Ieri è stata una giornata infernale e quella che è iniziata da poche ore sembra seguire la stessa triste scia.
La provincia di Rieti è la mia provincia. Lì ci sono le mie radici, il mio cuore, le persone che amo. Me lo ricordo bene il terremoto de L'Aquila, me lo ricordo bene quel tremore lunghissimo che durante la notte ci scosse tutti. Mi ricordo bene anche i precedenti, perché tutte le volte in cui la terra ha tremato al centro Italia, in questi anni, mi sono svegliata durante la notte terrorizzata. Ed ogni volta vedere quelle persone perdere tutto e spesso anche la vita, mi ha fatto stare male.
Conoscevo quei centri, avevo passeggiato lì, avevo respirato l'aria fredda della notte ed il profumo della montagna. Chi vive dalle mie parti lo sa che può succedere. E' zona sismica, dicono. Eppure quando capita nessuno è veramente preparato, nessuno può saperlo prima di addormentarsi che quella potrebbe essere la notte che sconvolgerà per sempre la sua vita. Vai a letto tranquillo e quando un pezzo di casa ti cade addosso pensi che sia l'inferno, un incubo, un sogno dal quale poi ti risveglierai.
Quando poi passa tutto non riesci a sentire alcun tremore, neanche quello più innocuo, senza pensare che sia nuovamente il terremoto. Non sopporti che qualcuno batta i piedi sotto il tavolo. Non sopporti la musica alta dei vicini se fa oscillare le parti. La paura è sempre lì, affacciata alla porta di casa.
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Fonte: teconologia-ambiente.it |
Ho chiamato subito i miei, che raggiungerò nuovamente questa sera. Si sono alzati tremando, mia madre con quella gamba che non la fa camminare bene, mio padre con la sua ansia cronica, mio fratello senza sapersi più riaddormentare.
E quando ho saputo che l'epicentro era Amatrice il mio cuore si è fermato per un attimo. Erano lì i genitori della zia di Fred? Erano in quella casa o qui sul litorale, al sicuro?
Erano lì. Il figlio è partito presto e l'hanno fatto passare. La Salaria è poi stata chiusa, quei ridenti borghi spazzati via dalla furia della terra.
Ore interminabili senza sapere nulla, senza potersi mettere in contatto, senza poter partire. Un travaglio che dura ancora oggi, nel momento in cui scrivo. Erano in tre, una di loro è stata tratta in salvo intorno alle cinque del pomeriggio di ieri. Un sollievo lungo interi minuti e poi la tristezza, nuovamente, quando loro due ancora non venivano salvati.
Quasi ti sembra di sentire il rumore dei cocci, il battito sordo di quei cuori seppelliti sotto le macerie, l'incredulità, lo spavento, il terrore che si insinua in ogni terminazione nervosa fino a farti smettere persino di parlare.
E allora scrivi, perché almeno scrivere non fa rumore. Nessuno sente i tuoi pensieri, ma forse qualcuno potrà leggerli. Forse qualcuno potrà farlo capendo cosa si prova in questo lungo travaglio che non sembra avere più fine.
Sono ancora vivi? Sono morti subito? Hanno sofferto? Stanno soffrendo tuttora?
Le domande ti asfissiano, ti comprimono il cervello, ti autorizzano ad assentarti dal mondo.