lunedì 30 luglio 2018

Vecchi Amici

Quando poco più di due settimane fa ho trascorso tre giorni a casa della famiglia per la perdita di mio zio, ho evitato di starmene rintanata in casa per tutto il tempo. Non volevo lasciarmi travolgere dai ricordi, dal senso di smarrimento, dagli echi di voci lontanissime che non avrei ascoltato più. Neanche dal pensiero di quell'ultimo attimo insieme. Quando accarezzandolo in viso, mio zio mi aveva chiesto se avesse la barba lunga. No, era un gesto d'amore disinteressato, gli avevo risposto.

Il sabato sera sono dunque uscita con mio fratello, mia nipote e il suo ragazzo. Siamo andati a mangiare fuori, presso una bella terrazza con vista sulla parte vecchia del mio paese. E arrivata lì ho incontrato la mia ex collega. Ci siamo abbracciate commosse, siamo rimaste e parlare per oltre dieci minuti. Dice che mi nominano ancora in negozio, sia i clienti che loro stessi. Mi ha fatto capire che gli manca la mia presenza, le mie risate, quel senso di leggerezza nell'accogliere le persone.
E mentre ero lì ho rivisto due amici di scuola. Con uno di loro ho percorso quasi tutta la mia vita scolastica, dall'asilo in poi. Con l'altro ho condiviso pomeriggi di studio matto e disperatissimo tra battute cretine ed una voglia di essere altrove che è inutile persino raccontare. Ci sentiamo spesso su un gruppo Whatsapp in piedi da tre anni e mezzo ed è forse il filo diretto più bello che potessimo aprire per tenerci tutti in contatto.

Fonte: madameblatt. it

Ieri mattina, mentre andavo a trovare i miei, mi sono fermata con Fred in un supermercato della zona. E mentre sceglievo le pesche più belle ho incontrato la sorella di colui che è stato, per molti anni, il mio migliore amico. Compagno di banco, di scemenze, di racconti, di confessioni. Ci siamo abbracciate, baciate, strette. E ci siamo raccontate un po' di noi.
La sera quel mio vecchio e carissimo amico mi ha cercato su Facebook ed abbiamo parlato un po'. La sorella le aveva raccontato del nostro incontro e lui ha sentito l'esigenza di contattarmi, avendo saputo che non lo avevo dimenticato.
E' a Torino adesso, si occupa di sicurezza ed investigazioni. Ha una fidanzata bella e dolce che sta imparando ad amare, nonostante le difficoltà di lasciarsi andare dopo tante delusioni. E' ancora il solito pazzo a cui piace scherzare ma con quella profondità che dall'esterno non intuiresti mai. Ritrovarsi, dopo tanti anni, è stato un colpo al cuore. Di quelli belli.
Perché con C. era un'amicizia bella, autentica, fraterna. Quando ho perso in pochi mesi tre persone care, tra cui Cristiano, lui mi è stato vicino più di chiunque altro. Anche se non eravamo più nella stessa classe, da tempo. Lui aveva cambiato scuola e alla ricreazione lasciava i nuovi compagni per venire da me. Attraversavamo i corridoi come due cospiratori. Ricordo ancora di quella volta in cui mi raccontò la sua prima volta, che forse non sarebbe stata la stessa cosa se non l'avesse condivisa con me. 
Io non so se questa è una nuova possibilità per riallacciare quello splendido rapporto. La distanza è tanta e tante le cose che non sappiamo l'una dell'altro. Però l'ho sentito emozionato, felice, ancora adolescente. Ed io ho sentito che quella parte della mia vita esiste ancora, che non è andata persa per sempre.

venerdì 27 luglio 2018

L'Egoismo è un Difetto?

Da alcuni giorni mi interrogo sull'egoismo, forse perché Francesco mi ha messo la pulce nell'orecchio con un suo post. Parliamo di un commento di una riga e mezza all'interno di un post ben più ampio, eppure a volte capita che un così breve contenuto possa accendere maggiori riflessioni di un intero trattato. Soprattutto se quelle parole arrivano in un contesto di pensiero già ampiamente sviscerato dentro di sé. 
Anche il titolo voleva essere diverso. Stavo per scrivere L'Egoismo è un Peccato?, quando mi sono detta che neanche nel peggiore dei miei incubi avrei voluto attribuire un'accezione religiosa e cristiana ai rimescolamenti che avverto dentro. E allora la domanda resta: L'Egoismo è un Difetto?


Fonte: medicinaonline. com

E' sbagliato pensare prima a se stessi e poi al resto del mondo?
Un errore anteporre le proprie esigenze a quelle di tutti gli altri?
Ci dicono che dobbiamo volerci bene, amarci, accettarci per come siamo, evitare di annullarci per gli altri, restare sempre fedeli alla nostra identità. Per poi credere che tutto questo equivalga ad essere freddi, scostanti, privi di empatia e solidarietà. 
Egoista è colui che subordina l'altrui volontà e gli altrui valori alla propria personalità. Ed io non riesco a leggerlo come un errore, da nessuna angolazione in cui lo guardi.

Mi sta a cuore il benessere delle persone che amo. In alcuni casi mi è stato più a cuore del mio. Ma nella maggior parte dei casi, dei giorni, dei momenti...penso di dover necessariamente anteporre i miei bisogni e la mia felicità a quella del resto del pianeta, perché nulla può essere mio quanto me stessa. E perché ritengo di poter dare il meglio solo nel momento in cui mi sento serena e soddisfatta. Il momento in cui non ci sono pendenze, dubbi, rancori, dispiaceri, rimpianti da gestire.
E' quella la condizione in cui amo meglio e in modo più energico: quello in cui sto bene, in cui avverto il mio centro, lo riconosco, gli attribuisco un valore potente.

E invece passa questo messaggio che per amare profondamente si debba in qualche modo limitare se stessi, mettersi un po' da parte, rinunciare, togliersi qualcosa. Che per me significherebbe essere infelice, cambiare la mia personalità, plasmarmi ad immagine di qualcun altro che non sono io.
Si, signori, io sono una donna egoista. E forse è per questo che non penso avrò mai un figlio. Lo amerei pazzamente ma per lui dovrei rinunciare a svariati pezzi di Sara, limitarmi, togliermi un po' di quella libertà che mi sta tanto a cuore. A lui dovrei pensare come primo gesto del mattino e ultimo della sera. E a lui dovrei stare dietro costantemente, abnegandomi ad una causa che tutto sommato non mi appartiene e forse non mi apparterrà mai.
E allora perché non riesco a scendere a patti con tutto questo? Perché c'è una vocina dentro di me che giudica se stessa, che mi fa sentire un poco difettata? Come uno di quei capi che non possono essere immessi sul mercato per un'etichetta cucita male o un filo fuori posto. Un capo perfetto nel colore e nella consistenza, ma con quel minimo insignificante difetto che lo faccia scartare, mettere da parte.
Ad un uomo non si rimprovera di non volere figli, alle donne si guarda come a delle scriteriate. Eppure io vedo tante donne con prole che scapestrate lo sono state davvero, perché non abbastanza adatte a ricoprire un ruolo di tale portata.
Fare un figlio non è uno scherzo, non è un gioco. E' una responsabilità quotidiana alla quale si dovrebbe pensare in modo molto più profondo di quanto si faccia. Però poi le superficiali siamo noi, quelle che non se la sentono, che ritengono di non potercela fare.

Bisogna che io ammetta che i bambini mi piacciono, e anche molto. Un po' come mi piacciono gli anziani. Li coccolo, me li stringo addosso, sento il cuore tremare di tenerezza quando mi prendono per mano. Ma l'idea di dover legare la mia vita a doppio filo con uno di essi, uno mio, mi sembra così immensa e totalizzante da non riuscire a concepirla come qualcosa di realizzabile, qualcosa che si possa davvero desiderare.

L'Egoismo è un Difetto? Forse si. Ma è un difetto che non cambierei per un pregio. Perché quel pensare a me stessa per me è pura autoconservazione. E' un istinto che prevale su tutto, un marchio a fuoco sulla pelle, un ricordarmi tutti i giorni che le cose e le persone che adesso io amo forse passeranno, ed è con me che dovrò restare sempre.

venerdì 20 luglio 2018

33

Tutti gli anni scrivo qualcosa per il mio compleanno. Lo faccio anche per altre ricorrenze, ad onor del vero. Forse, pur non essendo un tipo nostalgico, sento di dover fermare il tempo per un secondo, guardarlo più da vicino, in qualche modo celebrarlo se non posso comprenderlo. 
Oggi di anni ne compio 33. Che mi sembra un numero assurdamente grande, ma che forse alla fine non è poi nulla di che. A 15 anni consideravo anche più che adulti i trentenni. Oggi sono i nuovi ventenni. Non così maturi, indipendenti e totalmente svezzati da potersi creare un posto solido nel mondo. Che poi: esistono davvero posti solidi? o ce ne sono solo di scivolosi, fatti di ripide salite dalle quali si può cadere da un momento all'altro? sono più propensa per questa seconda ipotesi.

Fonte: aktuelno24. com


E insomma oggi compio 33 anni e come ogni anno da qualche tempo a questa parte ho iniziato a sentirmi soffocare già alla metà di giugno.
Sento che la vita scorre troppo in fretta per poter essere compresa. Sento che mi sfugge dalle mani questa gioventù, senza che abbia perso il desiderio di leggerezza che forse avrebbe dovuto contraddistinguere altri anni e non questi.
Avrei dovuto sognare la libertà a 20 anni e invece allora ero una pesantona che si affacciava nel mondo con tremila valori da onorare ed un senso di responsabilità che mi ha schiacciato pian piano, senza che me ne accorgessi. Mi sento diversa adesso, ed è indubbio che io lo sia. 
Sento di dovermi venerare come su un altare. Sento di dovermi volere bene, di un bene che nessuno me ne vorrà mai uno uguale. Sento di voler vivere, di volermi emozionare, di voler cantare a squarciagola e ballare fino a sfinire le gambe. Sento di dover lavorare per vivere e non vivere per lavorare. Sento che c'è ancora un mondo intero dentro me stessa da esplorare, da tirar fuori piano piano, come un mago con il suo cilindro. Sento di voler sentire, di volerli usare tutti questi 5 sensi per catturare il mondo e percepirlo più intensamente. 
Sangue, anima, corpo, mi sento più terrena e concreta che mai. 

E si, soprattutto sento di essere diversa dalla trentatreenne convenzionale. Che sogna l'abito bianco, o che magari l'ha già indossato. Che vuole vedersi col pancione o che magari l'ha già visto più volte. Che vuole fare carriera o che magari l'ha già avviata. 
Diversa, non peggiore né migliore.
Diversa, non più superficiale né più profonda.
Diversa, semplicemente me. 

giovedì 19 luglio 2018

Distesa

In questo momento dovrei star facendo altro.
Ho due stanze da pulire al piano di sopra. Un pranzo da organizzare. Una lavatrice da impostare. Una recensione da scrivere. Delle foto da scattare. Il tutto prima di andare a lavoro, unito a qualche altra cosuccia. 
E invece me ne sto qui, sul letto, senza pensare a nulla che non sia il fatto che sto qui sul letto beata come se fossi in vacanza. Con il mio bel vestitino a fiori, le gambe nude, lo smalto rosso sulle dita dei piedi, i capelli vaporosi appena lavati. 
E lo so già che poi penserò di aver perso tempo, di non essere stata efficiente e sbrigativa come al solito, di essermi crogiolata inutilmente. Però in questo momento, che magari saranno solo pochi istanti o al massimo mezz'ora, di nulla mi importa tranne che di essere qui distesa.
Come se fosse un premio. Ma un premio per cosa, non lo so. 

Fonte: art-plus. com

lunedì 16 luglio 2018

L'Urlo

Stamattina rientravo dalla mia seduta di camminata. Sudata, stanca, comunque vibrante di vita.
C'era un'auto dei Carabinieri parcheggiata sotto casa loro. Ricordo di aver pensato che fosse un po' strano, ma di non averci badato granché.
Poi sono salita in casa, Fred era in piedi tra il bagno e la cucina. Era bianco in faccia, con un'espressione smarrita che non coinvolgeva solo il viso, ma il corpo per intero.
:- Per fortuna non c'eri.- Mi ha detto.
:- Quando?-
:- Alle sette. E' morta la neonata dei vicini, mi hanno svegliato le urla.-

La neonata dei vicini. La bambina di cui abbiamo visto solo il fiocco appeso alla porta, quando ieri siamo tornati a casa. Doveva essere nata in uno dei giorni in cui sono stata via.

Fonte: oggidonna. net

Ho sentito la disperazione colpirmi per intero. Un urlo straziante invadermi la testa, mentre la bocca restava silenziosa. Quando sono partita quella bella ragazza mora aveva ancora il pancione. Si muoveva a fatica, accaldata. La vedevo aggirarsi per il giardino con i lunghi capelli tirati su ed un'espressione tutto sommato serena.

E adesso? come si può sopravvivere a questo dolore? Non riesco a smettere di pensare a quella pancia colma, poi ad una bambina che gli era finalmente arrivata tra le braccia. E dunque la morte, il crollo, la devastazione. Una vita che cambia in pochi secondi, una tragedia che spazza via i suoni, i pensieri, le parole, tutto quanto. 

Quando qualcosa di tanto brutto accade mi capita sempre di pensare agli attimi prima. Quelli ancora normali, quelli in cui non si ha la percezione di quello che sta per succedere. Un attimo prima sei una persona qualsiasi che vive un'esistenza normale e quello successivo sei finito dentro un baratro con la distruttiva consapevolezza di non poter riavvolgere il nastro. Non puoi tornare a quei momenti normali perché niente sarà più come prima. 

Lungo tutta la via ora c'è un silenzio spettrale. Il tossico non urla, sua madre non risponde. I cancelli si aprono e si chiudono senza fare rumore. Solo i cani, ignari, abbaiano senza ritegno.

sabato 14 luglio 2018

Tre Giorni

Sono a casa dei miei da un paio di giorni. 
Per il funerale, certo. Ma anche per rassettare i pensieri. 
Che quando succedono cose di questo genere, all'improvviso, si rischia sempre di perdere la bussola.

Sto dormendo, più di quanto dormissi a casa mia.
Il silenzio è dalla mia parte, di giorno si sente solo il frinire delle cicale. Di notte, neanche quello. 
Avevo dimenticato il silenzio. Quello che ti avvolge, ti riempie, ti circonda, ti si adagia addosso come una coperta. 
E allora ieri pomeriggio ho dormito beata per un'ora. Oggi, per due. 

Fonte: greenstyle. it

La mattina mi alzo presto, piena di energie. Stamattina ho svegliato mio fratello alle sei e venti per andare a camminare. Si è risentito, me lo rinfaccia ancora, tuttavia si è alzato e mi ha accompagnato alla Riserva Naturale. Ho fotografato l'acqua, le piante, il riflesso del sole che tutto colpisce e fa divampare. E' stato breve, per i miei standard, però breve è sempre meglio che niente. 

Mi manca Fred. Che oggi, per il terzo giorno, sta lavorando per 14 ore accollandosi anche i miei turni. Mi manca stenderci assieme la sera. Mi manca il suo sorriso, la sua presenza, il suo esserci. E dentro sento il senso di colpa per averlo lasciato da solo a fare tutto. 
Lui mi ha detto vai ed io l'ho fatto, ma il desiderio di riabbracciarlo, domani, è di una forza indomabile che non so descrivere. 

Stasera esco, vado a mangiare una pizza. Saremo solo in quattro, una piccola combriccola di giovani allegri. Poi calpesterò le vie del mio paese, quello in cui mi sentivo soffocare in adolescenza e che mi aveva riaccolta più adulta.
Ora mi sento soffocare di nuovo, e non penso potrei resistere qui per un tempo maggiore a questo. Mi manca il mare, mi manca quella brezza, quel moto ondoso. 
Però sto bene. So che il mare è sempre lì, ad aspettarmi. E che sarà meraviglioso tornarvi, come se fossimo stati separati per un mese, e invece saranno solo tre giorni. 

giovedì 12 luglio 2018

Pianto Antico

"L'albero a cui tendevi
la pargoletta mano
il verde melograno 
da' bei vermigli fior;
Nel muto orto solingo
rinverdì tutto or ora
e giugno lo ristora
di luce e di calor.
Tu fior de la mia pianta
percossa e inaridita
tu de l'inutil vita
estremo unico fior.
Sei nella terra fredda
sei nella terra negra
né il sol più ti rallegra,
né ti risveglia amor."
Giosuè Carducci.

Fonte: aliexpress

Ti ricordi di quando da bambina mi facevi giocare con le ombre, e disegnavi coniglietti sul muro che invano cercavo di catturare? O di quando recitavamo insieme questa poesia che ci piaceva tanto. E le lucciole di maggio, le tue massime di vita che mi accompagnano ancora. Quel sorriso impertinente, le ciliegie di cui facevamo scorpacciata insieme sotto l'ombra degli alberi. Non erano perfetti quei momenti?
E' un giorno triste, questo qui. E' il giorno in cui sei andato via, zio del mio cuore. 

Da tanti anni eri un uomo diverso da quello che mi aveva preso in braccio neonata. Avevi perso l'allegria, poi la salute, infine la speranza. Avevi perso tua moglie dopo un mese e mezzo di agonia. Non c'era più quella luce negli occhi, quello sguardo birbante di chi ne pensa sempre una. Eppure dentro di me è sempre così che ti penso. Felice, spensierato, ardente come un sole d'agosto. 

Doveva succedere, prima o poi. Succede a tutti. Ma questo non mi impedisce di essere triste, di sentire dentro questo dolore che mi scava in zone che neppure sapevo di avere. 
Scava e poi svuota. 
Ho la testa che è un groviglio di pensieri che non comprendo e non so se esiste un modo per allontanare gli eventi negativi, quando capitano. Forse li si può solo vivere, mettendo i remi in barca e sforzando le braccia a più non posso. Attraversare il fiume, chiudere gli occhi per non vedere. Oppure aprirli per ricordare tutto, per non tralasciare alcunché.

Se avessi la fede penserei che adesso tu sia in un posto migliore. In riva ad un placido lago. Oppure su una montagna a guardare giù. 
La zia che ti prende per mano, che ti sorride, che un po' ti rimprovera per averla fatta aspettare tanto. Ma neanche in quel caso smetterei di piangere, perché chi resta è egoista, e le lacrime non si possono asciugare tanto in fretta. 

martedì 10 luglio 2018

13

Quando ti ho conosciuto eri un ragazzino di 22 anni.
Io non ne avevo neppure 20 e tutto nacque da una risata che poi divenne un insieme di risate. Che diventarono sguardi, e poi timidi abbracci e baci al sapore di menta. 
Quante litigate ci siamo fatti. Quante volte ho pensato che per stare insieme avremmo dovuto scalare insormontabili montagne. La distanza, principalmente, ma anche e soprattutto la difficoltà di tenere a bada due caratteri così diversi. 

Da quel primo giorno insieme sono passati 13 anni. 13 anni che festeggiamo oggi, separati da turni lavorativi inconciliabili. E non voglio essere nostalgica, non voglio neanche pensare a tutti quei passi a volte lenti e a volte veloci che abbiamo fatto per arrivare a questo giorno qui.
Non è mica un traguardo questo. Forse è solo un trampolino di lancio. Per oggi, per domani, per il giorno dopo ancora. Per tutte quelle cose che ancora vogliamo e possiamo fare insieme. 

Dico solo che mi piacerebbe spianare quelle rughe che ti vengono quando pensi al lavoro. 
Che mi piacerebbe saper soffiare via le preoccupazioni, i malumori, lo stress.
Che mi piacerebbe essere in un angolino dentro di te quando invece mi sembra che stia pensando a tutt'altro. 

Io lo so di essere cambiata molto in questi anni. Ma sei cambiato anche tu, sai?
Non siamo più quei 2 ragazzini ingenui, la vita ci ha resi differenti. Ha reso me meno chiusa e te più serio. Mi sento in continuo divenire, come se ogni giorno diventassi qualcosa di diverso dal precedente. Si dice che la vita sia proprio così, un'evoluzione impercettibile ma sostanziale. E a volte mi viene in mente che questa nuova me che mi nasce dentro giorno dopo giorno possa non piacerti più, possa essere troppo lontana da quella che hai conosciuto tu. Timida, impacciata, con l'autostima sotto i piedi. Ora sono una donna consapevole di sé, una donna che cammina in modo fiero. 

Fonte: sanistatic. it

Tu mi piaci anche adesso. Che pure ridi meno di un tempo, che hai sempre qualche pensiero che ti passa dietro gli occhi. 
Mi piace ancora il tuo odore, il tuo corpo, mi piace ancora nascondermi dentro un tuo abbraccio. E ti ricordi, che prima di te io non sapevo neanche abbracciare? Te lo ricordi di quante volte mi chiudevo a riccio, tu mi prendevi le mani e mi obbligavi a tenertele intorno? Ci volle una pazienza infinita per farmi capire che non mi sarebbe accaduto nulla di male nel lasciarmi cullare. Però tu quella pazienza l'hai avuta e forse è stata la cosa più bella che tu mi abbia donato.
Pazienza è dedizione. Si è pazienti solo con chi si ama davvero. Si aspettano solo le cose che desideriamo in modo intenso. Che in un mondo così veloce, tutto il resto lo si getta indietro.

Io non voglio gettarti indietro. Io ti voglio sempre affianco. Cammina con me, ancora.
Ti amo. 

venerdì 6 luglio 2018

Asfissia

Sto rimpiangendo giugno, le sue giornate fresche, il vento del mattino, il sole tiepido.
Da una settimana a questa parte siamo sommersi da un'afa che stordisce, che toglie il respiro, che non consente refrigerio neanche sotto la doccia.
Camminare sta diventando più faticoso. Ho anticipato ulteriormente le mie uscite, ma dopo pochi istanti sono già grondante di sudore, le braccia che appiccicano, gli occhi spiritati.
Continua ad essere una stagione strana, che non parte. Al mattino c'è molta meno gente dello scorso anno e anche oggi il cielo minacciava pioggia, pur avendo portato soltanto una terribile calura. E' tutto un po' fermo nella sua fissità. Si è in attesa di qualcosa che non sappiamo bene cosa sia. 
Le ferie, forse. Quel momento in cui tutto si ferma e non bisogna più pensare al caldo, alle persone che si lamentano di ogni cosa, agli orari da rispettare, alle imprese titaniche da compiere ogni giorno per mandare avanti tutto quanto.

Fonte: notizie. it

Si, camminare è più faticoso con questa umidità alle stelle. Però è ancora l'attività che più mi rende euforica. Quando le mie gambe lavorano, instancabili, sento che tutto torna al suo posto. Che i pensieri scivolano via con le gocce di sudore, che il mare lava via tutto, che il cielo è lì per me, a contenere il mio spazio senza farmi soffocare. 
Torno a casa stravolta, ma con la sensazione di aver compiuto ancora una volta qualcosa per me stessa. E per me sola. 

lunedì 2 luglio 2018

Ero Timida

Poco fa, ma anche sabato, parlavo con Pier-ef-fect, sul suo blog, di timidezza.
E ho ricordato stralci di vita che forse avrei preferito lasciare da una parte, perché essenzialmente non mi fecero bene. 

Sono stata una bambina molto timida, forse in modo patologico. Ero sempre vissuta in campagna, rinchiusa in quella bolla di solitudine che mi aveva reso tranquilla ma anche insicura.
A scuola non era tutto questo spasso. E la mia timidezza veniva spesso vista come qualcosa di sbagliato, un elemento contro cui combattere.
Alle elementari andò tutto bene. Alle scuole medie ricordo una lezione incentrata su di me. Ebbene si, l'oggetto ero io. La professoressa - la mia preferita, poi - chiese alla classe di aiutarmi ad uscire da quella impasse. E allora tutti dissero la loro. Qualcuno mi definì apatica, qualcun altro troppo chiusa per poter costruire un rapporto.
Quelle parole mi scavarono dentro uno sconforto che non saprei raccontarvi, soprattutto ora che sono passati tanti anni e quella bambina è solo un ricordo lontanissimo al quale penso ormai davvero di rado. Provo tenerezza nel tornare con la mente a quei giorni lì. Quei giorni in cui anche solo attraversare un cortile mi faceva sentire sotto esame. 

Fonte: spazio-psicologia. com

E poi una volta, al Catechismo. Quel bastardo mi fece alzare davanti a tutti per dimostrare che sarei diventata rossa in un attimo, perché troppo timida per affrontare gli sguardi di una ventina di coetanei. Voleva che cantassi una canzone. Proprio io, che cercavo di parlare il meno possibile, che avrei voluto essere invisibile, che avrei solo desiderato di poter scomparire.
Fu una cattiveria immotivata ed ingiusta. Che non fece bene a me, ma forse fece sentire figo lui. Il catechista. Un carabiniere fannullone che era finito lì chissà come. 

La timidezza è invalidante. Ti fa percepire gli eventi e le persone come da dentro una bolla. Ti senti escluso perché troppo insicuro per pensare di poter vivere normalmente, come tutti gli altri. Impari a coltivare una vita interiore che non mostri a nessuno, che puoi solo custodire da qualche parte dentro di te. E giorno dopo giorno si sedimenta, a tratti diventa ingestibile.

Sono cambiata a ventidue anni, iniziando a lavorare. 
Ho sempre lavorato con la gente e non potevo fare altro che uscire dal bozzolo. L'ho fatto pian piano, con le unghie e con i denti, perché era il momento di reagire e diventare grande.
Provare ad espormi davvero, a tirar fuori un po' di quel carattere che avevo sempre trattenuto. 
Ora che la timidezza è solo un ricordo, mi chiedo come abbia fatto a viverci attraverso per buona parte della mia vita. E' stato un germe, un dolore, una malattia. E' stato come nascondersi dietro spesse tende di velluto per celarmi agli sguardi altrui.
Una protezione, certo, ma anche una coltre inattraversabile, per me, e inaccessibile per gli altri. So di aver sprecato del tempo prezioso ma so anche che non è giusto provare rabbia per quella ragazzina.