domenica 30 novembre 2014

Quel Cappotto di Taglia 42

Fonte: senigallianotizie.it

Mi sento strana oggi e penso di dovervelo raccontare, anche solo perché scrivendo i pensieri assumono una via più lineare, meno contorta.

Questa mattina sono stata in giro per negozi per ultimare i regali di Natale. Si, mi rendo conto che siamo al 30 novembre ed io e Fred li abbiamo già fatti tutti, ma se c'è una cosa che desidero evitare è proprio la ressa per la corsa al regalo. I miei regali preferisco sceglierli con cura e con calma, senza frenesie. Per me è una sorta di rito, non è solo un dovere sociale, ma un vero e proprio piacere personale del quale non potrei privarmi.

Dicevo. Ero in giro per negozi e sono entrata in uno store di abbigliamento che oggi proponeva uno sconto del 50% su tutti i cappotti, le maglie, i piumini e gli articoli in pelle. E' un negozio in cui sono entrata di frequente negli ultimi mesi, tant'è che è anche l'unico punto vendita d'abbigliamento per il quale ho sottoscritto la tessera. 
Vedo un cappottino grigio medio, di quelli corti che arrivano al sedere, con doppiopetto e cintina. Io sono un po' maniacale per quanto concerne giacche e cappotti e se potessi ne comprerei almeno uno per tipo e per colore.
Mi è piaciuto subito e presa la solita taglia 46 vado allo specchio. Fred mi frena subito con un "è enorme". E infatti si. Allo specchio vedevo quella che sembrava una bambina con i riccioli nel cappotto della madre o della sorella grande. Ma come? non è la mia taglia quella? 
Prendo dunque la 44. Ma no, Fred dice che è grande anche questa. Ed io non mi capacito. Lui mi prende la 42 ed io quasi non voglio indossarla, mi dico che è impossibile, che non sono mai entrata in una 42 in vita mia. Né in quel negozio, né in nessun altro.
Lui mi sprona ed io la provo. Ed effettivamente ecco che vedo il cappottino aderire perfettamente al mio corpo, come una seconda pelle. 

Eppure la mia mente non ci credeva. Vi giuro. Mi sono bloccata. Sotto lo sguardo inquisitore e anche un po' arrabbiato di Fred io ho provato la 42 e la 44 almeno 3 o 4 volte ciascuna perché non mi capacitavo che, sul serio, quella giusta fosse la più piccola.

Chi mi legge dagli anni di Splinder sa che il rapporto con il mio corpo ha vissuto periodi di grande conflittualità, sbocciati in diete spesso troppo drastiche che mi hanno privato per un lungo periodo anche della salute. E per quanti giri si possano fare, spesso il problema non è neanche la bilancia, quanto una distorsione che si ha della propria immagine.

Quel cappotto io l'ho comprato ma sono uscita dal negozio profondamente turbata. Anziché fare i salti di gioia ho provato una strana sensazione. Come un "non riconoscersi", un non riuscire a vedermi per come realmente sono. Non c'è alcuna corrispondenza tra quello che vedo e quello che sono. Ho scoperto oggi che il cappotto con il quale sono andata in giro per tutta la mattina è troppo grande per me. Che mi pende sulle spalle, che non mi dona più. 
E' stato come risvegliarsi da un letargo, da una specie di dormiveglia. Ho capito solo guardandomi in quello specchio che io e Fred vedevamo una persona diversa. Ed ho capito perché la gente mi dice di non dimagrire più. Pensavo mi prendessero in giro, in fondo son cose che si dicono no? E invece hanno ragione. Se dimagrissi ancora diverrei troppo diversa da quella che sono sempre stata ed è ora che me ne renda conto. Che smetta di correre, che la finisca di mortificare un corpo che è molto più che accettabile. Devo solo vederlo. Vederlo sul serio.

giovedì 27 novembre 2014

Riflessioni Lavorative

Fonte: obiettivojuve.it

Il mio secondo impiego lavorativo durò 4 anni. Iniziò quasi per caso, quando dall'oggi al domani e senza alcun preavviso il primo finì. Tra di essi solo un mese di tempo, che impiegai, tra l'altro, a riprendermi da un piccolo intervento chirurgico. I primi 2 anni furono durissimi. Le persone per cui lavoravo mi trattavano male, avevano mille critiche, mi rimproveravano continuamente. Un rimbrotto dopo l'altro, il più delle volte per delle vere e proprie inezie. Ci sono stati giorni in cui entrare lì assumeva i connotati di una tortura, di una corsa al massacro. Anche la mia collega, con la quale lavoravo insieme di rado perché di solito avevamo i turni contrapposti, non aveva un carattere facile. Spesso imbronciata, antipatica, riluttante ad essere se non dolce, quantomeno amichevole. 
Non penso volentieri a quel periodo e lo faccio solo quando il ricordo torna da sé o quando è Fred a farmici pensare. 

Non ricordo neppure come le cose siano cambiate, come i rapporti finalmente si mitigarono. Probabilmente quando si accorsero che per loro ero una risorsa validissima. I clienti avevano per me un riguardo particolare, una preferenza che a loro non avevano mai accordato. Entravano dicendo espressamente che erano lì per me e quella iniziale gelosia dovette trasformarsi in cupidigia, cercando di portare l'ascendente che avevo sui clienti a loro favore.

Così smisero di criticare qualunque mia mossa, lasciando i rimbrotti solo per rare occasioni. Espressamente non mi lodarono mai, se non quando decisi di andarmene e tentarono di farmi cambiare idea dicendo che li avrei lasciati nei guai. 

Perché mi son tornati questi ricordi? non se ne stavano bene lì sul fondo, dove li avevo sempre lasciati? Eppure ritornano, perché sebbene tenda a ricordare soprattutto le cose positive, è indubbio che quelle negative di tanto in tanto cerchino di emergere, di farsi notare anch'esse.

Credo che siano uscite fuori nel momento in cui ho detto a Fred che una data persona avrebbe bisogno di un po' di "lavoro sotto padrone" perché in quelle condizioni si impara più di quanto si creda. Stare sempre a briglia scioglia non tempra il carattere, non doma gli istinti lassisti. Ci sono persone che non riescono ad avere a lavoro un comportamento sempre consono e responsabile. Quelli che non vedono l'ora di uscire e il loro primo pensiero è lo stipendio che ne ricaveranno, non il modo per meritarlo.
Io credo di aver imparato molto in quell'ambiente così restrittivo. Credo di aver acquisito quelle conoscenze di base che un commerciante non impara dall'oggi al domani ma che gli entrano dentro col tempo, con le cadute e le batoste.

Quindi, se a questi datori di lavoro io porto regali o pensierini non è perché gli voglia un bene dell'anima...ma perché penso di dovergli molto. Probabilmente mi mancava quella disciplina che mi è stata inculcata rudemente, ma che poi ha saputo dare i suoi frutti. 
Un padre troppo permissivo difficilmente avrà figli determinati e sicuri di sé. 

Tuttavia, anche un ambiente troppo severo ha i suoi difetti. Ho pensato molto a quei malesseri che ebbi il terzo anno, ai frequenti sbalzi di pressione, a quegli svenimenti che ebbi proprio sul posto di lavoro. Quella continua tensione, se fosse proseguita, mi avrebbe portata presto sull'orlo di una crisi di nervi. Me ne accorgo ora che posso prendere le cose con più tranquillità. Sono aumentate le responsabilità ma quell'ansia divorante ha lasciato il posto ad una maggiore calma.
Finalmente il mio corpo ha smesso di mandarmi segnali preoccupanti. 

giovedì 20 novembre 2014

Ciao Biagino...

Fonte: laleggepertutti.it

Un tempo lui viveva in questa casa, passeggiava tra le pareti che ora fanno da scenario alla nostra vita insieme.
Era tutto diverso. Qui c'era una grande villa e dove risiede la mia scala a chiocciola di legno albergava persino un ascensore. Poi fece rifare tutto, trasformò la villa in 4 nuovi appartamenti e uno di essi, il più piccolo e soleggiato, è diventato il nostro un anno e mezzo fa.
Lo vidi per la prima volta proprio la mattina dell'atto notarile. Io e Fred eravamo in preda ad un'emozione di incredibile portata ma lui era tranquillo e pacioso, di vendite ne aveva fatte tante e di soldi in banca ne aveva già più di quanti avrebbe mai potuto spenderne. Mi strinse la mano per farmi gli auguri e in quegli occhi sorridenti vidi qualcosa che mi piaceva.

Lo conobbi meglio solo quando mi trasferii qui. Frequentava abitualmente il nostro negozio e giorno dopo giorno nacque una confidenza che non avrei mai osato sperare. Mi ricordava i vecchietti amorevoli che venivano a trovarmi sul vecchio posto di lavoro. Quelli che mi facevano la corte con una galanteria vecchio stile che ormai si è persa del tutto. Il suo sorriso era sempre così dolce ed accogliente che avrei tanto voluto avere un nonno così. 
Ricordo come se fosse ieri il pomeriggio in cui, un po' triste ed affranta mi disse, "sei sempre bella, ma oggi sei bellissima". Mi fece tornare il sorriso e in quel momento lo avrei abbracciato come se nessun altro fosse lì con noi. 

Era un omone grosso Biagio. I capelli bianchi e folti. Il cappello sempre calato sulla testa. Il naso a patata in un viso rubicondo. La voce un po' roca ma sempre ferma. 
Negli ultimi mesi si era ammalato e il suo tempo lo aveva trascorso sempre in ospedale. Ero in pena per lui, mi mancava quella presenza poderosa in negozio. Mi mancavano i suoi occhi che si addolcivano quando gli sorridevo, mi mancavano quelle parole strane che diceva per indicare cose di cui non ricordava il nome. Mi mancavano i suoi saluti gentili ed allegri.

Ed ora mi mancheranno ancora di più perché non posso più sperare di vederlo rientrare dalla porta. Il mio Biagino è morto ieri mattina e solo ora riesco a tirar fuori quelle lacrime che mi sono imposta di trattenere per tutto il giorno.
I figli si scanneranno per l'eredità e chissà se in questo momento staranno pensando a lui o a quello che gli ha lasciato. Io mi sento triste in un modo che non posso spiegare perché lui è stato una delle persone a cui ho più voluto bene dopo il mio trasferimento qui. 

Ciao Biagino. Grazie per la tua compagnia e le tue parole gentili. Grazie per la dolcezza con la quale ti rivolgevi a me. Grazie per aver venduto questa casa in cui ora mi sento felice. Grazie per essere passato a trovarci ogni giorno fin quando ti è stato possibile.

domenica 9 novembre 2014

Festeggiamenti d'Autunno

Fonte: lacucinaitaliana.it

Oggi finalmente abbiamo festeggiato la laurea del fratello con i parenti. Eravamo in 18, una bella tavolata nella taverna gentilmente offerta da mia cugina. 
Io mi sono dedicata agli antipasti ed il risultato è stato piuttosto buono, sia visivamente che dal punto di vista del gusto. A dire il vero non ho mangiato molto. Più degli altri giorni, sicuramente, ma neanche la metà di quanto avrei potuto. Mia madre come al solito se l'è presa, ma visto il gran daffare non ha avuto neanche il tempo di farmi quella bella strigliata che aveva in gola. Può darsi che mi tocchi domattina, al telefono. 
La verità è che mi son sentita piena e sazia già da subito e mangiare di più avrebbe significato stare male. La strigliata me la prenderò senza colpo ferire, che farla sfogare un po' mi pare anche giusto. Oggi ha fatto da mangiare per tutte quelle persone con un gran mal di testa e immagino che stasera per riprendersi dovrà andare a letto presto, stanca ma felice.

L'allegria non è mancata e non sono mancanti momenti emozionanti, come quando finalmente ho potuto stringere tra le braccia il mio nipotino. Che non è più -ino neanche lui, a dire il vero. E' in terza media e anche se il corpo e la voce sono ancora quelli del mio cucciolo, in fondo mi rendo conto che sta crescendo e che tra qualche tempo non gradirà più queste attenzioni puerili.
La sorella piccola è una peperina e quando mi vede dopo tanto tempo corre ad abbracciarmi con quell'espressione gaia ad appagata che solo i bambini riescono ad avere. Spero che non debba accorgersi mai che preferisco il fratello, fosse anche solo perché nacque in un periodo della mia vita in cui avevo bisogno di lui ed ha un carattere più simile a me di chiunque altro in famiglia.

Ce ne siamo stati al sole per un po'. In alcuni momenti sembrava quasi far caldo, poi si è alzato il vento ed è tornato ad essere autunno. Come sempre mi sono riempita gli occhi di quelle meraviglie naturali della campagna che ogni volta mi affascinano, come se fosse la prima volta. 
E invece no, invece per una vita intera ho guardato ed amato quegli scenari e mi sembra di non averne mai abbastanza.