giovedì 30 novembre 2017

Speranze

Caro Babbo Natale,
anche stavolta ti scrivo un po' in anticipo affinché tu abbia tutto il tempo di pensare se e come esaudire i miei desideri.
Lo so, quest'anno non sono stata molto meritevole delle tue attenzioni. Ad un certo punto del mio percorso mi sono persa e ci è voluto del tempo affinché ritornassi in carreggiata. Ho fatto del male a qualcuno che mai se lo sarebbe meritato e nel mio cuore c'è un buco enorme e sanguinolento che mi ricorda, giorno dopo giorno, il dolore che gli ho provocato. 
Nonostante questo ti scrivo comunque perché, in fondo, non è per me che ti chiedo un regalo. Non ho realmente bisogno di un profumo nuovo né dell'ultimo rossetto uscito. E anche se nel mio blog ufficiale scriverò una lista giocosa di confezioni che mi piacciono, sappi che è solo per divertirmi che lo farò. E che, in realtà, di quelle cose io non ho bisogno. 
La vera lettera è questa. Quella cestinala senza neppure aprirla. 

Fonte: blueberryytravelcompany. com

Fred sta sempre male. Ed il lavoro che svolge non gli consente neanche di potersi mettere a letto e semplicemente dormire. O potersi riguardare come fanno tanti altri, facendosi prescrivere anche più giorni di malattia di quanti realmente gliene occorrano.
Lui non può e tu lo sai.
Ed è un dolore costante vederlo arrancare sempre. Io amo questa persona più di quanto ami me stessa e l'idea di lui che tossisce per una notte intera o che non digerisce nulla senza stare male, si fa ogni anno più gravosa. 
Per il 2018 ti chiedo una salute nuova di zecca, per lui. Ti chiedo di vederlo stare bene, con il sorriso sulle labbra, fare tutto quello che fanno gli uomini giovani della sua età. Ti chiedo che la cura che sta facendo dia i suoi frutti e che non debba più stare continuamente in tensione, a corrodersi quello stomaco già così malandato. 
E se potessi anche raddrizzare un po' mio cognato e mettergli finalmente la testa sulle spalle, beh, anche quello sarebbe davvero molto apprezzato da questo lato del globo. 

Non deludermi, io aspetto davvero che tutto questo succeda. Che i miracoli accadano, almeno a Natale.
Sara.

martedì 28 novembre 2017

Cielo Terso

Fonte: frammentidiviaggi. blogspot. com

Quando questa mattina sono uscita a camminare faceva decisamente freddo.
Per un attimo ho pensato che sarebbe stato più comodo restare a casa e dormire un'ora in più anziché farmi schiaffeggiare il volto dall'aria gelida. Fortunatamente ho scalzato via subito quella tentazione insapore, mi sono alzata e vestita un po' più del solito e poco dopo ero già fuori.
Anche se le gambe non erano particolarmente in forma, sono riuscita a scaldarmi in breve tempo. Arrivata al mare ho sentito che anche questa volta avevo fatto bene a vincere la pigrizia, perché lo spettacolo che mi si offriva davanti era a dir poco incantevole. 
Il cielo era terso e limpido, il mare cristallino. Non una nuvola ad increspare l'azzurro che mi sovrastava né un'onda più alta a rovinare la distesa d'acqua. 
Poca gente in giro, solo un cane nero rabbioso che infastidiva un runner e che non rispondeva ai richiami del padrone. Sono un po' stufa di questi cani lasciati liberi di fare bisogni sulla sabbia o sulle aiole, liberi di rincorrere gente che al mattino vorrebbe solo fare un po' di sport in santa pace. Senza un collare, un guinzaglio, una museruola.
Ci sono cagnolini adorabili che non danno fastidio a nessuno ma ce ne sono altri che sono tutt'altro che tranquilli. Non trovo giusto dover uscire con il pensiero di incappare in uno di loro, con i soliti padroni menefreghisti che spesso fanno finta di nulla e che volgono lo sguardo quando è il momento di raccogliere escrementi o di richiamarli all'ordine.

lunedì 20 novembre 2017

Granelli

Da bambina pensavo che la vita adulta avesse un solo pregio, quello di non dover andare a scuola. Tutto sommato lo penso anche adesso. 
Ho vissuto quegli anni come appesa ad un macigno. 

Sono sempre stata una bimba tranquilla ma dentro avevo un vulcano pronto ad eruttare. Sentivo addosso un'immensa responsabilità di portare a casa buoni vuoti, di far contenti i miei genitori, di renderli orgogliosi. E a scuola sono sempre andata bene. Non per scelta, non perché mi piacesse, non perché la ritenessi importante. Studiavo per dovere e lo facevo come se da ciò potesse dipendere qualunque altra cosa. Mi impegnavo tremendamente togliendo alla mia vita una serie di cose che mi avrebbero distolto dall'obiettivo. 
Io non ero una secchiona. Ero una bambina e in seguito un'adolescente che studiava per paura di fallire. 


Odiavo dover entrare in quell'aula. Odiavo le interrogazioni, i compiti in classe, gli esercizi alla lavagna, i pomeriggi spesi ad imparare la lezione del giorno dopo. Odiavo la sequela di mesi che dovevo trascorre facendo la brava. Seduta composta, in silenzio, ascoltando spiegazioni interminabili. Proprio io che ho l'attenzione di un neonato e che facevo una fatica assurda per non deconcentrarmi. Per non pensare a quanto sarebbe stato bello essere fuori da quelle mura, a raccogliere fiori su un prato verde, oppure chiusa in casa a leggere un libro di mia scelta. 
A scuola ho imparato molto ma quando ne sono uscita ho tirato un sospiro di sollievo che mi sento ancora addosso. In questi dieci anni di lavoro non mi sono mai sentita altrettanto oppressa, altrettanto schiacciata dai doveri e dal senso di responsabilità. 

Certo, ci sono state lezioni meravigliose. Come quelle di storia dell'arte o di letteratura latina. Ma è come se nel tempo fossero del tutto evaporate anche quelle.

Forse per questa ragione non vorrei mai tornare indietro, non vorrei mai dover rivivere la mia infanzia. A ripensarci adesso la vedo permeata di giornate grigie e spente, passate dentro un edificio dal quale avrei solo desiderato poter fuggire.

venerdì 17 novembre 2017

Note di Sottofondo

La musica è una compagna di vita.
Della mia, sicuramente. 
E non mi riferisco solo al fatto di portarmela sempre dietro quando cammino. 
La prima cosa che faccio quando mi sveglio al mattino è accendere la radio. E' una sorta di rito, un modo di iniziare la giornata cercando di darsi la carica. E' come dire non mi arrendo al silenzio, voglio che il ritmo mi scorra dentro fin dal primo istante che passo alzata. 

Fonte: acquaphi. it

Ci sono canzoni che hanno segnato un'epoca, una tappa della vita, una fase dell'esistenza. Canzoni di cui ricordiamo il testo anche anni dopo dall'ultimo ascolto. Canzoni che ci insegnano qualcosa, che traducono un'emozione, un sentimento, che sembrano essere state scritte per noi. Per quel momento, per quel pensiero, per quel dolore o per quella gioia. 

Non sono un tipo che si affeziona ai cantanti, se non in rarissimi casi. Non sono neanche un tipo che prenota concerti e attende con ansia il momento di goderseli.
La musica mi piace nella vita di ogni giorno, proprio come un accompagnamento. Mi piace come colonna sonora, come sottofondo, come versi che sedimentano attraverso il fluire dei miei giorni. E a volte mi chiedo, se non esistesse la musica, che vita triste e spenta che potremmo condurre. 

mercoledì 15 novembre 2017

Nuvole Basse

Secondo Gus, scrivere un post al giorno potrebbe aiutarmi a risalire la china da questo malumore autunnale nel quale sono invischiata fino al collo.
E perché non provarci? in fondo non mi costa nulla. Fin da bambina scrivere mi ha sempre aiutata a dipanare i grovigli o a dare un ordine logico a ciò che logico non mi sembrava. 

Fonte: immagini.4ever. eu
Questa mattina mi sono svegliata di soprassalto. Non sapevo che tempo c'era fuori, se avrei potuto uscire a camminare oppure se mi sarei dovuta nuovamente accontentare di fare step al piano di sopra. Mi sono alzata così di corsa, pensando che fosse già tardi, che ho rischiato più volte di cadere con la testa che girava come una trottola. 
Il cielo non era un granché, era coperto dai soliti nuvoloni scuri e minacciosi. Tuttavia non pioveva e non c'era vento, per cui mi sono vestita in fretta e sono uscita. Sentivo le gambe volersi muovere a tutti i costi, quasi infastidirsi per la sabbia bagnata sul lungomare che a tratti mi rallentava e a tratti sembrava volermi far scivolare.
Avrebbero voluto andare più veloci, non fermarsi per un istante neanche a guardare quel cielo che annunciava burrasca sulla meravigliosa distesa d'acqua. Ho scattato una foto per immortalare quegli attimi in cui sentivo addosso il timore di un'ipotetica tempesta in arrivo e allo stesso tempo la gioia per averlo comunque superato.

In pochi attimi il lungomare si è popolato di gente con i cani, troppo vestiti per una giornata non troppo fredda come questa. I giubbini calati fino al mento, i cappelli di lana fino agli occhi, le mani dentro guanti spessi. Ho pensato che mi sarei vestita così tanto solo sulla neve, mai in una giornata tutto sommato mite come questa. Ma forse io avevo il calore addosso della camminata e loro il torpore di chi si scrolla il piumone senza realmente volerlo abbandonare. 
Non ho camminato molto, alla fine, meno di quanto avrei voluto e potuto. Era tardi per i miei canoni e c'erano le solite cose da fare che mi attendevano al ritorno. 

Sogno un'intera settimana di sole. Un'intera settimana di allenamenti all'aria aperta, con la mia musica alle orecchie, le gambe felici e scattanti, il cuore allegro.

martedì 14 novembre 2017

Come un Ghiro

Sono due settimane che non aggiorno, lo so.
Purtroppo mi trovo invischiata in una sorta di letargico malumore dovuto a questa stagione che mi è così ostile. Odio il grigiore, detesto la pioggia, provo un sincero ed autentico orrore per il freddo. Mi sento di vivere a metà. Alla sera arrivo stanca come se avessi corso la maratona di New York e invece ho semplicemente fatto le stesse cose di sempre. Che non sono poche, ma di sicuro sono all'incirca le stesse che in estate o in primavera.
Mi manca quella vitalità tipica della bella stagione, quando mi sveglio già pimpante con il sole che mi entra nel cuore e poi si irradia ovunque alla velocità della luce.
Mi manca quel desiderio di vivere, di uscire, di stare in mezzo alla gente, di ascoltare musica dal vivo, di guardare il mondo, di ballare con la radio accesa.
Come ogni anno in questo periodo agogno per tutto il giorno il momento di andare a letto, abbracciare Fred e mettermi a dormire. E al mattino la sveglia è peggio di un trapano che buchi il cervello. 

Fonte: www.valtrompianews. it

Mi dico che mi abituerò anche a questa orribile stagione. Mi dico che non penserò all'entrare in letargo come al più allettante dei sogni.
Tuttavia se mi dessero la possibilità di addormentarmi questa sera e risvegliarmi direttamente il primo di aprile, lo farei senza indugio.
Mi risparmierei gli addobbi di Natale, la ricerca dei regali, i geloni alle mani, la tristezza delle cinque del pomeriggio quando già cala la notte.

venerdì 3 novembre 2017

Di Acqua Sotto i Ponti

Il tre novembre di dieci anni fa iniziavo a lavorare. Entravo per la prima volta nel più longevo negozio di ottica del paese come dipendente e non più come semplice visitatrice.
Tutto mi sembrava incantevole ma anche molto più grande di me. Tante le cose da imparare ed un insegnante ormai decisamente poco presente. Era anziano, stufo, con troppi problemi sopra quelle spalle magre. Una moglie nevrotica che lo accusava anche del cattivo tempo, una figlia problematica di oltre cinquant'anni, un figlio assente ed una nuora di cultura russa che malediceva a distanza. Capii presto che avrei dovuto destreggiarmi in mezzo a quelle beghe familiari ancor prima che tra le mansioni del negozio. Talvolta, a soli ventidue anni, mi sentivo sopraffatta per essere lasciata così sola a padroneggiare un mestiere che non era ancora il mio. Ero una ragazzina timida che stava sbocciando piano piano, che aveva ripreso a mangiare solo perché forzata, che perdeva intere ciocche di capelli, che doveva gestire anche problemi più grandi di lei. 
Sono cresciuta molto in quei due anni. Ho perso l'aria infantile, un po' di ingenuità, capito il modo in cui dovevo approcciarmi alla clientela. Avrei potuto imparare molto di più se ce ne fossero stati i presupposti ma lo feci in seguito, altrove. 
Non ho mai avuto la liquidazione che mi spettava. L'avrei ottenuta, forse, se mi fossi accanita. Se avessi fatto vertenza, se avessi dissanguato quella famiglia già piena di debiti. Preferii non farlo, proprio per quel vecchio che stava morendo e che non meritava l'ennesima pugnalata. Ho ancora un paio di occhiali da sole che mi regalò il primo Natale, li custodisco come una reliquia insieme ad una radio rosa che mi diede quando chiuse il negozio.

Fonte: viaggiareoltre.it

Sono passati dieci anni e di acqua ne è passata sotto i ponti. Ho perso la timidezza, ho acquisito forza e determinazione...quantomeno sul lavoro. 
Ho capito che lavorare con la gente ha molti risvolti meravigliosi e altrettanti lati negativi. Ho capito che devi sorridere sempre, anche a costo di farti venire precocemente le rughe. Che devi salutare tutti, sia all'entrata che all'uscita, anche chi non fa acquisti. Che le donne le devi ascoltare anche quando parlano di figli, di pediatri, di antipatie, di noiose riunioni condominiali. E che agli uomini non devi far mancare la battuta ed il sorriso, perché alcuni di loro scelgono un negozio piuttosto che un altro anche in base alla donna che trovano dietro il bancone. 
Ho capito che la pulizia è il primo vero atto inderogabile da ripetere giornalmente, senza se e senza ma. Capito che per non farsi mettere i piedi in testa è necessario mostrarsi adulti, anche quando si è giovani e poco esperti.
Capito che non è possibile farsi delle amicizie tra i clienti, neanche tra quelli che vedi ogni giorno e con cui instauri un rapporto di simpatia reciproca. Che un divario deve essere sempre presente e che una barriera sottile vada sempre mantenuta. 
Ho capito che tante persone ti vedranno sempre e solo come un'entità astratta da salutare a malapena ma che, molte altre, si affezioneranno al punto di farti dei regali o spedirti una cartolina quando viaggiano, come se fossi una persona di famiglia.
Capito che la gente ruba o cerca di fregarti e che devi sempre stare all'erta, vigile, senza mai poterti veramente rilassare. 
Ho capito, soprattutto, che questo lavoro mi piace. Che ho bisogno di questo contatto costante con la gente anche se in certi periodi mi satura al punto di non poterne più. E che in quei momenti riprendere fiato è l'unico vero espediente per tornare con le batterie cariche...così come la gente mi vuole. Sorridente, efficiente, sempre presente.