Questa mattina il mare era torbido, come torbide erano le nuvole che gli si specchiavano addosso. Si faceva fatica a distinguere dove finisse la distesa d'acqua e dove iniziasse il cielo. Sembravano un tutt'uno di azzurro plumbeo, che pian piano è andato a schiarirsi col sopraggiungere del sole. Quando era ormai venuta l'ora, per me, di tornare a casa.
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Fonte: ilgiunco. net |
Con la musica alle orecchie ho pensato che del mare io godo tutto fuorché il suo rumore. Mi sono chiesta se questo sia un modo per vivere un'esperienza a metà, non colma nella sua interezza.
Sovrasto lo scalpiccio delle onde con note, ritmi e parole che ripercorro canticchiando mentalmente senza emettere il minimo rumore. E' il mio modo di affrontare la camminata senza lasciare che sopraggiunga la noia ma anche un sistema di isolamento dal mondo. Dai cani con i loro padroni, dai pescatori presso le loro barche, dai rumori delle auto poco oltre. Un modo per essere sola con me stessa, riempirmi gli occhi di queste bellezze naturali e al contempo fingermi assente, lontana, distante persino dalla terra che calpesto con le mie scarpette.
Sabato mattina c'è mancato poco che mi investissero. E' stata questione di secondi. Forse il mio amico Cristiano lassù mi ha preso per mano e gettato oltre le strisce, lì dove stava sfrecciando un'auto che non avevo visto. Avevo scorto la prima, mi ero fermata ed ero ripartita. Ma eccola lì, la seconda, così vicina al mio corpo da poterla quasi toccare. Ho ringraziato il mio passo svelto e i riflessi pronti di quell'uomo che si è poi fermato, spaventato anche lui, per redarguirmi. Per un attimo ho pensato che volesse scendere e rincorrermi, farmi del male. Aveva già una gamba fuori dall'abitacolo. Gli ho chiesto scusa, ormai non potevo fare altrimenti. Per tutta la giornata non ho pensato altro che a quei secondi che mi hanno salvata dall'impatto.