra è una di quelle famiglie in cui ci si vuole autenticamente bene, in cui magari si discute ma non si eccede mai.
E invece oggi ho visto mio padre agire con rabbia e stanchezza.
Mio fratello tirare fuori una durezza di cui mia cugina non si era mai accorta.
E lei, che un po' ha retto e poi ha pianto.
Vederla piangere è stato straziante, mi ha lacerato qualcosa dentro. Non voglio dire che la ragione fosse dalla sua parte, penso più che fosse equamente distribuita e che non riuscissero a comprendersi, ognuno trincerato dietro la propria posizione.

Non posso prendermela troppo con mio padre che ha settant'anni e si è tenuto addosso tanti pesi che non sempre gli competevano.
Non posso prendermela con mia zia perché non c'era e perché di anni ne ha ottanta e non è più in perfetta salute.
Ma non posso fare a meno di sentirmi un po' male per le parole usate da mio fratello, parole che hanno ferito e schiaffeggiato mia cugina, che non se le aspettava. Amo mio fratello, di un amore che non saprei spiegare neanche se iniziassi oggi e finissi dopodomani. 
Ma se da una parte trovo giusto che abbia voluto difendere l'operato di nostro padre, dall'altra penso che abbia sbagliato del tutto i toni e i modi. E che dunque sia stato eccessivamente duro in un momento in cui sarebbe stato auspicabile moderarsi e tornare in carreggiata. 

Quando tutto è finito gliel'ho detto: Vai e chiedile scusa. Queste cose restano, quelle parole non se ne andranno. Ma se tu ora vai di là, l'abbracci, le dici che le vuoi bene e che sei stato superficiale ed impulsivo non recheranno troppi danni. 
Non lo farà, non lo ha fatto. E' stato un bambino testardo ed arrogante; ora è un uomo determinato, deciso, con un polso più duro di quanto occorra. 
E' rigido, per lui esistono solo il bianco ed il nero, il torto o la ragione. Non ci sono sfumature e non gli si può toccare nulla senza che diventi terribile. 
Per un istante ho temuto la sua ira. Temuto che un giorno possa scagliarla contro di me. 

sabato 17 novembre 2018

Sulla Giostra

Poco meno di un'ora fa ho letto un post di Void nel quale si interrogava circa l'esistenza o meno della felicità. Io le ho risposto d'impulso, come sempre. Senza pensare alle parole, solo gettando fuori di me ciò che penso di questo stato d'animo talmente aleatorio da aver scomodato filosofi fin dalla notte dei tempi.

La felicità esiste ma non è duratura.
E' come un lampo di luce che squarcia la notte, così vago ed incerto, pur nella sua potenza, che quando è finito ti chiedi se c'è stato davvero. 
Per questo si perseguono altre vie. La serenità, il benessere, l'appagamento.

Quelle altre vie che si perseguono non sono qualcosa di meno rispetto alla felicità.
Anzi, forse sono di più. Perché una serenità che duri per giorni interi, un benessere che permanga per mesi o un appagamento che vada oltre i dieci minuti d'orologio, sono di per sé una fortuna che non è neanche possibile quantificare.

La vita è una giostra.
O forse un'altalena.
Comunque un percorso che a volte ti porta su e altre ti fa ridiscendere in picchiata con il cuore in gola e una sensazione di polmoni strizzati ed aria compressa.
Montagne russe, scivoloni sull'asfalto bagnato, testate contro il muro. E allora si, poter contare su una serenità che duri più di un lampo di luce che squarcia la notte, dovrebbe essere la nostra massima aspirazione.

Fonte: russia-ic. com

Eppure gli esseri umani inseguono la felicità. Fanno di tutto per acchiapparla, per tenerla stretta tra le mani, senza sapere che non si può tenere stretto un bel niente.
Che non si può rinchiudere un uccellino canterino in una gabbia e pretendere che continui a cantare.
Le sensazioni, quelle davvero belle, non durano che pochi istanti. E quando sono lì, quando le hai finalmente addosso come una coperta soffice durante una nevicata, di tanta bellezza forse non ti accorgi neppure. Se non te lo stai chiedendo, se lo stai solo sentendo, allora lì risiede la felicità.
Che non durerà fino al mattino, magari. Che non tornerà presto quanto vorresti. Però l'hai avuta, sentita, annusata, assaporata. E tutto il resto sembra non valere altrettanto.
Quella serenità, quel benessere, quell'appagamento...sembrano non poter reggere il confronto.

Saggezza è forse riuscire a provare gratitudine e gioia per le cose belle che non muoiono presto come farfalle. Saggezza è forse sentirsi felici di poter provare serenità oggi, domani e dopodomani.
Essere felici dovrebbe significare questo: vivere bene anche senza adrenalina, anche senza sussulti, anche e soprattutto senza di essi.
Ma la saggezza arriva tardi o forse è destinata a non arrivare mai. E allora ci resta addosso quel desiderio di felicità che è probabilmente la più umana delle sensazioni ma anche la più sopravvalutata.

giovedì 15 novembre 2018

Cavalli Sul Bagnasciuga

Non sono scomparsa, è che mi sto godendo appieno queste giornate di beatitudine di metà novembre. 
Finora è stato un autunno ambivalente, con piogge e venti disastrosi e poi spiragli di incanto con un sole ancora caldo ed accogliente. 
Il mare è di una bellezza che travolge, che un po' mi spiazza e un po' mi rasserena. Lo guardo e mi si spezza il fiato, ma tanto vado a trovarlo da sola e non devo parlare con nessuno. Posso stare in silenzio, salutare con la testa gli altri avventori di cui ormai riconosco i visi ed il passo. Siamo abitanti discreti di uno stesso habitat, come funghi e scoiattoli in un bosco. Non dobbiamo necessariamente interagire, però siamo coscienti delle reciproche presenze e un po' ci risentiamo se manca qualcuno. 
Ho avvertito gli zoccoli dei cavalli percorrere la mia stessa strada e poi sparire di nuovo lungo il bagnasciuga. Visioni di una forza incredibile che non possono paragonarsi a null'altro, simboli incontrastati del vigore della natura. E loro sono come noi, ci aspettiamo di vederli passare al mattino, fare il bagno nell'acqua fredda e poi proseguire il giro.

Fonte: final8

Risalendo verso casa ne ho approfittato per fotografare i viali alberati, il rosso delle foglie sull'asfalto, i parchi colorati di giallo e di ruggine. E' tutto molto bello quando c'è il sole, quando le nuvole dimenticano di abitare il nostro cielo e vanno ad infastidire qualcun altro.
Sento però di dover fare in fretta. Di fare il pieno di tutte queste belle sensazioni prima che l'autunno si ricordi di essere autunno. Prima di altre piogge ed altri venti, sento che di dovermi colmare di vita e di bellezza.

domenica 11 novembre 2018

Quartieri

La via dove abito è ampia ma breve. Di fronte al mio terrazzo ci sono altre case e ce ne sono anche alla sua destra e alla sua sinistra. Proprio perché ampia, questa disposizione non ha alcunché di soffocante. Il nostro quartiere è stato progettato così per intero: regolare, con ampie strade, villette, giardini, qualche parco, le scuole. Mi piace perché è vivibile, uno di quei posti dove le famiglie possono vivere bene.

Fonte: Genius Camping Magazine

Mi affaccio sul terrazzo in questa giornata di quasi estate novembrina e girando lo sguardo vedo anche loro, alcuni dei miei vicini. Tutti troppo assorti nei propri pensieri e nelle proprie vite da poter perdere un po' di tempo a guardarsi intorno o l'un l'altro. Probabilmente è quello che faccio sempre anche io; ma oggi no, oggi voglio guardare.
E allora vedo Daniele che fuma sul balcone. E quando non fuma è al cellulare.
Vedo la signora straniera sempre indaffarata, che spazza le foglie lungo il vialetto oppure porta in casa la spesa.
I due fratelli cinquantenni anche oggi escono in balcone vestiti solo delle loro mutande blu. 
I cancelli cigolano tutti ma non c'è nessuno che si prenda la briga di eliminare quel fastidioso rumore che anche di notte squarcia il silenzio. Questa è la via dei cancelli cigolanti ed io non ho un cancello da far cigolare. 

Mi sembra così bello questo sole che rimbalza sull'erbetta e la rende più verde.
Mi sembra così bella questa strada che è una strada qualsiasi con gente qualunque, ma è la mia strada e non vorrei vivere altrove se non qui. 

E ora avrei voglia di uscire di nuovo, camminare, perdermi tra queste vie così simili e così diverse. Vedere com'è questo posto la domenica, com'è che vivono le altre famiglie, cosa fanno, cosa mangiano, come passano il tempo. 
E invece forse resto qui ad aspettare la mia amica anche se manca più di un'ora. Oppure esco davvero, con la musica all'orecchio, i pensieri che vorticano veloci nel cervello, gli occhiali da sole e una distanza così colma di vicinanza che nessuno comprenderebbe mai. 

sabato 10 novembre 2018

Sarina

Mi chiamavano Sarina ed io l'avevo quasi dimenticato.
Lo facevano tra i banchi di scuola e come molte cose di quegli anni ho rischiato di rimuoverlo. Penso poco al passato e quando succede lo scrivo qui, come se queste pagine fossero una tavola apparecchiata di bianco da imbandire di squisitezze o di cibi immondi da lanciare dal balcone.

Poi una bambina, in negozio, mi ha chiamato esattamente così. E d'improvviso, come succede con uno scoppio che ti fa sussultare, ho ricordato.
Ho sorriso, ho sentito il bisogno di dirle che quello era il diminutivo che usavano per me al liceo.
Sarina e non Saretta, non so perché, però mi è sempre piaciuto di più. Era solo mio quel nomignolo, mi faceva pensare che non ci fosse un'altra Sarina nelle loro vite.
E su quelle sei lettere i miei amici cantavano canzoni e intonavano cori.

Fonte: dazebaonews.it

Per un attimo ho rivissuto la bellezza di essere in quel gruppo. Ho rivissuto i gesti di affetto, le discussioni, la gioia di condividere momenti con quella tribù di gente. Poi i sorrisi che ci scaldavano la vita, le stupidaggini, il piacere semplice di essere insieme.
Qualcuno di loro ancora mi chiama così, ma è stato ascoltarlo dalla voce di quella bambina ad aver smosso qualcosa. E' stato un colpo al petto, un ritorno istantaneo a quegli anni.
Ho provato tenerezza, forse persino un po' di nostalgia.

La verità è che se rivedessi qualcuno di loro, adesso, forse piangerei.
Anche solo il pensiero di farlo mi scuote. Perché l'adolescenza è stata difficile per tutti e certamente lo è stata per me che non riuscivo a sbocciare, rinchiusa com'ero dietro sbarre di rigidi schemi e poi seppellita da abiti deformi che potessero nascondermi.
Però loro non avevano colpe. Loro sono quelli con cui ho pianto per la morte di Cristiano, quelli con cui sono fuggita un paio di volte, quelli i cui sorrisi mi sembravano risplendere già da lontano.
Ed è brutto che a loro abbia dato solo una piccola e ingenerosa parte di me. A mia discolpa posso dire di non essere stata cosciente, per molti anni, di avere anche altro. Altro che probabilmente gli sarebbe piaciuto di più.
Però mi hanno voluto bene ugualmente, nonostante tutto. E se li sogno spesso, se mi fa piangere l'idea di poterli riabbracciare, forse è perché mi hanno lasciato più di quanto immaginassi all'epoca. Potrei dirglielo, siamo quasi tutti su un gruppo di Whatsapp. Ma ora non avrebbe alcun senso e allora ho mandato un vocale ad Elena, e l'ho detto a lei.
Lei c'era in quei giorni e c'è anche adesso. 

giovedì 8 novembre 2018

Disincanto

Mi piace Neffa, molto.
Mi piacciono le sue melodie disincantate e decadenti, le parole che raschiano solchi, il fiorire di sentimenti spesso cupi che sembrano toccare qualcosa dentro di me. Non posso dire che sia il mio cantante preferito ma certamente, in questi anni, le sue canzoni hanno fatto da sfondo ad alcuni miei momenti di solitudine o anche solo di riflessione e contemplazione. 
Certe canzoni, talvolta, sembrano capirti. E poi descriverti, illuderti, ammaliarti, anche un pochino commuoverti. Mi piace quando la musica diventa poesia, quando trasmette un'emozione che vada al di là di essa; e quando magari travalica ricordi o sensazioni che si sono vissute, come un profumo che all'improvviso ti riporta alla mente attimi ormai sfuggiti.

Fonte: James Houston

Dammi passione 
Anche se il mondo non ci vuole bene
Anche se siamo stretti da catene
E carne da crocifissione
...
Abbracciami e non lasciarmi qui
Lontano da te
Abbracciami e fammi illudere
Che importa se questo è il momento in cui tutto comincia e finisce
Giuriamo per sempre però
Siamo in un soffio di vento che già se ne va.
(da "Passione")

Qui la melodia diventa straziante e a tratti le parole sembrano uscite da un pianto. L'idea di questi due esseri umani che si amano, che non sempre vengono compresi e che poi la vita separa e distrugge annega l'anima. Forse i momenti, tutti, andrebbero vissuti sempre con la massima intensità. Ogni istante diventa irripetibile, incerto, un terreno che si apre e che in qualunque momento ti può risucchiare via.

Non riesco a non pensare a te 
Anche quando non vorrei
Una via d'uscita anche se c'è
Sembra sia introvabile
...
Ma la notte tardi vieni qui e mi prendi le mani
Il tuo sguardo si fa serio e poi
Mi guardi e dici
Questa volta io ritorno per restare per sempre
Ma finisce che era un sogno e al mio risveglio io ti cerco e non so dove sei
....
I tuoi occhi non li scorderò finché avrò da vivere
Stai sicura che li troverei fra altri mille intorno a te
La tua voce suona dolce musica però
Quando ti sento e metto giù mi dico di non farlo più.
(da "Dove sei")

Un amore finito, una storia spazzata. I ricordi che si rincorrono, una voce che diventa martellante nella testa, due occhi che ti seguono ovunque vai. L'aria che spezza il respiro, il cuore che diventa pesante come piombo, una ricerca incessante che non porta a niente, una nostalgia che inquina ogni notte ed ogni giorno.

Entra nel mio mondo così vuoto
Fatti un giro nella mia oscurità
Se per me c'è già un destino nuovo
Un giorno prima o poi si mostrerà.
(da "Sigarette)

Chiedere a qualcuno di entrare nella nostra oscurità è forse l'atto di fiducia più grande che si possa concedere. E infatti, direi, non fatelo. Che tanto nessuno lo capirà. Più facile che venga calpestato, maltrattato, in qualche modo respinto. 

Ma finché al mondo c'è qualcuno che ci tiene a te
Ricorda, se puoi: 
Quello è il bene più grande che hai.
(da "Quando sorridi")

Verità assoluta, nulla da aggiungere. 

martedì 6 novembre 2018

Attimi Perfetti

Fonte: Bergamonews


Quando sono uscita pioveva già.
Ho imbracciato il mio ombrello come un militare fa col suo fucile e incurante di quelle nuvole scure sulla mia testa, ho acceso la musica e mi sono messa a camminare.
Avevo una splendida andatura, di quelle che ottieni quando le gambe sono apposto, le energie ai massimi livelli e la testa sgombra di pensieri.
Avevo voglia di camminare, camminare, camminare. E anche solo di uscire di casa, calpestare l'asfalto nero, essere un puntolino inconsistente in mezzo alle auto o sotto gli alberi.
Mi sono sentita purificata. E anche se speravo che la pioggia smettesse di cadermi addosso, in realtà me la sono goduta tutta, come non faccio mai. Forse merito di quel sole che non accennava a nascondersi e che si mostrava così, arrogante ma bellissimo, dietro il cielo grigio. 
Tutto mi è sembrato incantevole ed il mare stesso era un tripudio di onde forsennate che si rincorrevano colme di gioia e meraviglia. Ma anche di furore, di rabbia, di gioventù vitale e pienamente espressa.
Camminavo e sorridevo, poi cantavo, un po' mi beavo di quell'ottima forma fisica e mentale che lasciava indietro tutto il resto.
Ed è stato perfetto, semplicemente perfetto. 

lunedì 5 novembre 2018

Come Nasce Un Sorriso

Ho preso quel sorriso e l'ho messo proprio dove c'era un vuoto nel mio petto. Era meglio del caffè, del cioccolato o di una piroetta perfetta. Mi aggrappai e lo tenni stretto. 
Cecil Castellucci.
Fonte: PIxNio

Questa frase, che ho incontrato un giorno per caso, definisce in maniera perfetta il modo in cui ho smesso di indossare un volto appeso ed ho iniziato a sorridere.
E' passato un po' di tempo ormai, alcuni anni. Anni nei quali mi sono aggrappata a quel sorriso come ci si aggrapperebbe ad un salvagente l'attimo prima di affogare. Con le unghie, i denti, le braccia, le gambe, il corpo per intero. Improvvisamente compresi che la vita, imperfetta che fosse, non poteva e non doveva essere vissuta con malinconia. Che aveva bisogno di una sferzata, di un colpo di reni, di un atteggiamento diverso. 

Non fu facile; cambiare non lo è mai. Ed una persona per natura malinconica impiega tanto tempo ed un numero indefinito di energie per lasciare indietro questa parte di sé. Parte di me che non ho mai rinnegato, ma che ho smesso di rendere protagonista. In questo teatrino che è la vita possiamo essere tante cose e la decisione finale spetta proprio a noi, anche se tante volte sembra l'esatto opposto. Non c'è alcun destino a tirare i fili: io sono non solo il personaggio principale della mia storia, ma anche il regista. Se non sempre di quello che mi accade, quantomeno di ciò che voglio mostrare agli altri e del modo in cui desidero alzarmi la mattina.

Possiamo scegliere se piangerci addosso, se offrire una visione negativa di noi stessi, se vivere con ostilità tutto quello che ci accade. E possiamo scegliere anche il suo opposto: di ridere, di mostrarci come persone che pensano di farcela, di vivere ogni cosa come un'opportunità e non come un ostacolo.
Sia chiaro: quella malinconia latente e quella sensazione di non riuscire mi accompagneranno sempre. Saranno sempre in un angolo di me, pronte a spuntare fuori al minimo accenno di debolezza. Però c'è una voglia più grande di stare bene, di vivere la vita con gioia ed ottimismo, di prendere il bene che giorno dopo giorno mi viene offerto e cacciare indietro il resto.

Ecco dunque come nasce un sorriso: con la determinazione.
Non tutti veniamo al mondo con la fortuna di averne già uno stampato sulle labbra e certamente io non ero una di quelle persone lì. Però ora, parlando con chiunque mi conosca, vi potranno dire soprattutto questo di me: che sorrido sempre, che lo faccio sul lavoro e nella vita privata, che ho sempre un'energia particolare che mi accende gli occhi.
E quel sorriso e quell'energia non sono nate per caso. Non sono arrivate come una manna dal cielo. Non mi sono state regalate da altri e non le ho ricevute in eredità.
Sono doti che ho acquisito nel tempo, per cui mi sono impegnata come fa un campione per una vita intera, prima di diventarlo. Allenandomi ogni giorno, faticando, andando oltre i miei evidenti limiti caratteriali e la mia ritrosia ad accogliere gli altri.
Tuttora è un impegno quotidiano che molto spesso mi impone di andare oltre il mio sentire. Un vero e proprio sforzo che però, ve lo assicuro, mi restituisce molto di più.

E quindi, a tutti coloro che ogni mattina si svegliano con la luna storta, io vorrei dire soprattutto questo: cambiare si può. Si può scegliere consapevolmente di affrontare le cose in maniera diversa. Si può smettere di vedere tutto nero ed iniziare a percepire altri colori. Si può decidere di essere dapprima grigio scuro, poi grigio chiaro, poi arrivare a tutte le altre gradazioni cromatiche.
Si possono cambiare occhi, sguardo, percezioni.
Ve lo dice una persona che è passata anche attraverso l'autolesionismo, le ferite sulle braccia, il male di vivere. Dietro un sorriso si può nascondere qualunque dolore e se all'inizio vi sembrerà uno sforzo immane ed inconcludente, prima o poi diverrà un vero e proprio stile di vita.
Io voglio essere felice. Io posso essere felice. Ripetilo fino alla nausea, interiorizzalo, FALLO.

domenica 4 novembre 2018

Ogni Cosa A Suo Tempo

"Te lo ricordi quando potevi sbagliare?
Sbagliare il nome da tatuarti addosso;
Farti rovinare il rossetto da uno sconosciuto;
Scrivere sui muri, sul banco, sulla pelle.
Te lo ricordo quando potevi sbagliare?
Restare a parlare tutta la notte e chissene frega se la sveglia suona tra due ore;
Allargarti i lobi delle orecchie;
Farti la firma falsa sulla giustificazione;
Metterti maglie troppo grandi.
Te lo ricordi quando potevi sbagliare?
Buttarti in amori troppo complicati;
Sbattere porte;
Girare chiavi;
Scrivere "Vietato entrare in questa stanza";
Te lo ricordi?
Quando c'era solo la musica da una cassa ad urlarti che eri libero di sbagliare.
E' ancora così. Sei ancora libero di farlo".

Fonte: liberopensiero. eu

Non sono parole mie. E' il testo della pubblicità che Radiofreccia ha scelto per celebrare il suo secondo compleanno. Mi ha colpito, continua a colpirmi ogni volta che la sento.
Anche se sono tutte stupidaggini, sbagli che personalmente non avrei voglia di commettere. 
Tatuaggi, firme false, amori complicati, muri da sporcare, porte da sbattere.
Si possono realmente considerare errori, questi? forse solo futili esperienze di gioventù. Una sorta di rito di passaggio, che candidamente vi confesso di aver saltato a piè pari. Perché contava di più procedere lungo la strada giusta che non imboccare sentieri considerati incerti. 

Eppure mi accarezza l'idea di un'età in cui poter sbagliare senza conseguenze disastrose. Un'età dove imparare dai propri gesti, dove poter cadere in fallo a scopo didattico.
Dove potersi alzare la mattina e semplicemente vivere. Vivere davvero, in totale autonomia. O in totale utopia. 
Mi piace l'idea di un'età in cui rimandare il momento di sentirsi adulti. Un'età o un momento o un periodo in cui condonare le proprie sviste. Quelle cose che fai senza pensarci, solo perché è bello così.

Avrei dovuto percorrere quei sentieri quando ero ancora in tempo per farlo.
Spogliarmi di quel senso di responsabilità che ha reso ogni mio gesto impostato, falso, privo di un'autentica spontaneità.
Le feste a cui non ho partecipato, gli sport che non ho praticato, i baci che non ho dato, i ragazzi che ho rifiutato, i sentimenti che non ho espresso, le amicizie che non ho coltivato. Per troppi anni ho proceduto a testa bassa, investita da quell'increscioso bisogno di sentirmi conforme alle regole o ad una rigida metodica da "brava ragazza". Quindi meglio studiare che divertirsi, meglio chinare la testa sui libri che andare a ballare. 

Te lo ricordi?
Quando c'era solo la musica da una cassa ad urlarti che eri libero di sbagliare.
E' ancora così. Sei ancora libero di farlo.

Cazzate. Non sei mai stata libera di farlo. Mai, neanche una volta. 
Neanche per un istante hai potuto sbagliare a cuor leggero, senza sentirti sbagliata tu stessa.
E sicuramente non lo sei adesso che sei diventata grande, hai responsabilità ovunque poggi lo sguardo e  la vita si aspetta che tu righi dritto, che tu abbia una visione nitida delle cose e di ciò che è giusto.
La libertà di sbagliare non esiste. 
Per cui Radiofreccia, fammi un favore, cambia questo testo assurdo prima che io cambi definitivamente canale. 

venerdì 2 novembre 2018

Due Novembre

E' la giornata da dedicare ai defunti, ma io vivo lontana dal luogo in cui sono seppelliti i miei, per cui mi sembra doveroso dedicargli quantomeno un pensiero. 
Proprio due giorni fa ho ritrovato un quaderno sul quale, alla morte di mia zia, sfogai tutto il mio dolore e la mia rabbia. Anche all'epoca - avevo compiuto 18 anni il mese precedente - la scrittura era la mia sola terapia. 
Quando tra le pagine di questo diario virtuale scorgete un po' di negatività non preoccupatevi: molto spesso mi sto semplicemente curando. E una volta gettate le scorie mi sento meglio.
Fu così con la morte di mia zia. Per interiorizzarla mi ci vollero mesi e mesi, quaderni su quaderni. Se non lo avessi fatto avrei vissuto tutto quanto in maniera molto più tetra, accumulando sofferenza anziché elaborarla. 
Pubblico qualche stralcio di quel quaderno, per non dimenticare.

Fonte: luoghidellamemoria. com


"Sono a casa di Patrizia, a Firenze. Con me c'è anche Antonio. Loro sono meravigliosi e qui si sta bene, Andrea però ci fa dannare. Abbiamo pianto insieme poco fa, ognuno con il suo bagaglio di ricordi. Si, abbiamo pianto insieme, ma non riusciamo a consolarci. Domenica dovremmo tornare a casa ed affrontare la tua assenza. Da quando ci hai lasciati ho paura per tutte le persone che amo. Paura che possa succedergli qualcosa. Paura che mi lascino anche loro. Quando sono partita per venire qui ho salutato tutti come se non fossi sicura di rivederli. 
Ed ho la sensazione che non potrò più essere felice al 100% perché dovrò gioire di ogni conquista futura senza di te. Mi fa male anche scriverti, ma sai che è l'unico modo che conosco per nutrire l'illusione di poter ancora parlare con te. Come se queste pagine fossero un filo che ci lega, l'unica forma di comunicazione che ci è consentita. " 8 Agosto 2003.

"Siamo appena tornati a casa. Se tu fossi stata qui ci avresti accolto dalla finestra con un sorriso radioso sulle labbra, ma non è stato così né lo sarà più. Non capisco chi mi dice che sono giorni di assestamento e che poi tutto tornerà alla normalità. E' una stupidaggine, la normalità era stare insieme, parlare, a volte anche infastidirsi a vicenda. Costruiremo una normalità nuova, che magari sarà decente lo stesso, ma non sarà la stessa. 
A Firenze non sono bastate le coccole di Mario né le dolci premure di Patrizia per farmi stare meglio. Però ci siamo storditi a sufficienza, riempiendo il nostro tempo di cose da fare che andassero ad annullare il senso di vuoto. Ma ora che siamo di nuovo qui, come potremo sfuggire a queste sensazioni? Come ci si riesce?
Ho tanti momenti nei quali penso che in realtà tornerai, che esiste ancora una speranza di rivederti, che quello che è successo si possa riavvolgere. E poi vederlo sparire." 10 Agosto 2003. 

"Oggi pomeriggio è passato a trovarmi Francesco ed abbiamo parlato di te. Di quella notte di una settimana fa, martedì 5 Agosto. Ricordi i miei singhiozzi, le mie lacrime, mamma che mi portava acqua e zucchero? Te lo ricordi che non riuscivo a placarmi, che toccavo l'aria e pregavo e poi mi sembrava di toccarti? 
Fa tanto caldo qui. Miriam mi ha mandato un messaggio per andare a vedere le stelle stasera. Ma non ci vado, che tanto le stelle in cielo non ci sono." 12 Agosto 2003

"Mi fa male il cuore, il senso di perdita mi opprime e non mi lascia respirare. E' intensissimo quando siamo tutti insieme e tu non ci sei. Aspetto ancora il tuo ritorno e al contempo mi rendo conto che la mia non è ansia ma follia. Ti scrivo e sto meglio ma è un sollievo che dura un attimo, un'arma a doppio taglio. Continuo ad alimentare quest'attesa che non porterà da nessuna parte. 
Mi sento sospesa in una coltre di fumo nero che a tratti diventa nebbia. Il fumo nero mi impedisce di vedere ma quando scolorisce e diventa nebbia, scorgo quasi distintamente che è tutto inutile. Allora piango, urlo e mi dispero. E lo so che sono un'egoista. Non piango per te ma per me, per noi tutti che siamo rimasti soli. Piango perché sono costretta a vedere il dolore nei miei occhi e poi in quelli di tutte le persone che amo. " 13 Agosto 2003

"Ieri sera sono stata alla festa di Poggio Catino, come ti avevo detto. Ma è stato un completo fallimento, per tutto il tempo mi sono sentita come un pesce fuor d'acqua. La gente sorrideva, si divertiva, ballava. Ed io mi sentivo in preda all'agonia. I fuochi d'artificio coloravano il cielo ma io sentivo solo quegli scoppi assordanti, quelle botte che mi colpivano il petto ancora, ancora e ancora. Gli altri anni li vedevo lì sulla piazza e pensavo a voi, a casa, che li vedevate dalla terrazza. Sentivo di voler piangere ma avevo vergogna di tutta quella gente che non avrebbe capito. Allora ho trattenuto le lacrime, aspettando che arrivasse il momento di tornare a casa. " 16 Agosto 2003

"Domani parto per Napoli e non posso passare a salutarti. Mi sento male perché tutte le volte in cui sono andata da qualche parte c'eri tu e passavo sempre. Era un rito, un'abitudine, una di quelle cose che ti si attaccano addosso anno dopo anno e che devi fare per forza, altrimenti ti manca un pezzo e non sai come ricucirlo.
Ora è così che mi sento. Con un pezzo mancante che non so ricucire. Eri tu la sarta, eri tu che preparavi abiti bellissimi o rimettevi apposto quelli vecchi. Io non lo so fare, lo vedi che non lo so fare? 
Ogni pomeriggio ci mettevamo a fare "il catechismo" a casa di nonna. Era così che lo chiamavi. Quelle sedute interminabili di chiacchiere. E chissà dove le prendevamo tutte quelle cose da dirci, perché stavamo insieme tutti i giorni e non sempre c'erano novità da raccontare. Da nonna ci vado ancora ovviamente, mi vuole bene e io gliene voglio. Dice che è felice solo quando mi vede. Ma a dire il vero è spesso assente, confusa, quasi completamente andata. " 18 Agosto 2003

"Ero da zia Maria e zio Ciccio a pranzo, si è parlato di te e della festa per i miei 18 anni che non ho voluto fare. Dicevano che avrei potuto farla più avanti, io mi sono alzata e con voce ferma ho detto che no, non la farò. Poi sono andata via. Possibile che non lo capiscano? Possibile che non si accorgano di quanto stia soffrendo? Mamma ieri mi ha detto che la vita va avanti, ma questo per me non ha alcun senso. Certo che va avanti, ma non non nella stessa direzione di prima. Ti ho perso e sarà così per sempre, non solo nei giorni successivi alla tua morte. Non posso ricominciare da dove ho lasciato perché è tutto diverso, io sono una persona diversa. E' come se mi avessero strappato via l'adolescenza e mi avessero gettato di peso nell'età adulta, che non conosco e non capisco. So solo che ci devo stare, anche se non mi piace e mi fa male. Non posso fingere che sia tutto sistemato, perché sento che nulla va per il verso giusto. Non c'è nulla dentro me che riesca a reinserirsi nel posto giusto, in quelle caselle scombinate. Non lo capiscono, non lo vedono, non rispettano i miei tempi e il mio dolore. " 21 Agosto 2003

giovedì 1 novembre 2018

Aghi Sulla Pelle

Ore 11:41.

Piove. Piove sempre in questi giorni.
E se non piove tira un vento terribile che sradica piante e bastona le case. A volte piove e tira vento insieme, in un film dell'orrore da rivivere giorno dopo giorno, come in un loop ininterrotto.
Ve la immaginate la pioggia in mezzo alle raffiche? Aghi acuminati e freddi che segano la pelle.

E' questo l'autunno che vi piace? E' questo l'autunno poetico ed ammaliante che stavate aspettando?
E' una trappola. 
Nulla di romantico può nascondersi dietro la furia della natura.
Però vorrei davvero saperlo guardare con i vostri occhi.
Fare caso alla bellezza degli alberi diventati ruggine e non alle foglie scivolose che fanno cadere.
Annusare i profumi resinosi nell'aria senza pensare a quanto preferirei sniffare fiori delicati di mille colori. Quei teneri boccioli che spuntano entusiasti in primavera.

Fonte: vistanet. it
La gita a Bolsena è saltata, ovviamente. Impensabile mettersi in viaggio con questo tempo orribile e poi ritrovarsi a guardare l'acqua di un lago plumbeo sotto gli ombrelli. Il meteo ha scelto per me, alla fine. Ha riparato alla mia dimenticanza e quindi alle 13 di oggi sarò a pranzo dalla nonna di Fred, insieme a molti altri, come da tradizione. Devo ancora comprare i fiori e sto già pensando a quanto ne saranno felici i miei ricci, quando li sottoporrò allo stress della pioggia, dell'umidità, di queste nuvole scure sulla testa.

Ore 16:48

Finalmente a casa, ma a dire il vero sono tornata già da un po'. E' piovuto sempre, tranne quando sono andata a comprare la pianta, segno evidente del fatto che qualcuno stava facendo la grazia ai miei ricci.
Eravamo pochi, i più intimi. E se fossimo mancati anche noi credo che la nonna ne sarebbe rimasta mortalmente offesa. Quindi alla fine è andata bene così.
Abbiamo mangiato, chiacchierato, assaggiato una torta che non era niente di che.
Ero seduta vicina a lei. Con il suo bel fard pesca, i capelli tinti di fresco, il rossetto sulle labbra. Non ha più quella grinta di quando l'ho conosciuta, negli ultimi mesi sembra essere invecchiata ancora di più. Però è bella, vestita benissimo, con le perle sul collo, gli anelli alle dita.
Per uscire ci siamo barcamenati tra le pozzanghere, gocce fredde che entravano ovunque, gli stivaletti che cercavo inutilmente di proteggere. C'è allerta meteo per le prossime 36 ore, di nuovo.
E allora almeno per oggi mi rintano in casa, fingo che mi stia bene così, che non mi senta un po' in gabbia e che qualche ora di riposo non abbia mai ammazzato nessuno. Certo. Ma tutte queste energie dove le metto, come le adopero, in che modo le sfogo? Mi sento un po' come quelle tigri in cattività che si siedono davanti alle sbarre e guardano fuori.
Non sono fatta per questa stagione, ma c'è un elemento positivo: ottobre è andato e fra cinque mesi sarà di nuovo aprile.