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Fonte: tuttomamma.com |
Tra mio fratello e me ci sono 2 anni e 10 mesi di differenza. Sono io la più grande, anagraficamente parlando.
Ero davvero piccola quando mia madre rimase incinta di lui. Non ricordo con quali parole mi comunicarono che non sarei più stata sola. Ricordo solo un sogno, che feci in quel periodo, o forse poco dopo la sua nascita.
Pare incredibile che io lo ricordi in maniera così vivida dal momento che ero una bambina, ma ho persino un ricordo antecedente a questo, di quando forse avevo circa 1 anno e mezzo. Magari capiterà un'altra occasione per parlarne qui.
Nel sogno immaginavo mio fratello. Io ero piccola, seduta sul davanzale della porta-finestra che dalla cucina si affaccia sul balcone. Lui era già grande, forse adolescente, e si sporgeva da questa finestra, così alto rispetto a me. Sono passati moltissimi anni e ancora ripenso a questa immagine, a quel flash. Che sia un ricordo costruito ad hoc dalla mia testa? me lo sono chiesta tante volte ma no, lo ricordo da sempre. L'ho fatto davvero.
Immaginavo mio fratello più grande di me, sebbene dovesse ancora nascere o fosse nato da poco. Lui mi avrebbe protetta, amata. Io sarei stata la bambina e lui sarebbe stato il mio cavaliere senza macchia e senza paura.
Inutile dire che non fu così. Quando nacque non era "il bimbo grande" che speravo mi avrebbe protetta. Era un neonato come gli altri. Piangeva, era testardo, capriccioso. A volte se non gliela davano vinta si gettava a terra e diventava tutto nero per il troppo piangere. Odiavo quelle scenate.
Lui assorbì la maggior parte delle cure e delle attenzioni dei miei genitori. Io ero tranquilla, serena, stavo sempre bene. Lui era un terremoto, avevano dovuto legare con dei lacci tutte le credenze di casa. E si ammalava spesso.
Una volta facemmo una gita a Nettuno. Io scesi dalla macchina, avevo circa 5 anni. Lui poco più di 2.
I miei gli misero il giacchino per non fargli prendere freddo e tirarono fuori una bustina piena di medicine...chissà che il piccolo avesse bisogno di...che cosa? non lo capivo e non lo comprendo tuttora. A me non diedero niente, io stavo bene così. Non avevo freddo ed era piena estate. Probabilmente non l'aveva neanche lui. Erano solo manie quelle di coprirlo, di dedicargli più attenzioni di quelle di cui realmente necessitasse.
Io non ero gelosa e se questo è quello che penserete leggendo queste righe, bé, vi sbagliate di grosso. Già da piccolissima non desideravo che l'amore dei miei fosse tutto per me. Io volevo bene a mio fratello, trovavo giusto che ne avesse la metà esatta. Si, la metà ma non di più. E allora perché penso sempre a questa scena? A me che scendo da sola dalla macchina e a lui cui stanno tutti intorno neanche fosse il principino ereditario di chissà quale dinastia...
Poi siamo cresciuti. Io iniziai ad andare a scuola. Ero brava. Portata. In classe non facevo rumore e studiavo con impegno perché quello era il mio dovere. Io dovevo essere quella che riesce nello studio, che non chiede niente alla maestra perché deve saper fare tutto da sola.
Quando iniziò ad andare a scuola anche lui tutti pensarono che avrebbe dato filo da torcere alle insegnanti e che non avrebbe ottenuto i miei bei voti. E invece no. Era bravo anche lui e si sforzava assai meno di me.
Lui non aveva bisogno di ore e ore sui libri. A lui ne bastavano un paio e faceva un figurone. Io non avevo tempo per nient'altro. Agli amici dicevo no, ai ragazzi dicevo no, allo sport dicevo no. Io dovevo andare bene a scuola, non potevo deludere i miei genitori e non potevo uscire dallo schema di figlia perfetta nel quale mi ero rilegata.
A scuola suonavamo il flauto. Non sono mai stata una buona musicista e non si poteva dire che quella fosse la mia passione. Però suonavo. Un giorno volevo far ascoltare un pezzo che mi era particolarmente piaciuto ai miei. Mio padre disse no, c'era il telegiornale. Due anni dopo si ripeté la stessa scena ma stavolta c'era mio fratello. Si spense la televisione per ascoltarlo suonare. E non a caso, forse, anni dopo lui ancora suonava mentre io avevo già smesso. Tanto non ci riuscivo altrettanto bene, non volevano ascoltarmi neppure loro, che senso avrebbe avuto continuare quella farsa?
E quante volte ho sentito loro non avere fiducia in me. Più mio padre che mia madre, in realtà. Lui mi vuol bene, tema che non ho mai messo in discussione. Eppure ha una mente maschilista di cui probabilmente non si è mai reso conto ma che gli fa credere che una figlia femmina non possa e non sappia fare le stesse cose di un maschio. Io ero quella che si rintanava in camera a leggere. E quando la casa si riempiva di gente io mi sentivo così fuori posto! Me ne scappavo via, mentre mio fratello restava lì con loro. E quando i parenti se ne erano andati i miei genitori venivano in camera a rimproverarmi, a sgridarmi, a ricordarmi quanto fossi diversa e peggiore perché preferivo la solitudine a quel blaterare sempre delle stesse cose. Soffrivo così tanto in quei momenti. Perché ero così sbagliata? perché non voler stare lì doveva sempre comportare quelle punizioni verbali, quel sentire parole così cocenti sulla pelle? Mi entrarono nel cervello, nelle viscere, in ogni capillare o particella di sangue. Solo dopo i 20 anni mi lasciarono in pace.
E' davvero tanto strano se io sono cresciuta con mille paure e lui determinato e vincente in ogni occasione? E' davvero solo colpa mia?
Dio Santo...dov'erano tutti questi lacrimoni prima di uscire?