venerdì 28 settembre 2018

Stenti

Fonte: Vvox

Sono due uomini, non ho idea di che età abbiano. Difficile stabilirlo sotto le barbe folte, ma ancora scure, e gli strati di sporco sulla pelle. 
Dormono accanto ad una grossa barca da pesca, di quelle che non si utilizzano quasi mai. Si coprono con un piumone azzurro, spesso anche la testa. Vicino ai loro corpi sdraiati, stazionano un flacone di detersivo Perlana, uno scolapasta che un tempo dev'essere stato bianco ed una pentola ammaccata. Probabile che possiedano anche qualche altro oggetto, ma dalla mia prospettiva non lo vedo. 
Hanno dormito così per tutta l'estate ma ora che verrà il freddo, mi chiedo che fine faranno. La sabbia sarà tremendamente umida, l'aria diverrà pesante come colla. Congeleranno, così ricoperti di brezza marina. 
Per la prima volta, questa mattina, ho pensato di portare loro qualcosa da mangiare.
Non l'ho fatto.
Per paura, principalmente. Il timore di svegliarli e magari venire insultata. Oppure venire presa di mira, per qualche ragione. A volte quando cammino, con gli occhiali scuri calati sul viso, provo il gusto di sentirmi invisibile. E così non è, perché sono tanti gli sguardi che mi attraversano, che mi scrutano. Però la mia sensazione, quella che ricerco quasi ogni mattina, è quella di una confortante presenza-assenza. 
In inverno sarò quasi sola lì sul lungomare. E l'idea di "essere vista" da questi due uomini, ai quali magari di me non è importato nulla sinora, mi trattiene adesso dal portargli la colazione. Verrebbe meno quell'invisibilità che scioccamente io penso di poter raggiungere. Se avanzassi un solo gesto, non sarei più una figura sullo sfondo. 

Però mi fa male l'idea di quelle due persone stese così, ora che le temperature sono cambiate e cambieranno ancora. 
Mi chiedo se posso fare qualcosa, se non ci sia qualcuno in grado di aiutarli, di dare loro almeno un pasto caldo al giorno, di potergli assicurare un letto comodo ogni tanto.
Devo informarmi, so che c'è una casa famiglia molto impegnata sul territorio, chissà che non si possa fare qualcosa per loro. Dei vestiti puliti, un bagno, magari trovargli un lavoretto che possa garantirgli quella dignità che forse sentono non appartenergli più. 

martedì 25 settembre 2018

Fine Settembre

E' arrivato l'autunno, che qui si sta mostrando in maniera ancora incerta.
Esco di casa dopo intere nottate di pioggia, con il cielo scuro e le nuvole grigie cariche di minacce. Non porto l'ombrello, vivo l'ottimismo di chi pensa che poco dopo uscirà il sole. 
I momenti che preferisco sono sempre gli stessi. Il primo in cui valico il portone, quando avverto l'immensa gioia di respirare l'aria tersa del mattino e pregustare l'intera camminata; e poi quello in cui arrivo al mare e tutto si placa e si aggiusta.

In spiaggia, a quell'ora, siamo rimasti quattro gatti. Anzi cani, con i loro padroni. Ci sono interi tratti desertici nei quali l'unica compagnia è quella delle onde che sbattono sul bagnasciuga.
Avrebbe potuto piovere da un momento all'altro ma ero sicura del fatto mio, sicura che sarei tornata a casa ancora completamente asciutta. Questa propositiva convinzione la settimana scorsa mi ha procurato venti minuti di gocce fredde addosso, che tuttavia ho apprezzato e di cui non mi sono lamentata neanche un po'.

Fonte: viagginews. com

Per il resto, voglio cercare anche quest'anno di approcciarmi al cambio di stagione con maggiore stoicismo. Attraversarlo armata fino ai denti ma col cuore in pace. Evitare di pensare a tutti i suoi inconvenienti e guardare il bello, o quantomeno cercare di trovarne uno, da qualche parte. E sempre che esista.

I chioschi stanno chiudendo, si sta smantellando un po' tutto. Ombrelloni, verande, campi da gioco, bar sulla spiaggia. E' tutto così triste e doloroso da voler chiudere gli occhi per non guardare. 
Però io guardo, non smetto mai di farlo. Catturo tutto, ogni minimo ed incerto particolare. 

giovedì 20 settembre 2018

Mi Parli Piano

Fonte: Guide Dolomiti

Ogni anno mi accorgo di arrivare all'ossessione con almeno una canzone. 
Mi entra dentro, mi sconvolge, mi si insinua dappertutto. E non so mai per quale ragione io ne scelga una oppure un'altra. Mi sembra più che siano loro a farsi scegliere. 
E allora l'ascolto a ripetizione, fino a ricordarne a memoria la melodia, le parole, le più piccole variazioni di voce. 
A volte succede anche con un cantante che non conosco o di cui non so nulla. Oppure qualcuno che solitamente non mi piace e da cui mi tengo alla larga.
Non amo quelli che strillano, ad esempio. Le canzoni urlate. Quelle che ad un certo punto esagerano,quasi vanno fuori di testa.  Eppure stavolta è così che andata. Una canzone strillata mi è piaciuta. Mi ha fatto pensare che a volte, nella vita, certi concetti vadano urlati quasi con violenza. 
Che per risultare più veri essi debbano farsi sentire davvero. Come un grido in mezzo ad una piazza silenziosa. Come un tuono che col suo fragore copra qualunque altro suono nel giro di chilometri. Come la luce di un fulmine che spezzi la monotonia di un cielo nero.
Ed è così che questa canzone di Emma Marrone è entrata nel mio cervello. Lentamente, facendomi pensare che sarebbe finita nel dimenticatoio come tutte le altre.
E invece destinata a restare, a scavarsi un posto.
Non so cosa saremmo senza la musica. Forse gusci vuoti non sempre capaci di trovare qualcosa che ci somigli in un mondo spesso assente o distratto.

La felicità è un'idea semplice
Davanti ai tuoi occhi
Tra l'aria che respiri
E quella che
Difficilmente trattieni
Abbiamo già un vissuto
Che a dire il vero
Somiglia più ad un conflitto
Il cuore spesso offeso
Da un dito che
Tu mi hai puntato al petto

Se gli occhi non riescono
A raccontarti ciò che vedi
Proverò io a dirtelo
Perché all'evidenza non ci credi

È troppo tempo che mi parli piano
Son troppi gli anni che ci conosciamo
Avremmo messo su un palazzo intero
E invece ci divide un muro
È troppo tempo che mi parli piano
O sei un ricordo lontano
È amore o solo un'ossessione

È un vento caldo
Troppo caldo che si muore
È caldo che si muore

Gioco a far la guerra
Perché l'amore
Non mi ha mai dato tregua
Ma se ti avrò di fronte ancora un'altra volta
Nel dubbio, farò la cosa più giusta
Se gli occhi non riescono
A raccontarti i miei pensieri
Proverò a descriverli un po' tutti
Anche quelli più neri

È troppo tempo che mi parli piano
Son troppi gli anni che ci conosciamo
Avremmo messo su un palazzo intero
E invece ci divide un muro
È troppo tempo che mi parli piano
O sei un ricordo lontano
È amore o solo un'ossessione
È un vento caldo
Troppo caldo che si muore

Siamo qui
Tra un passo incerto e l'utopia
Di un equilibrio ritrovato
Noi siamo qui
In un percorso parallelo
Ci tocchiamo senza mai incontrarci

Se gli occhi non riescono
A raccontarti ciò che vedi
Proverò io a dirtelo
Perché all'evidenza tu non credi

È troppo tempo che mi parli piano
Son troppi gli anni che ci confondiamo
Avremmo messo su un palazzo intero
E invece ci divide un muro
È troppo tempo che mi parli piano
O sei un ricordo lontano
È amore o solo un'ossessione
È un vento caldo
Troppo caldo che si muore
È caldo che si muore
Attento che si muore


Credits
Writer(s): ROBERTO CASALINO, DAVIDE SIMONETTA

domenica 16 settembre 2018

Oblio

Ho ricomprato la valeriana.
Una confezione da sessanta piccole pastiglie bianche.
E lo so che di pomeriggio dormirei come un piccolo ghiro che non vuole essere svegliato ma talvolta, alla sera, la troppa stanchezza o i troppi garbugli in testa, mi lasciano addosso un'irrequietezza poco compatibile con un buon sonno riposante.
E in quei casi, solo in quelli, le pilloline bianche sembrano il rimedio a tutti i mali.
Profumano di speranza, di oblio, di perdita di coscienza. Di un totale annullamento, quello cui anelo sempre a fine giornata, il solo che io possa desiderare dopo aver masticato la vita. Ed essermi fatta, a mia volta, fagocitare. 

Fonte: sulromanzo. it

Ascolto molta musica, più di quanto facessi un tempo.
Questa fuga mi ricorda mia madre, quando non aveva altra compagnia che la sua radio. Povera donna, venuta via da un sud pullulante di vita e ritrovatasi in una campagna sperduta con una suocera terribile, un marito poco empatico (all'epoca, perché poi mio padre è molto migliorato con gli anni) ed un'intera famiglia da conoscere e da cui farsi apprezzare.
Aveva queste cassette di musica napoletana che ascoltava a ripetizione. E forse pensava a casa sua, alla sua gente, a quel dialetto melodioso che la sua voce ha perduto del tutto in pochi mesi. 

Quando la ascolto io, invece, non penso a niente. A volte fermo le parole tra le labbra come se fossero caramelle di cui trattenere a lungo il sapore. 
Mi piace imparare i testi, poterli cantare. Trovare parallelismi con le mie sensazioni, col mio vissuto, con attimi perduti o pensieri incompresi. 

C'è stato un episodio, sabato mattina, che mi ha turbato.
Non ne ho fatto parola con nessuno, neanche con Fred. E non so perché sto per scriverlo qui, forse per il bisogno di portarlo al di fuori di me, esorcizzarlo, sentirmi dire che non è stato niente. Solo un momento, solo una reazione spropositata del mio corpo. 
Un signore col cane mi ha parlato, di solito ci diamo il buongiorno in spiaggia, per educazione. E perché siamo quasi i soli che calpestino il lungomare tutto l'anno, agli stessi orari. Ha l'età di mio padre.
Mi ha detto che dovrei prendere un cane anche io, che sarei un'ottima padroncina. Ho rallentato e tolto l'auricolare. Ho risposto che a me piacciono solo i gatti. E da lì ne è nata una breve conversazione, io che volevo andare e lui che continuava a parlare. Ad un certo punto ha detto che la sua cagnolina è gelosa di lui, che se tocca una persona lei abbaia. 
Mi è venuto vicino, fingeva di accarezzarmi le spalle ripetendo "bella, bella, com'è bella". Il cane non faceva una piega, in realtà, si è solo avvicinato. Non riesco a ricordare se mi abbia sfiorata davvero, ci penso e ci ripenso ma non me lo ricordo. E allora quello ha provato a toccarmi le gambe ed io mi sono ritratta come se fossi stata scottata. Mi ha detto:"non ti fa niente".
E no, il cane non mi avrebbe fatto niente. Ma quella vicinanza...la sua vicinanza, ha fatto qualcosa. Mi sono allontanata ancora, ho salutato, proseguito il mio percorso. E anche se avevo camminato meno del solito sono tornata a casa. Scossa, rabbuiata, un po' persa.
Ci penso ancora, non so perché. Magari davvero voleva solo farmi vedere la reazione del suo cane. Ma quelle mani che si avvicinavano, le mani di un perfetto sconosciuto, mi hanno turbato profondamente. Ed ora mi sento un po' più triste e sporca... forse anche un po' più sola. 

giovedì 13 settembre 2018

A Settembre

Piove.
Lo fa con lentezza, quasi con pigrizia. Appena appena, solo per bagnare un poco la strada e i primi giorni di scuola degli studenti. Li compatisco anche quest'anno. Mi prende sempre una morsa al petto quando penso ai miei giorni trascorsi dietro scomodi banchetti di legno, obbligatoriamente seduta e con la sensazione di essere rinchiusa tra le asfittiche mura di una prigione. 
E poi vederli sfilare con gli zaini pieni. Non credo che saprò mai spiegare l'angoscia che mi avvolge anche solo guardandoli. Eppure dall'esterno nessuno l'avrebbe detto mai. Andavo bene a scuola, sedevo composta, parlavo il meno possibile, facevo tutto quello che c'era da fare. E dentro ribollivo di una frustrata inquietudine di cui mi sono liberata troppi anni dopo.
Forse è per questo che non riuscirò mai ad apprezzare settembre. I ricordi del rientro in quella che consideravo la mia galera personale mi hanno marchiata troppo a fondo. 

Fonte: relaislatorre. it

Ho ritrovato dei quadernetti rosa nei quali, ancora ventenne, avevo annotato citazioni e poesie. Li ho riletti tutti, accarezzandone le copertine come se ciò bastasse ad accarezzare un po' anche di me stessa.
Questo piacere nel ritrovarmi nelle parole scritte da altri, gente più avveduta di me, non mi è mai passato. Ancora oggi scrivo aforismi su pezzi di carta che lascio ovunque. Dentro la custodia del kindle o in quella del cellulare. Tra le pagine delle agende o sul comodino.
Riflessioni estemporanee che ho dispiacere di perdere, proprio io che provo sempre una gioia incontenibile nel gettare roba inutile. E invece quella carta resta lì, pronta per essere letta di nuovo, per offrirmi nuovi spunti grazie ai quali cercare di capire me stessa, chi mi sta intorno e questo nostro pazzo mondo. 

domenica 9 settembre 2018

E' Sera

Avverto un po' di malinconia alla fine di questa giornata.
E' stata una domenica piacevole ma che non ho saputo gustarmi appieno. Ero intontita, forse non del tutto presente. Ero fisicamente con gli altri ma il mio cervello era in pausa, completamente disconnesso. Non che pensassi ad altro. E' che proprio non pensavo a nulla.

Fonte: photoshop tutorial

Ho mangiato avvertendo poco il gusto dei cibi, che pure erano certamente sapidi. 
Ho ascoltato gli altri con interesse ma avevo dentro quella sensazione di stanchezza che alla fine è culminata con un'ora di sonno su un letto improvvisato.
Ve lo dicevo qualche giorno fa che in questi giorni, se potessi, dormirei molto di più di quanto non faccia. 
Devo ancora riabituarmi al solito ritmo. Le ferie sono terminate da oltre una settimana e pur essendo di nuovo entrata nell'ottica lavorativa, sento che il mio corpo è rimasto indietro.

E' lo scotto da pagare quando ci si rilassa troppo.
Quando ci si spoglia di tutti i doveri e ci si lascia irretire dal dolce far nulla.
Sono di fronte ad uno splendido tramonto. Dieci giorni fa avrei voluto godermelo in riva al mare, scattare dieci fotografie per provare ad immortalarlo a dovere. 
Ma questa sera no. Questa sera mi basta vederlo da questo mio bel terrazzo, seduta, in balia di queste sensazioni molli. 

venerdì 7 settembre 2018

Thomas

In questi giorni soffro di una strana sonnolenza.
Alla sera mi stanco subito e dopo cena faccio uno sforzo immane per restare sveglia fino ad un orario decente. La mattina continuo ad alzarmi presto ma è una forma di violenza che faccio a me stessa, perché sento che il mio corpo preferirebbe dormire ancora un paio d'ore.

Forse il rientro al lavoro, riprendere il solito incalzante tran tran.
Oppure aver dovuto smettere dall'oggi al domani di dormire il pomeriggio. Era quello che facevo ogni giorno, quando ero in ferie. Poggiavo la testa sul cuscino intorno alle quindici e morivo due istanti dopo, senza neanche aver bisogno di girarmi. Cadevo in catalessi, semplicemente. E ci restavo per almeno un'ora e mezza, in un'estasi che rimpiango amaramente.

Fonte: G come gatto

Ho trovato quattro gattini, alcuni giorni fa. Un padrone credo ce l'abbiano, ma escono spesso a giocare dietro un ristorante sul lungomare. Uno è stato adottato subito ed ora sono rimasti in tre. Ho conosciuto anche i genitori, che vegliano su di loro con amorevole solerzia.
Di uno in particolare mi sono innamorata al primo sguardo, l'ho chiamato Thomas. E' il più reticente, il meno affettuoso. Un po' se ne sta per conto suo, quasi ti osserva con aria di superiorità. Poi si mette a giocare con gli altri e si stufa subito. Insomma, se davvero sono stata un gatto nella vita precedente, devo essere stata dannatamente simile a questo batuffolo qua.

Ho avuto il desiderio istintivo di prenderlo e portarlo con me, ma tenere un gatto in un appartamento, per giunta piccolo, mi sembra una crudeltà. Proprio io che amo stare in mezzo al verde, come posso chiedere ad un altro essere vivente di rinunciarvi?
E poi la responsabilità, l'impegno, il doversene prendere cura. Ancora una volta mi rendo conto che questi sono temi caldi, per me, e che tutto sommato la libertà di non avere altri legami resta incrollabile. Il punto fermo della mia vita, almeno per il momento.

lunedì 3 settembre 2018

Il Fiore Pastello

Da un paio di anni a questa parte ho iniziato a dedicarmi al giardinaggio.
Piccole cose, non ho un vero e proprio giardino. Solo uno splendido terrazzo.
Piante di fiori che mi rallegrino le giornate, a cui possa dedicarmi al mattino prima della camminata. E poi da guardare al ritorno, beandomi della loro bellezza.



Qualche giorno fa in un vaso pieno di fiori fucsia ne è nato uno rosa pastello.
Delicato, etereo, una diversità così prorompente da avermi colpita nel profondo.
Lo guardo e mi sento di somigliargli, di aver finalmente trovato un fiore, tra tanti altri, che sia esattamente come me.
Diverso. Non il più bello, neanche il più vistoso. Ma certamente diverso, quello che non somiglia a nessun altro dei suoi fratelli.
Quello che si rintana in un angolo, che forse si vergogna nel farsi guardare. Eppure fiero della sua diversità, fiero di essere un albino in mezzo ad una schiera di persone scure. 

La nascita di questo fiore differente mi ha indotto un mare di riflessioni. Ne ho parlato con tutti, ma di quel fiore non importa a nessuno. Importa solo a me.
So che è mio, solo mio. So che mi appartiene perché è come me.
Un gatto in un mondo di cani.
Un topolino in un universo di ratti. 
Mi sono detta: E' così che devi essere. Il fiore differente in un vaso ricolmo di fiori tutti tristemente uguali. 

La diversità va coltivata. Al di là dell'omologazione, della voglia di rintanarsi in una zona comoda e confortevole. Al di là del bisogno di sentirsi compresi o apprezzati.
Tante volte, fin da bambina, sono stata guardata come se fossi strana. Come se le mie scelte o i miei pensieri non fossero abbastanza allineati da sembrare giusti. Io stessa guardavo i miei compagni, già all'asilo, chiedendomi perché non somigliassi a nessuno di loro. 
Ed ora, quello che mi sembrava un limite insormontabile, mi sembra un punto di forza di inestimabile valore. Non ho bisogno dell'approvazione altrui. Non mi interessa più di stare dalla parte della ragione. Non voglio essere compresa a tutti i costi, né spiegare nel minimo dettaglio ogni mio ragionamento. 
Tutti i miei limiti vanno a delimitare ciò che sono e seppure un giorno non volessi superarli, sarebbe solo a me che dovrei tenerne conto.