mercoledì 28 febbraio 2018

Al Voto


Di politica io ho sempre letto ma parlato poco. Perché purtroppo è uno di quegli argomenti che tende a farmi infervorare, che tirano fuori l'inevitabile peggio di me.
Anche quando ne sento parlare in negozio conto fino a dieci per evitare di dire la mia. Mi mordo la lingua, guardo il soffitto, evito di ascoltare e soprattutto di ribattere. Lo faccio da sempre, ancora da prima che in un negozio ci entrassi per lavorare.
Mi conosco abbastanza da sapere che non sono in grado di sostenere una conversazione normale, senza ribollire come il pentolone di una strega che prepara veleni. 

Perché? perché la politica non è cosa astratta. Non è qualcosa che ci coinvolga da lontano, sullo schermo di una televisione come un bel film. 
Non è qualcosa da cui ci si possa esimere di avere un'opinione.
La politica determina le vite di noi tutti, in un certo senso le gestisce. E proprio per questa ragione mi pesa come un macigno non avere un candidato premier da apprezzare, da ritenere giusto e genuino, da seguire con fervore. 
Mi distrugge pensare di essere a pochi giorni dal voto e non sapere ancora quale casellina barrare. Perché non c'è qualcuno che mi dia pensieri giusti, che mi faccia sentire parte di qualcosa, di un sentire comune. Nessuno che desideri vedere al Governo. So chi non voglio assolutamente ci salga, ma non ho idea di chi sia meglio mandarci. E questo pensiero, questa incertezza, mi rende estremamente irrequieta.


domenica 25 febbraio 2018

Decisioni

Fonte: donnaclick. it

Quando vendi una casa, in un certo qual senso vendi anche i ricordi che essa contiene. O questo è quello che si pensa quando si decide di farlo, quando si compie quella scelta irrevocabile.
Se le case potessero parlare, quante storie racconterebbero. Di nascite, di amori, di liti, di lacrime, di profumati cibi, di conversazioni, di memorie che magari siamo stati i primi ad annegare. Pezzi di vita incastrati tra le maioliche della cucina e le assi di un letto stanco. 

Ho pensato a tutto questo e a molto di più quando mio padre, con aria sconsolata, mi ha annunciato che dopo una vita lì sta pensando di vendere la casa in cui siamo cresciuti. Dislocata in aperta campagna, tra il rigoglioso verde delle colline ed un famigerato nulla, pensa che in vecchiaia gli sarà più d'intralcio che di aiuto. 

Voleva che gli dicessi cosa ne penso. Voleva che lo fermassi, forse. Che dessi voce a tutti i suoi pensieri, al garbuglio che deve avere in testa, ai mille ripensamenti che sono sicura abbia avuto già. Mia madre non è completamente d'accordo ma non dissente perché si rende perfettamente conto che a livello logistico è questa la scelta giusta.
Ma è una scelta che non tocca il cuore. Che anzi lo massacra, lo riempie di botte, lo fa sanguinare.

Farà male a ciascuno di noi, forse in modo diverso, forse invece fin troppo simile. Ci vorrà molto tempo, non sarà cosa immediata.
Però il fatto che abbia pronunciato quelle parole ha un qualcosa di epocale. Perché tra il non voler neanche concepire un cambiamento simile e poi prenderlo in stretta considerazione ci passa un mondo intero e mio padre non è uomo che faccia le cose senza pensare.

Voleva che gli dicessi cosa ne penso. Ma non l'ho fatto.
Perché non ne sono stata capace, perché dentro avevo un mare di incertezze che si prendevano a pugni e una fitta di dolore che già partiva e che arriverà a destinazione quando il fatto sarà compiuto. Forse sarò pronta per pronunciare parole giuste la prossima volta che li vedrò. Ma oggi no, oggi devo metabolizzare.
E poi proverò a convincerli a venire più vicini, che spostarsi dalla campagna al paesello non avrebbe senso alcuno. Resterebbero soli comunque. Che vengano qui, così che io possa andarli a trovare anche tutti i giorni. 

sabato 24 febbraio 2018

Ricordi Sulla Bilancia

Ieri pensavo che sono passati esattamente dieci anni da quando il mio cervello si è inceppato e ha deciso di smettere di mangiare. Dalla mattina alla sera, quasi completamente.
Quattro mesi di stenti, a sognare di notte il cibo che durante il giorno mi precludevo. Mi sembra ancora di sentire il dolore alle gambe per quelle proteine che il mio corpo stava mangiando da se stesso, perché non gliene fornivo più. 
Tutti quei capelli persi, alcuni dei quali mai più recuperati.

Fonte: oroscoponaturale. it

Se non avessi avuto vicino i miei genitori sarei morta. O mi sarei ammalata più seriamente. Se non ci fossero stati loro a controllarmi, a spaventarsi, ad andarsi a sfogare con la dottoressa. Se non mi avessero imposto di mangiare, se non mi avessero imboccata mentre piangevo, se non avessero chiesto a Fred di controllarmi quando stavo con lui.
Ho avuto una fortuna incredibile perché diversamente da tante altre persone, dietro di me c'era una famiglia dalle spalle larghe che mi stava addosso. Che si curava di me, che si preoccupava, che mi vedeva stare male e che decise di reagire al posto mio. 
Con fermezza, determinazione, obbligandomi a tornare in carreggiata. 

Quanto tempo ci è voluto prima che guarissimo, tutti quanti? 
Quanti anni ho passato a vedere mia madre guardarmi nel piatto, a controllare che le mie porzioni non fossero troppo esigue?
Devo tutto alla mia famiglia. Al loro amore, a volte persino asfissiante, ma comunque presente. 

Tutto sommato, il mio rapporto col cibo è ancora complicato. A volte tolgo, a volte aggiungo. Ancora lo amo e ancora lo odio. Però sono in salute. Quando decido di mangiare meno Fred mi controlla e si accerta che non mi privi dell'essenziale. Mi guarda come se fossi già perfetta così, come se non avessi realmente bisogno di controllare le calorie sfiorando, talvolta, l'ossessione. Mi posso vedere attraverso i suoi occhi e capire che non sono affatto male, che quei chili di troppo non ci sono più, che potrei essere più magra ma che non sono grassa. 

Il problema, talvolta, sono le persone. Quando mi dicono:"Ti stai sciupando? sei dimagrita?". Perché a me non fa piacere. A me fa pensare che mi osservino, che mi pesino con gli occhi, che se si accorgono di piccolezze simili forse vuol dire che ero troppo, che il mio corpo era ingombrante più di quanto sembrasse a me. 
Quanti pensieri stupidi, non è vero? La mia dottoressa, madre di una figlia con gravi disturbi alimentari, mi disse che una mente anoressica non guarisce mai. Che c'è sempre un pensiero latente, una reminiscenza, un tarlo che batte sul legno. 
E tenere questi ricordi con me mi fa bene, perché mi fanno capire dove non devo più arrivare. Il limite da non valicare mai più. 

mercoledì 21 febbraio 2018

Sotto La Pioggia

Alla fine questa mattina sono uscita con la pioggia.
Non era cosa voluta, di solito se piove evito persino di mettere il naso fuori dalla porta.
Però le previsioni meteo dicevano tutt'altro, io mi ero svegliata un'ora prima rispetto alla sveglia ed ero ormai già abbastanza vigile da fare colazione e vestirmi. Non mi restava che dare una parvenza di decenza alla camera da letto e poi uscire. 
Ha iniziato a piovere subito, di una pioggerellina leggera che guardando verso il mare ho pensato sarebbe finita presto. C'era chiarore, mi sono illusa che si sarebbe espanso al punto di scacciare le nuvole. Sono tornata indietro, ho preso l'ombrello, sono uscita di nuovo. 

Fonte: Libero Blog

La musica mi arrivava attutita, forse avrei potuto persino spegnerla e non sarebbe cambiato nulla. Mille pensieri mi attraversavano folli la mente e non mi importava di quel bagnato sotto le scarpe, né delle gocce che cominciavano ad arrivare ben oltre il mio ombrello.
Tutto d'un tratto però la pioggia ha iniziato a cadere più forte, la sentivo entrare nelle scarpe. Ho avuto una di quelle Epifanie che descrivono nei libri. Mi sono accorta, in quell'istante, che ero distante da casa, a piedi, da sola, sotto un clima avverso.
Mi è salita una tristezza indescrivibile, atavica, di quelle che mi venivano quando andavo a scuola, fuori pioveva, ed io mi sentivo imprigionata dentro un copione scritto da altri. Odiavo quella malinconia che mi saliva addosso, che prendeva possesso di ogni mia cellula e la riempiva come un otre. Fino a farmi sentire colma, satura, esausta. 
Mi sono sentita sola, un puntolino in mezzo alle auto indifferenti. E allora ho fatto dietrofront e sono tornata a casa, sebbene sentissi il corpo troppo in forma per battere in ritirata. 
Ho camminato solo per cinque miseri chilometri, tanto da non sentire neanche la fatica. 
Ho provato nostalgia di Fred, anche se ci eravamo salutati da poco. Sentito nostalgia di un abbraccio, di una carezza, del suo amore autentico e puro. 
Ecco perché detesto la pioggia, perché mi tira fuori un dolore che in altri casi neanche so di avere. 

domenica 18 febbraio 2018

Due Pezzi

E' una domenica lenta, piovosa, di relax.
Di quelle che tanto detesto in estate, quando ho solo voglia di muovermi e di vivere. Ma che ora, in questa giornata fredda, mi si adagia addosso come una coperta calda.
Ho dormito un po' di più, mi sono vestita con calma, ho fatto colazione con la solita radio accesa. Qualche giro di mattina, un pranzo cinese scegliendo tra le pietanze più leggere.
E ora relax. Scrivo, leggo, mi riscaldo. 
Con la voglia di non pensare a nulla, neanche a questo lunedì che è già dietro l'angolo, ad attendermi. 
Anche la primavera è dietro l'angolo. 
Immagino già il momento in cui riapriranno i chioschi sulla spiaggia, quello in cui arriveranno i primi turisti ed io potrò anticipare le mie uscite. 
Rimpiangerò la solitudine sul lungomare di questo lungo inverno? mi mancheranno i nostri preziosi tete a tete? O sarò così felice del tepore sulla pelle da non considerare la presenza di altra gente lì dove prima eravamo una manciata scarna di persone? E' l'aspetto sul quale non voglio soffermarmi, quando penso alla stagione calda.
E oggi...beh, oggi voglio solo rilassarmi. Riposare, ricaricare le pile, restare al caldo. Tutto il resto vorrei che restasse fuori da quella porta, come un ospite indesiderato.

Fonte: dolomitidizoldo. it

Eppure mi torna in mente un discorso ascoltato al ristorante cinese: parlavano di matrimonio. Di una cerimonia da organizzare, di fotografo, abito, bomboniere, viaggio. Ho chiuso gli occhi come se ciò potesse bastare ad allontanare da me il pensiero che è così che ci si sposa, solitamente. Con una grande festa, un gran baccano, un grande sperpero di denaro. Con tanti invitati, una lista di nozze, un make up d'eccezione.
Ma ormai quando sento parlare di matrimonio mi viene l'orticaria. Perché credo di averlo desiderato molto un tempo, anche se in modo del tutto diverso da quello sopra descritto.
Mi sarebbe piaciuta una cerimonia civile intima. Io, lui, poche persone, quelle giuste. Senza parenti che non vedi mai, senza un pranzo di quindici portate, senza il classico abito bianco né il complessino che suona.
Un anno fa lo volevo davvero. E forse c'è una piccola parte di me che lo vuole ancora, che intimamente desidera quel rito civile scarno e privo di frasi retoriche e melense che non mi appartengono. Forse, però, ho smesso di crederci. Ho smesso di credere di poterlo avere davvero. Smesso di credere che due firme su un registro possano realmente aggiungere qualcosa ad un rapporto che non vorrei diverso in alcun caso.
Perché amo le nostre risate, i nostri sguardi complici, le nostre cazzate, i nostri momenti di allegria. E quando guardo le coppie sposate intorno a me, magari con prole, vedo tanta più tristezza. Una sorta di rassegnazione, di malcontento che gli serpeggia addosso. Non per tutti, ma per molti.

E allora forse, durante quest'anno appena trascorso che mi ha tanto cambiato, ho capito che non voglio essere legata a qualcuno per la vita da qualcosa di differente dall'amore.
E che probabilmente ciò di cui avrei bisogno non è di un matrimonio, ma della sicurezza che lui possa essere con me qualora dovessi stare male. O di poter fare lo stesso con lui qualora disgraziatamente accadesse la stessa cosa.
Non desidero coltivare il pensiero di Fred attaccato a me perché questo dice la legge, ma perché mi sta scegliendo giorno dopo giorno. Senza vincoli, senza obblighi, senza nulla di diverso da quello che abbiamo già.

Lo so, doveva essere un post differente, ma alla fine è diventato questo. Accettiamolo per quello che è e chiudiamola qui.

venerdì 16 febbraio 2018

Barche in Mare

Dopo due mesi di stenti, oggi finalmente i pescatori sono tornati in mare.
Sessanta interminabili giorni ad osservarlo dalla spiaggia, senza poter uscire. Affranti, un po' abbattuti, forse preoccupati. Non li ho mai visti ridere. 
Eppure non hanno mai smesso di lavorare, instancabili. Erano sempre lì, presto, con il freddo che gli congelava le mani e i volti. Sempre vestiti come se dovessero uscire, pur sapendo che sarebbero rimasti a riva.
Avevano tanto da fare anche con le barche ferme. Pulivano, aggiustavano qualche pezzo qui e lì, riparavano reti. Ma soprattutto guardavano il mare, intenti a catturarne ogni particolare, incapaci di essere in un posto diverso che non fosse quello.
Una vita dura, faticosa, a combattere con il clima, con il vento e con la fortuna. Non mi ero mai sentita così vicina a qualcuno che neanche conosco prima di quei giorni. Ho sperato che potessero tornare in acqua, che quelle giornate di mare in burrasca lasciassero il posto ad un clima più quieto. 

Fonte: IoArte. org

E' accaduto stamattina ed ho provato sollievo. Sulla spiaggia non erano rimaste che poche barche, ma le altre erano finalmente in mare, alcune così vicine alla riva da poterle fotografare indisturbata. 
Questi non sono uomini che hanno fatto una vacanza e oggi tornano a lavorare. Queste sono persone che hanno faticato anche quando non hanno guadagnato alcunché. Gente che non ha approfittato della sosta forzata per dormire, per riposare, per trascorrere più tempo con le famiglie. 

Faceva molto freddo stamattina, le mani si sono ghiacciate subito, il naso arrossato sembrava volersi staccare. Ma è sempre bello esserci, sempre bello sentire il corpo riscaldarsi e gli occhi guizzare dappertutto come se questi non fossero luoghi già conosciuti, come se li vedessero per la prima volta. Con lo stesso stupore, la stessa magia. 

giovedì 15 febbraio 2018

Un Moderno Olocausto

Il sogno di questa mattina è di una stranezza tale che neanche mettendomi d'impegno, riuscirei a cavare un ragno dal buco. 

Fonte: sostudenti. it

Mi trovo a lavoro, entra una bella signora bionda che desidera acquistare quattro caramelle per il figlio. Si accorge di non avere denaro, provo l'impulso di dirle che può prenderle ugualmente e pagarle il giorno dopo ma lei si ritrae, sorride, esce.
Torna qualche istante dopo con suo marito, un ragazzo biondo vestito di verde. Prendo le caramelle, gliele incarto. Se ne vanno.

Cambia la scena, ora ci troviamo in una sorta di casermone grigio. Lui risulta essere una sorta di agente delle SS. Non sorride mai, è di una rigidezza che stona pesantemente col carattere (forse falsamente?) solare della donna.
Fuori dall'edificio c'è una sorta di fattoria ma è tutta contornata da filo spinato. Ora io sono una giornalista polacca e lì vedo cose indicibili. Anzi, non le vedo ma so che avvengono. C'è tanta gente malvestita e smunta, persone che hanno subìto violenza, che probabilmente verranno uccise. 
Cerco di caricare più bambini possibili nella mia auto ma le ruote sono impantanate nel fango e non so se riuscirò ad uscire. Nel cuore sento la paura di non farcela ma gli occhi dei bambini mi implorano di portarli via di lì, da quell'inferno.
Un agente chiude un occhio, finge di non vedere il mio tentativo di fuga, forse vuole persino aiutarmi. Però il sogno finisce e non c'è alcun seguito. 

martedì 13 febbraio 2018

Facili Bersagli

Certo sarebbe bello se la gente prima di esporre un'opinione non richiesta contasse fino a dieci. O magari, semplicemente, rinunciasse in partenza.
E' proprio necessario ragguagliare il mondo del proprio pensiero su qualunque cosa? Proprio necessario dire la propria anche e soprattutto su ciò che non si conosce? E soprattutto, non sarebbe meglio pensare ai fatti propri piuttosto che esprimere un parere sulla vita di qualcun altro?

Fonte: Focus Junior

Lo so, sono tutte domande retoriche. E magari qualche volta siamo stati noi i primi a comportarci in questa maniera, sotterrando il tatto e l'umanità e ritrovandoli per caso quando è stato qualcun altro a calpestarci. Forse fa parte dei difetti universalmente attribuiti al genere umano quello di sparlare o tirare fuori argomentazioni sgradevoli a chi ci ascolta. 
Sbattergli in faccia il nostro spiacevole pensiero di punto in bianco, senza che se lo aspetti. 
Eppure, se anche fosse un difetto comune, ugualmente non lo accetterei. Mi è difficile comprendere da qualche parte sorgano certi pensieri e la ragione per cui li si vuole rigettare fuori senza darsi la pena di pensare che chi li ascolta potrebbe rimanerci male. 

Oggi mi è capitato uno dei tanti episodi che non valgono neanche la pena di essere raccontati. Una cosa da niente, tutto sommato. Sparata fuori da un cliente per il quale non ho mai provato la benché minima simpatia ma che ho sempre trattato con educazione, come faccio con tutti. Una persona che passa in negozio molto di rado, al quale non ho mai dato confidenza, di cui non conosco neanche il nome.
Insomma, una di quelle conoscenze superficiali come se ne hanno tante. 
Ebbene, a suo dire sto con il mio compagno per interesse. Una frase tirata via all'improvviso, senza che vi fosse una ragione apparente se non la voglia, forse, di divertirsi, provocare, fare il "simpatico".

Interesse per cosa, poi? lavoro come tutti, conduco una vita priva di lussi, non mi faccio mantenere né mi sono fatta sposare. Ma il tizio queste cose non le sa, appunto perché non ci conosce e non sa nulla di noi. Eppure, nonostante tutto, ha espresso un giudizio non richiesto e totalmente fuori luogo. 
Avrei potuto mandarlo a quel paese? ne avrei avuto tutto il diritto. Però ho preferito far finta di niente, farmi scivolare addosso le sue parole sgradevoli come se non fossero mai state pronunciate. E si, ancora una volta ho pensato a quelle cose che ho scritto nell'incipit di questo post. 

Probabilmente sembra che io sia arrabbiata ma in realtà la mia è semplice amarezza perché questo lavoro, che pure mi piace e talvolta mi gratifica, mi espone come un bersaglio facile alle frustrazioni della gente. Siamo figurine da colpire con la pistola in un poligono di tiro. 

sabato 10 febbraio 2018

La Notte Dentro

Fonte: amenteemaravilhosa


Arrivo all'ultimo giorno lavorativo di questa settimana mortalmente stanca. Sfinita. Come se un carrarmato mi fosse salito sopra e avesse fatto su e giù incurante di quello che sarebbe rimasto di me, sotto i suoi pesanti cingoli. 
Le uscite del mattino presto, senza badare al gelo né alle prime inesorabili avvisaglie di questa stanchezza, devono avermi prostrato più di quanto pensassi. E' passato di poco il mezzogiorno e sento che gli occhi vogliono già chiudersi in un sonno totale, privo di suoni, di voci, di un rumore qualunque. 
C'è il sole anche oggi, fuori. Ma sento che è notte dentro, che mi pesa l'idea di dover reggere ancora un intero pomeriggio in mezzo alla gente. In mezzo alle chiacchiere, alla musica, agli sproloqui, a chi vorrà più attenzioni di quante oggi sia disposta a darne.
Sento di avere le pile scariche. Di aver spento l'interruttore e di non saper trovare il modo di riaccenderlo prima di iniziare il mio turno. Ho paura di queste ore che mi separano dalla fine della giornata. E l'idea di dovermi alzare presto anche domani mi sbatte a terra. 

venerdì 9 febbraio 2018

Sole Sul Viso

Dopo giornate di tempo grigio, finalmente questa mattina è tornato un sole splendido. Le temperature restano rigide, più che a gennaio, ma a me interessa solo che in cielo non vi siano nuvole a disturbare il mio umore. 
Mi sono alzata presto, con una voglia di uscire che rasentava il ridicolo. Sapevo che sarebbe tornato il sole, che avrei trovato la mia condizione climatica ideale per uscire a camminare. Il gelo mi ha schiaffeggiato il viso non appena ho messo la testa fuori dall'appartamento, ma erano meravigliosi quei raggi che si fondevano alle nuvolette di fiato congelate dal freddo. 

Fonte: Boorp


Prima di arrivare al mare ho trovato nuove impalcature di lamiera che presto ospiteranno fiumi di cartelloni elettorali. Non posso credere che manchi così poco tempo al voto, quando ancora mi sento così impreparata, indecisa, insicura. Detesto la sensazione di dover votare il meno peggio, perché mi piacerebbe scegliere con ardore, con passione, con fede e fiducia. Apprezzando un'idea, un modus operandi, condividendo dei valori.

Riflettevo che quello che mi manca, qui, è solo un'amicizia. Uomo, donna, non importa. Qualcuno con cui parlare, con cui ridere e scherzare, a cui raccontare sensazioni, pensieri, gioie, speranze. Fred è la mia ancora e il mio amore, ma non può essere l'unica persona con la quale avere un rapporto di scambio. Quelli di lavoro non li conto nemmeno. Tante parole, tanti discorsi, ma resta lavoro. Con mio cognato parlo, di tanto in tanto, ma è difficile provare fiducia per qualcuno che non si riesce a stimare a tutto tondo. 
E del resto non sono una persona che sappia fare amicizia con una persona qualunque, solo per riempire un vuoto. Ho bisogno di qualcuno da riconoscere, un'anima affine, con cui vada a crearsi un feeling autentico. 

Dicevo, mi piaceva stamattina quel sole sul viso. Ancora una volta mi ha dato la sensazione che non conta quanto duri l'inverno perché a un certo punto arriverà comunque la primavera. Mi scalderà le ossa, il cuore, le gambe. La sentirò addosso come brezza di mare e potrò uscire di casa poco dopo l'alba, prima ancora che la città si svegli.

giovedì 8 febbraio 2018

I Fiori di Sanremo

Io ci provo a seguire il Festival di Sanremo. Sul serio.
Nonostante la mia quasi totale incapacità di concentrarmi su qualcosa che non mi cattura, nonostante questo spettacolo sia sempre troppo uguale a se stesso per suscitarmi anche solo una briciola di stupore.
Insomma, nonostante tutto la sera, quando torno stanca e sfatta dal lavoro, io ci provo ad accendere Rai Uno nella speranza che questo Festival possa regalarmi un'emozione. Anche una sola, ma fatta bene. Fosse anche solo per dare un senso all'obbligo di dover pagare il Canone tutti gli anni nonostante il mio unico rapporto con la televisione sia quello di spolverarla.

Fonte: Aboutgarden

Claudio Baglioni mi piace. Mi piace la sua voce, mi piacciono alcune sue canzoni. Ma sul serio lo avrei apprezzato mille volte di più se invece di salire sul palco a fare un mestiere non suo si fosse attenuto a dirigere il dietro le quinte. Ti hanno nominato direttore artistico? fai bene quello e accontentati. Come presentatore è così ingessato che si nota lontano un miglio che non è il suo posto. Un uomo che ha passato la vita a cantare come può prendere, in età più avanzata, di fare bene qualcosa di completamente differente? 
Lo hanno criticato per i ritocchini facciali ma quelli a me non interessano. E' il suo viso, ci faccia quel che vuole.

Michelle. Bella, look splendidi, capace. Ci sa fare, questo è innegabile. E la promuovo in toto. Non ci fosse stata lei probabilmente sarebbe stata una totale disfatta e invece la trovo in grado di catturare l'attenzione. Ha verve, ha parlantina da vendere, ha un sorriso che non si stanca mai di mostrare. 

Vogliamo poi parlare di Favino? Affascinante, elegantissimo, moro. E già per queste tre sole ragioni gli perdonerei anche una strage a mano armata, qualora decidesse di farne una. Pensavo se la sarebbe cavata appena, del resto anche lui viene da un mondo diverso. Tutto sommato, invece, mi ha sorpreso. La sua presenza lì mi piace, non la trovo forzata né artefatta.

Le canzoni. Dio Santo. C'è da addormentarsi un giorno e risvegliarsi dopo tre anni. Magari riuscirò a cambiare idea, ma per il momento vedo tutto di un piattume allucinante. 
Tra i giovani mi ha sconvolto Mirkoeilcane. Mi ha commosso per la storia di dolore che racconta ma anche per la straordinaria somiglianza con Faletti ed il suo "Signor Tenente": quel modo di cantare che è più una narrazione, una preghiera, il rendiconto di un evento reale e tangibile che ti dà i brividi.
Per quanto riguarda i Big sento di dovermi fare ancora un'idea precisa, forse nulla mi ha ancora colpito. 
Aspetto il venerdì per i duetti, poi tirerò le somme su quanto sia stato piacevole o snervante seguire anche quest'anno una simile Odissea. 

martedì 6 febbraio 2018

Sfumature

Un tempo, neanche troppo lontano, pensavo che la vita fosse tutta in bianco e in nero. Che non ci fossero gradazioni intermedie, che i vari grigi fossero solo un bianco un po' sporco o un nero sbiadito.
Ero un'estremista, una di quelle persone che credono nei valori assoluti, nei massimi sistemi, nell'assenza di vie di mezzo. Avevo una risposta per tutto, spesso basata su principi del tutto astratti, ma nei quali credevo ciecamente.

Fonte: pensierando. it

Poi sono cresciuta, forse invecchiata.
E ho capito che la vita è un susseguirsi di sfumature e che persino l'arcobaleno per arrivare da un capo all'altro si serve di un range di colori diversi. 
Questo mi ha inevitabilmente portato a non credere più neanche nelle favole. All'amore perfetto, al principe senza macchia e senza paura. Ai genitori impeccabili e privi di debolezze terrene. Alle amicizie senza mai uno screzio o un accenno di rabbia. Al lavoro fatto di sole soddisfazioni.

Non ci credo più, semplicemente. E quasi mi chiedo come abbia fatto a ritenerli possibili un tempo, mere utopie di una visione distorta e addolcita di una realtà che col sogno ha spesso poco in comune. 
Non ci credo più perché non penso più all'imperfezione come ad un difetto di fabbrica. Mi sono liberata di un peso: quello di ritenermi valida solo se completamente integra e coerente. 
Adesso mi piace l'idea di poter cambiare idea, di non dover seguire a tutti i costi una rettitudine infinitamente rigida dentro la quale la mia natura si sentiva schiacciata ed oppressa. 
Voglio amare chi mi è intorno concedendo loro la stessa possibilità: quella di essere fallibili, imperfetti ma non sbagliati. 
In tutto questo girovagare di riflessioni penso che la vita, in fondo, sia molto più bella proprio perché vissuta in mezzo a quei colori lì. E che le sfumature di un carattere siano proprio ciò che ci rende meravigliosi, unici, straordinari nella nostra mutevolezza. 

sabato 3 febbraio 2018

Il Sisma m'ha Scosso

Il terremoto ti cambia, è inevitabile.
Ho sentito un tuono, la finestra ha oscillato e l'ho scambiato per il boato prima del disastro. Le pupille dilatate, la tachicardia che si è fatta velocemente strada nel mio petto.
Lo sguardo di Fred, che non capiva cosa mi stesse succedendo. Poi le sue rassicurazioni, quando dentro era già arrivata la paura accompagnata dal sollievo di capire che non era successo niente, che stava solo avvicinandosi un temporale.

Fonte: stateofmind. it

E' incredibile come certi eventi ti si cristallizzino dentro e siano destinati a non uscirne più. A restare rintanati lì, come in attesa di saltare su. All'improvviso, quando meno te lo aspetti. Come una di quelle malattie silenti che non si manifestano per anni ma che poi tornano appena abbassi le difese.

E' successo da più di un'ora e mi vergogno nel dire che non mi sono ancora calmata.
Ho ancora tutta quella paura addosso, anche se pure il temporale è finito ancora prima di cominciare. La sensazione è stata così vivida, intensa e risoluta che il cuore non si placa ed io mi sento così sciocca perché dovrò prendere un calmante per dormire.

venerdì 2 febbraio 2018

Di Sera

Mi piaccio di sera, con il viso struccato, gli occhi languidi, le labbra distese.
Mi piaccio quando mi spoglio, quando faccio la doccia e non penso più a niente. Quando torno me stessa, libera dalla divisa nera del lavoro, dal rossetto, dal mascara, da quelle maschere che mi difendono dal mondo ma che poi non servono più, una volta rientrata alla base.
Mi piaccio di sera perché sembro una bambina con i riccioli scuri. Indifesa, vulnerabile, delicata.

Fonte: lamenteemeravigliosa .it

Mi piaccio quando torno inerte, dopo una giornata a correre ovunque. Quando smetto di parlare, di voler ballare al ritmo della musica, quando la pianto di fare mille cose insieme. 
Mi piaccio quando mi stendo, magari con un libro sulle ginocchia, e pian piano gli occhi mi si chiudono e resisto il più possibile al sonno ma poi l'accolgo come una liberazione.
Mi piaccio quando mi rannicchio con le gambe sotto le coperte, come un bambino nella pancia della madre. O quando mi approprio di tutto lo spazio nel letto e Fred è costretto a rintanarsi in un angolo minuscolo e lo fa senza emettere un solo fiato di protesta.
Mi piaccio in silenzio, quando dormo e non sogno. Quando il rumore del vento è al di fuori della stanza e non mi sfiora. Quando riesco a vivere in una bolla, distaccata da qualsiasi cosa che non siano queste pareti che di giorno sembrano starmi strette ma che di sera tornano ad essere il rifugio ideale. 
Mi piaccio di sera perché posso smetterla di contare le ore e finalmente chiudere i pensieri e liberarmene, quasi non fossero mai esistiti, quasi somigliassero ad un vago ricordo.

giovedì 1 febbraio 2018

Un Anno a Camminare

Seriamente: non pensavo che un giorno avrei mai scritto questo post.
Non pensavo che sarei durata un anno, che sarei stata in grado di coltivare questa abitudine fino a farla diventare una dipendenza, una così importante parte di me.
Non pensavo che mi sarebbe piaciuto, che sarebbe divenuto un pensiero fisso e costante, che lo avrei amato come si ama il cielo terso e privo di nuvole e poi i fiori di un bellissimo giardino. Non pensavo, non ci speravo, non lo credevo.
E invece eccomi qui, a festeggiare un anno a camminare quando mi sembra siano solo passati pochi giorni. 

Fonte: greenme. it

Un anno fa è iniziata una nuova vita, una vita migliore, più piena e gratificante.
Perché quando esco a camminare sento che tutto va per il verso giusto, che l'aria mi ossigena i pensieri oltre che i polmoni. Sento che le mie gambe non aspettano altro e che tutto il corpo ne beneficia. 
E' tutto così intenso che a volte mi viene voglia di piangere perché ho la sensazione di non aver mai provato qualcosa di simile: l'aspettativa, poi le gambe in marcia, il sudore dietro la schiena, gli occhi che guizzano dappertutto, i capelli che svettano ovunque, la musica che invade le orecchie, lo stress che mi abbandona insieme alle negatività.
Credo di aver contratto la migliore dipendenza di sempre, l'unica capace di offrire vantaggi invece che disagi.
C'è un solo problema: se mi dicessero di smettere ne morirei. Perirei come una splendida rosa che a poco a poco appassisca fino a diventare polvere.

Camminare è diventato un pezzo fondamentale della mia esistenza e quando non lo faccio mi sento infelice come un cucciolo bastonato. Mi gratifica, mi fa sentire forte, mi aiuta a condurre una vita più sana e piena. E' una droga, una droga che mi fa stare così bene da chiedermi costantemente perché diavolo non abbia deciso di iniziare prima.
E chi voglia leggere i benefici fisici che ho riscontrato in questo primo anno a svolgere questa piacevole attività, può farlo cliccando qui.